«Napoli, Scudetto, Cagliari e DragonBall…», Elia Caprile si racconta a Cronache

by Giacomo Brunetti

Come possono uno Scudetto e DragonBall stare nella stessa frase? Semplice, se parli con Elia Caprile. Abbiamo accolto il portiere del Cagliari nei nostri studi a pochi giorni dalla fine di una stagione dalle mille emozioni: partito con il Napoli, affermatosi con in Sardegna.

Caprile ha scelto rinunciare alla possibile vittoria dello Scudetto, dopo le 6 presenze con i partenopei nella prima parte di stagione, per andare a fare il titolare ed essere protagonista in rossoblù: «Il ragionamento è stato semplice: volevo giocare. È un bisogno fisico che ho. Il campo e lo stadio pieno, decidere le sorti della partita… sono cose impagabili a cui non voglio rinunciare. A Napoli ho giocato 6 partite, in quei 6 mesi sono stato benissimo, sia con il gruppo – pieno di bravissime persone e che non avevo dubbi avrebbe vinto il campionato – che con la piazza. Stavamo bene insieme. Ma personalmente a un certo punto, a dicembre, mi sono guardato allo specchio dicendo: ‘Ok, forse vincerai lo Scudetto, ma riesci a reggere altri 6 mesi senza praticamente giocare?’. Ho fatto la scelta più giusta: è vero, il Napoli ha vinto e non sono campione d’Italia, ma sono andato a Cagliari, in una piazza importante e storica del nostro calcio. Avevo detto che per me lo Scudetto sarebbe stato salvare il Cagliari. Sono contentissimo di questa scelta: ho trovato un altro gruppo di persone fantastiche, anche chi lavora con la squadra».

Siamo partiti da qui, da una scelta coraggiosa, che però ha reso alla Serie A uno dei migliori portieri per rendimento. Grazie anche al legame con Davide Nicola, suo allenatore prima all’Empoli nella passata stagione e successivamente, quest’anno, nei 6 mesi al Cagliari. Le sue richieste si sposano perfettamente con il ragionamento che Caprile ci ha fatto sul ruolo del portiere moderno: «Il portiere di oggi è Svilar. Lo guardi per 90 minuti e vedi ciò che serve oggi: la presenza sui cross, la presenza in generale… non c’è una cosa in particolare. Ma se guardi una partita della Roma o lo affronti, non hai mai la sensazione di ‘Ok, sto per segnare’. C’è Svilar in porta e sì, può essere un buon momento ma poi devi batterlo. Lui vive la partita per 95 minuti e il portiere moderno deve essere così: vivere la partita, giocare alto, stare nei passaggi. Lui sta alto e non prende molti tiri perché interviene lui prima in uscita sui palloni, oppure da indicazioni ai difensori per prevenire le azioni avversarie». Che è quello che gli ha chiesto anche Nicola: «La prima volta che ci siamo conosciuti a Empoli, siamo andati in uno stanzino con il preparatore dei portieri Sicignano e mi ha detto ‘Sei tu il titolare, giochi. Non preoccuparti, voglio un portiere che esce, che rischia, devi essere spavaldo, vai a prendere le rimesse laterali’. E sono cose che abbiamo fatto anche quest’anno a Cagliari, pure a San Siro».

Un allenatore con cui ha lavorato nella prima parte di stagione è Antonio Conte. Gli abbiamo chiesto cosa ha fatto per portare il Napoli dal 10° posto allo Scudetto nel giro di 10 mesi: «Non avendo vissuto la passata stagione, mi sono fatto raccontare alcune cose. Posso dirti che quello che ho visto nei primi 6 mesi di questa stagione a Napoli è simile a quello che mi ha fatto vedere Bielsa quando ero a Leeds: cura dei dettagli maniacale. Con Conte, come con Bielsa, finché la cosa non esce perfetta in allenamento, si rimane in campo a provarla. Non c’è altra strada. Si rimane lì finché non viene. Senza lamentele e senza niente: quello che fai bene il mercoledì te lo ritrovi la domenica. Questo è stato il segreto del Napoli: non avere problemi ad accettare un mister che ti fa rimanere in campo anche due ore e mezzo perché le cose devono venirti bene e te le ritrovi in partita. E poi lui riesce davvero a entrare dentro ai calciatori a gamba tesa, nel senso positivo: riesce a tirarti fuori, come un dono, quello che altri non riescono. La prima volta che ci siamo sentiti gli chiesi di essere sempre diretto, anche se avesse dovuto dirmi una cosa brutta: lo è sempre stato, infatti, e nutro un profondo rispetto per lui».

