«Testa da bambino» a chi? La rinascita di Marko Arnautovic a Bologna

by Francesco Pietrella
arnautovic

In Cina si era stufato. A letto alle sei, sveglia nel pomeriggio, cibo strano, livello basso, quindi sai che c’è? «Io me ne torno in Italia». Dove ha fallito dieci anni fa, quand’era «un calciatore con la testa di un bambino» – cit. Mourinho -, tre partite con l’Inter del Triplete e scarpini personalizzati al primo allenamento con il Werder l’anno dopo. «Campione d’Europa 2009/10». Una sorta di «io sì, e voi?». Fumantino, anti-regole, bad boy. Marko Arnautovic è stato tutto questo, ma a 32 anni si è rimesso in riga, 12 gol a Bologna e schiaffo alla Juve nel suo Allianz, uno stadio in cui avrebbe potuto giocare.

Floridsdorf, casa Arnautovic

Periferia di Vienna, impressionismo urbano, case basse e poco da dire. Marko nasce qui, lontano dal centro e dagli sfarzi. Il primo tacco si vede a Floridsdorf, ventunesimo distretto viennese all’ultima fermata dell’U6, la linea metro più lunga dell’Austria. Scordatevi Schonbrunn e le principessa Sissi, qui l’orizzonte ha il fumo nero delle ciminiere e i volti stanchi di chi tira alla giornata. Uno di questi è papà Arnautovic, immigrato serbo, un uomo del fare con un passato da punta vicino Belgrado. Arnautovic dà una mano nel ristorante del Floridsdorfer e aiuta la squadra nelle partite in casa. Un giorno porta al campo il figlio: «Finché c’era luce, giocava». Scacciando il fumo all’orizzonte. Fulmine di genio e cavolate. Pare che una volta lasciò il campo dopo l’ennesimo rimprovero. «Non la passi mai». Insulti in serbo e occhi bassi.

Arnautovic, dai confini dell’Impero

Arnautovic è cresciuto ai confini dell’Impero ed è rimasto lì per tutta la carriera, anche se il talento prometteva altro. Se al posto degli Asburgo mettiamo le squadre in cui ha giocato avremo un quadro chiaro. A 17 anni lascia Vienna e sceglie l’Olanda, Enschede, tre anni a Twente: «Guardavo dalla finestra e vedevo le vacche, i mulini, le galline». Altri paesaggi. A vent’anni lo prende l’Inter di Mourinho, ma nell’anno del Triplete gioca solo tre partite: «Non mi spaccerò mai per uno che ha vinto la Champions. È stato bello, sì, ma finisce lì». Più ritardi che presenze per Arnautovic. Ad Abu Dhabi manca la colazione, cazziato. Poi resta bloccato in cima al grattacielo. Un disastro. E l’ultimo? «Una piccola discussione» per finire fuori squadra. «Quando torniamo a Milano arrivo al campo 3 ore prima, convinto ci fosse l’allenamento. In realtà no, spostato al pomeriggio, solo che Mou era già lì. ‘Tu sei il mio uomo’, disse. E mi regalò il suo orologio. Lo conservo ancora».

«Bravo ragazzo, testa da bambino»

L’Arnautovic milanese è una comparsa, un ragazzo in Erasmus circondato da belle donne e la fashion week. È la testa calda che arriva tardi all’allenamento, sfascia la Bentley di Eto’o e fa le boccacce a Balotelli nella pancia del Bernabeu durante l’intervista post partita, dopo aver vinto la Champions. «È Marko, chi sennò? Dov’è c’è uno scemo…». Tra una risata e l’altra. Mourinho ne parlerà così: «Ragazzo fantastico, ma con la testa di un bambino». Dopo Milano sceglie Brema, 16 gol in tre anni e una rete all’Inter in Champions: 3-0 in Germania e frecciatina. «Adesso arrivo in orario». Con la cresta alta e il sorriso beffardo. Al primo allenamento coi tedeschi indossa scarpe particolari. C’è scritto «Campione d’Europa». Tanto per farlo sapere a tutti. Il d.s Allofs gli dà l’ultimatum: «Svegliati o qui non hai futuro». Non lo farà mai del tutto.

«Sei un rissaiolo come me»

Colpa di un’autodistruzione intrinseca. Quando aveva 16 anni dissero che era «il più grande talento austriaco dai tempi di Hans Krankl». L’ultimo anno al Twente dribbla 5 avversari e spinse il pallone in porta. Un abbaglio. Nel 2013 sceglie lo Stoke City e ogni anno lotta per salvarsi, più vicino al Vallo di Adriano che alla London Eye. Segna un po’ (26 gol), si salva sempre, poi arriva il West Ham e le cose vanno meglio (22 reti in due stagioni dal 2017 al 2019). A 30 anni, però, sceglie lo Shanghai SIPG in Cina. L’impero visto col binocolo dalla Grande Muraglia, che dall’alto non si vede ma quando sei lì percepisci la grandezza dell’impero che fu. Marko non si è mai trovato bene. «Mangiavo a orari sbagliati e bevevo Fanta». Una volta “sveglio” segna 17 gol, poi gli arriva una chiamata. «Ciao Marko, sono Walter Sabatini, ti voglio a Bologna perché sei un rissaiolo come me». Fiducia ripagata. Ai confini dell’impero, come sempre, ma va bene così.