di Andrea Sperti
«Maradona Good, Pelé Better, George…Best», questa celebre frase la ripetono come un mantra in Irlanda del Nord gli estimatori e gli appassionati del più forte numero 7 che abbiano mai potuto ammirare a quelle latitudini.
L’aeroporto di Belfast lo hanno dedicato a lui ed al suo funerale si dice ci fossero circa 25.000 persone, pronte ad aspettare per tante ore solo per rendergli omaggio e salutarlo per l’ultima volta.
In campo Best è stato l’icona del 7. Un numero che da lui in poi ha cambiato di significato, diventando quello di chi al genio aggiunge un pizzico di sregolatezza, per rendere tutto più esaltante.
La sua carriera non può essere descritta, perché non è stata normale. A 22 anni George ha vinto il Pallone D’Oro, un riconoscimento che ne indica grandezza e qualità. Era il 1968, un anno di cambiamenti epocali, che ha visto in Best la più grande svolta calcistica dell’epoca.
Non è stato il miglior calciatore al mondo, ma probabilmente, come ha ripetuto lui in diverse dichiarazioni, solo perché non ne ha avuto né voglia né tempo. Ha amato la vita Best. Ha amato l’alcool, il denaro, le belle macchine e le donne, il vero tallone d’Achille del talento nato nel 1946.
15 anni fa se ne è andato. A soli 59 anni ha salutato tutti a causa di un’infezione renale dovuta ad una dipendenza dall’alcool che negli anni è diventata sempre più letale. Prima di morire, però, Best ha detto delle frasi importanti: «Fra qualche tempo vi dimenticherete di tutte le parti di cui sarà meglio dimenticarsi e ci sarà soltanto il calcio. E se uno soltanto di quelli che mi hanno visto giocare penserà che io sia stato il migliore di sempre, allora non avrò vissuto invano». Non si è pentito George, perché in fondo ha vissuto come voleva lui. Da fuoriclasse assoluto, senza regole ma con un talento cristallino.