Una vittoria arrivata grazie all’MVP della Serie A 2024/2025, ovvero Scott McTominay: «Un giorno mi ha detto: ‘Non mi sono mai allenato così tanto come con Conte’. Mi aspettavo che avrebbe avuto questo impatto sulla Serie A. Da lui, ma come da tutti i nuovi: Kvara… McTominay, Buongiorno, Di Lorenzo, Lobotka che secondo me è il centrocampista più forte in Italia con le sue caratteristiche. Sembrava di essere al parco giochi. Abbiamo parlato con McTominay e Gilmour della cultura in inglese, mi informavo come era la vita allo United e al Brighton, ci confrontavamo con la mia esperienza al Leeds e poi in Italia».

Una data che gli rimarrà impressa è il 21 settembre 2024, il giorno del suo esordio con la maglia del Napoli. Contro la Juventus, al 36′ subentrando all’infortunato Meret. Un giorno indimenticabile, visto che ha realizzato quello che era un sogno suo e del padre: «I miei non erano anche allo stadio, gli avevo detto: ‘Non venite a Torino, tanto non gioco. Andate a vedere mio fratello Jacopo’. Vanno, poi a una certa si fa male Meret. Mio padre era in tribuna e sul telefono aveva anche Juventus-Napoli. Mia mamma mi ha raccontato che mio padre le ha detto: ‘Guarda che sta entrando Elia’. Le ha indicato lo schermo, e da lì si sono messi a vederla. La vera emozione è stata la settimana dopo, quando ho fatto l’esordio al Maradona e c’erano anche loro in tribuna. Esordire con il Napoli è sempre stata l’ambizione della mia vita».

Caprile ha giocato anche in Inghilterra, nel Leeds di Marcelo Bielsa. Un’esperienza accattivante che ricorda con affetto e cura: «Era l’allenatore della prima squadra. Conosceva tutto ciò che riguardava il club dall’u-18 in poi e il preparatore dei portieri gli tagliava tutti i gol dei top-5 campionati europei. Si vedeva una cosa come 200 gol segnati al giorno e aveva preso una stanza dentro al centro sportivo. Con lui si rimaneva in campo fino a quando un esercizio non veniva perfetto, un po’ come Conte a Napoli: è la loro forza». Ma non solo: ha avuto modo di vedere da vicino il sistema calcistico inglese e giocare insieme e contro autentici fenomeni: «Raphinha mi ha preso la maglietta di Ederson: ci eravamo conosciuti nella squadra riserve del Leeds. Il campionato riserve è un “Under-23 con 5 fuoriquota”, spesso si gioca di lunedì almeno i calciatori della prima squadra che non hanno giocato possono scendere. Il livello per questo è veramente alto: in squadra con me erano scesi Raphinha o Kalvin Phillips. Sono circa 21 partite a stagione, di cui 7 si giocano al centro sportivo, altre 7 in uno stadio semi-professionistico e altre 7 nello stadio della prima squadra. Questo per far ambientare i ragazzi al pubblico e fargli vivere l’atmosfera dei grandi: a Leeds abbiamo fatto partite con 10/15mila spettatori. È un format che funziona: ora il limite è tornato all’u-21 con i fuoriquota».

