Il Genk guarda di nuovo tutti dall’alto, nonostante il saccheggio della Premier

by Redazione Cronache

Se guardi la classifica del campionato belga, in testa ci sono i Puffi. Non è uno scherzo: i biancoblù del Genk sono – per motivi cromatici – soprannominati De Smurfen, “i puffi”. Tanto che anni fa, in un derby coi gialloblù del Sint-Truiden, soprannominati De Kanaries, “i canarini”, alla Luminus Arena realizzarono una coreografia con Grande Puffo che stritola il povero Titti. Del resto, i Puffi nascono in Belgio, dove ora il Genk è davanti a tutti. Non è una novità, se pensi che il Koninklijke Racing Club Genk – nato nel 1988 dalla fusione di due club – ha vinto quattro volte il campionato, l’ultima delle quali nel 2019 con Mæhle in campo, che poi si trasferirà a Bergamo come, prima di lui, avevano fatto Castagne e Malinovskyi. Al momento, sta arrivando la quinta: ecco grazie a chi.

 

Il tecnico, Vrancken e la Nespresso

Il tecnico del Genk è Wouter Vrancken, ex mediano classe 1979 nato a Sint-Truiden che qui vinse il suo unico trofeo da calciatore: la Coppa di Lega 1999. Poi ha giocato per Gent, Genk, Malines ed è soprannominato De Keizer, “l’imperatore”. Quindi, si ritira e inizia ad allenare i dilettanti fino al 2019, quando sorprendentemente guida il Mechelen (o Malines, il nome francofono) alla promozione in Jupiler League, la Serie A belga. Ma c’è di più: il Mechelen di Wouter Vrancken vince la Coppa del Belgio dopo 30 anni, nonostante giochi in seconda serie. Che favola. Ma l’UEFA accusa il club della provincia d’Anversa di aver truccato delle partite. Niente Europa League per i giallorossi. Wouter Vrancken resta, lancia talenti – Vrancx del Milan, Dante Vanzeir, della Royale Union Saint-Gilloise – e resta fino a maggio 2022, quando va al Genk. Pensa che Vrancken non voleva allenare, quando si ritirò a 31 anni: «Nel mondo del calcio c’è troppa ipocrisia». Ha fatto altro: rappresentante di articoli sportivi, impiegato in banca e team manager presso Nespresso.

 

La premiata bottega Genk

Nella sua storia, il Genk ha partecipato tre volte alla Champions League. Nel 2002/03 con Josip Skoko, un italiano – Marco Ingrao, agrigentino ex Mons, città belga dov’è nato Davide Moscardelli – e il 19enne Igor de Camargo. Nel 2011/12 con gli ex genoani Vanden Borre e Tőzsér, i ventenni Kevin De Bruyne e Christian Benteke, persino il 16enne Leandro Trossard che ora sta all’Arsenal di Arteta. E infine nel 2019/20, con l’allenatore Felice Mazzù e tanti talenti scandinavi tipo Berge, Nygren, Uronen e Joakim Mæhle che a gennaio 2020 si trasferisce all’Atalanta, come fece il terzino destro Castagne a luglio 2017. O Koulibaly al Napoli (2014), o Milinković-Savić alla Lazio (2015), Kabasele al Watford dei Pozzo (2016), o Ndidi al Leicester e Bailey al Leverkusen (2017), Omar Colley alla Sampdoria (2018), il citato Trossard a Brighton nell’estate di Malinovskyi all’Atalanta, (2019) fino a Berge allo Sheffield (2020) e i recenti Thorstvedt al Sassuolo, Ito a Reims e Lucumí a Bologna (2022). Facciamo i conti: 14 cessioni per un totale di oltre 170 milioni. E non abbiamo contato Courtois, De Bruyne e Benteke. L’ultima grande cessione? Paul Onuachu, pochi giorni fa.

 

Da Paul Onuachu a Usain Bolt

Il Genk oggi è primo nel campionato belga, la Jupiler League, come detto. Il problema è che ha appena ceduto al Southampton per 18 milioni il suo capocannoniere, Paul Onuachu. Nigeriano come gli attaccanti che stanno dominando l’Europa – Osimhen, Lookman, Chuba Akpom, Terem Moffi diventato l’acquisto più costoso di sempre del Nizza (30 milioni) –, Onuachu ora cercherà di evitare la retrocessione dei Saints di James Ward-Prowse e l’altro nuovo Sulemana. Il Genk l’ha già sostituito. Come? Con un 22enne suo connazionale, Yira Sor da Lagos, acquistato dallo Slavia Praga. Rimpolpa una colonia africana: Costa d’Avorio (Ouattara), Burundi (Mike Trésor, 23 anni e già 6 gol e 15 assist finora), Marocco (El Khannous, convocato dal c.t. Regragui al Mondiale in Qatar), Ghana (Paintsil) e Tanzania (Samatta). Al posto di Onuachu c’è ora Sor. Punto forte? La corsa: in partita toccò i 37 km/h di scatto. Per darti un’idea, oltre i 36,6 km di Mychailo Mudryk, ti diciamo che ai Mondiali di atletica leggera 2009 a Berlino Usain Bolt registrò 37,59 km/h.