Nessuno ha regalato mai nulla al signor Rudi Garcia, il nuovo tecnico del Napoli che che festeggerà sessant’anni a febbraio. Sessant’anni di traguardi raggiunti, sudati e ottenuti nonostante le difficoltà e i piani cambiati in corsa. Oggi è un allenatore che un gran bel curriculum, ma da piccolo aveva in mente altro.
Quando Rudi Garcia faceva il bordocampista su Canal+
Rudi Garcia è nato a Nemours, un’ora di macchina da Parigi, da una famiglia di origini spagnole (i suoi nonni fuggirono dalla guerra civile). Suo padre, José, era un ex calciatore professionista con un centinaio di partite in seconda divisione francese. Aveva buone qualità, ma preferì concentrarsi su altre attività, ritenendo il calcio un posto lavorativo a quel tempo non sicuro per le garanzie economiche della famiglia.
Quindi, José il giorno lavorava sodo e la sera si dedicava alla sua passione: il calcio. Allenava. Ma stava fuori tutto il giorno ed era poco presente in casa. Il rapporto tra Rudi e il pallone non partì col piede giusto: «Mai avrei voluto fare quella vita. Non volevo diventare allenatore. Mio padre non lo vedevo mai». La passione, però, era nel sangue.
«Ho fatto la stessa fine di Astérix e Obélix: sono finito nel calderone», ha poi ammesso. Il calderone del calcio. Affare di famiglia, questione di DNA. «Non ho potuto farne a meno», disse in un’intervista rilasciata a The Athletic. «Gli odori che mi riportano all’infanzia sono quelli dello spogliatoio e delle creme per riscaldare le gambe».
Il ‘piano B’ di Rudi Garcia nel caso in cui non avesse fatto carriera, sarebbe stato fare il giornalista: «Il lavoro più bello del mondo». E infatti prima di fare all-in da ‘coach’, le sue competenze calcistiche gli permisero di arrivare a fare il bordocampista a Canal+, una delle più importanti emittenti francesi.
Troppi infortuni da calciatore, e l’esempio del padre
Era giovanissimo: aveva trent’anni. La sua carriera da calciatore si era chiusa presto a causa dei frequenti problemi muscolari, soprattutto alla schiena. Era un discreto trequartista, ha collezionato 127 presenze in Ligue 1 con le maglie di Lille e Caen. Poi ha scelto la sua strada: quella da allenatore, seguendo le orme del padre: alla fine, ci cascò davvero.
Papà seguiva le partite del figlio, con il quale si sentiva dopo ogni match. L’ultima chiamata arrivò il 25 ottobre 2008, dopo Lille-Caen 2-2. La settimana dopo a chiamarlo fu lo stesso numero ma rispose il compagno della sorella: «Vostro padre è morto». Attacco di cuore mentre era davanti alla tv, a vedere Grenoble-Lille (0-0). Le sue ultime parole furono: «Ma perché non fa giocare De Melo?». E la luce si spense.
Così si è formato Rudi Garcia, sognatore da giovane, diventato allenatore di livello e uomo dal carattere d’acciaio. D’altronde, quale carattere fragile avrebbe potuto resistere a due piazze bollenti come Roma e Marsiglia, prima di accettare Napoli, per di più con uno scudetto nel petto? Nessuno.
I dubbi fanno parte del mestiere. E forse nello scetticismo Rudi ci sguazza. Quando arrivò a Roma, Maurizio Gasparri disse: «Garcia chi? Quello che inseguiva Zorro?». Poi riportò la Roma in Champions. Se a Napoli qualcuno è perplesso, Rudi non vede l’ora di smentirlo. Il suo percorso è fatto così: entrare nei dubbi per scioglierli. Sarà la parte di giornalista che è ancora in lui.