Bojan Krkic, un fiore mai sbocciato per colpa degli attacchi di panico

by Redazione Cronache

Bojan Krkic ha aperto il cuore rilasciando questa intervista al Guardian. Da leggere tutta d’un fiato.

«Io amo il calcio e l’amerò per sempre. Ma soffro di attacchi d’ansia e l’inizio della mia carriera professionistica ha reso più evidente questo problema. Stava andando tutto bene, almeno così sembrava all’esterno, ma io stavo male. E convivere con l’etichetta di “nuovo Messi” non è stato semplice. Un giorno ero in vacanza, un altro avevo la gastroenterite. Tutte scuse per non parlare dei miei attacchi d’ansia. Al mondo del calcio non interessa, devi sempre andare a mille all’ora e non si accettano problemi comuni a tutti gli esseri umani. La mia esperienza al Barcellona e l’etichetta che mi era stata assegnata, poi, non mi hanno permesso di affrontare il tutto con serenità.

Aragonés sapeva tutto, Hierro mi chiamava diverse volte prima di una partita per chiedermi come stessi. Poi è arrivato il momento delle convocazioni per l’Europeo, mi inserirono nella squadra per Austria-Svizzera ma fui costretto a rifiutare per curarmi. Il giorno dopo i giornali titolarono: “La Spagna chiama, Bojan dice no”. Passai per un disertore, solo la Federazione avrebbe potuto mettere in giro una voce così distorta.

Thierry mi disse che era venuto a Barcellona per vincere qualcosa di importante a livello europeo. Ci è riuscito dopo aver superato i 30 anni, mentre io ero lì con lui ad alzare la Champions League a nemmeno 19 anni. Mi sono reso conto di quale fortuna avessi avuto e non volevo sprecarla. Mi serviva un’occasione per continuare a giocare: sono sempre stato coerente, ho scelto di mettermi in gioco piuttosto che rimanere ai margini del Barça.

Mi hanno detto che se fossi stato più “hijo de p**a“, a quest’ora sarei ancora sul tetto d’Europa. Io invece credo che ognuno dovrebbe immedesimarsi in quello che i calciatori attraversano: non siamo delle macchine, siamo esseri umani e ognuno ha la propria sensibilità. Al netto di quello che ho passato, ritengo che siano molto più importanti le esperienze che ho fatto piuttosto che i trofei che ho vinto. Solo questa chiave di lettura mi ha permesso di continuare ad amare il calcio».