Caprile è un portento anche fuori dal campo. Pieno di interessi e attratto da una cultura in particolare: quella giapponese. Ci racconta che ha «una grande passione per il Giappone. Mi piace la loro cultura dell’individuo:  il fatto di raggiungere la pace interiore, il fatto di stare bene con se stessi, che è il segreto poi per stare bene con gli altri, di accettarsi nei pregi e nei difetti che ognuno di noi ha, queste sono cose che poi accetti anche più volentieri magari i tuoi pregi, i tuoi difetti. DragonBall credo che sia l’esempio perfetto del Giappone, di quello di cui parlavamo prima: la cultura, il fatto che la dedizione, l’equilibrio, il miglioramento a livello personale non siano solo fisici. Quando sei piccolino magari a tante cose non ci fai caso: l’anno scorso l’ho ricominciato e adesso devo cominciare Dragon Ball Z, e mi rendo conto che ci sono tante cose che rispecchiano il Giappone e anche tanti insegnamenti di vita e della loro cultura. Per esempio Goku, in tutta la saga, non migliora solo fisicamente, perché il genio della tartaruga, la prima cosa che gli dice è che ‘per essere un combattente non devi essere forte fisicamente, devi essere forte mentalmente ed essere forte di spirito’, questo credo che sia l’esempio più eclatante del Giappone. Se tu vedi un giapponese o una persona asiatica… non credo di aver mai visto una persona asiatica perdere le staffe. Avere la pace interiore: secondo me sono tutte cose che anche fanno bene anche al portiere, tu sei da solo in mezzo ad altri 21 calciatori, davanti a 70.000 persone. Se tu non hai un equilibrio di tuo, perché poi la partita può andare bene, male, tu puoi sbagliare, puoi fare le cose fatte bene, ma devi sempre avere un equilibrio, altrimenti esci fuori dai ranghi. _Quindi quest’anno maglia di Suzuki l’hai dovuta scambiare per forza?_ Non ci sono riuscito purtroppo, ma se il Parma vuole mandarmela!».

Il legame con la cultura lo ha riscoperto ovunque si è spostato. Come a Cagliari, quest’anno: «Secondo me è un dovere del calciatore conoscere e sperimentare la cultura della città in cui va a giocare. A Cagliari il mio nome si è sposato bene con “Sant’Elia”, che da loro è un’istituzione. Dopo le parata all’esordio me lo hanno scritto in tanti. Il quartiere dove sorge lo stadio si chiama così e ho voluto andare oltre: sono andato a visitarlo e mi sono informato. Volevo capire cosa rappresentasse per la città. Mi sono veramente integrato bene a Cagliari. Hanno avuto fiducia in me dopo 6 mesi che non giocavo. Nel tragitto verso San Siro per l’esordio contro il Milan ho proprio pensato: ‘Ok, mi torno a divertire’. Integrarsi è una responsabilità del calciatore. Ho il dovere, secondo me, di far passare anche dei messaggi belli e importanti.  Ho cercato di conoscere la cultura inglese quando ero a Leeds e lo faccio ancora oggi. Ho la fortuna di avere un cane: questo mi obbliga a lunghe passeggiate. E di conseguenza a conoscere le città in cui mi trovo».

Fuori dal campo, Caprile è anche un grande appassionato di contenuti: podcast, documentari, reportage, interviste. E infatti «ascolto vari podcast: sportivi, interviste anche a personaggi di successo. Sono riuscito ad ascoltare un podcast in inglese sull’allenatore personale di LeBron James. Un’ora e mezza di lui che parla in inglese, ho messo i sottotitoli in inglese, è lui che racconta per filo e per segno la settimana di LeBron, come si avvicina alla partita. Questo podcast intervista anche altri personaggi, ha fatto pure allenatori di calcio. C’è stato un periodo in cui mi piaceva ascoltare i gialli, sui crimini magari irrisolti, oppure sui crimini in generale. Diciamo che se sto in macchina due ore, mi stufo ad ascoltare solo musica. Recentemente ho visto tre documentari sull’11 settembre e Bin Laden, adesso ho cominciato quello sulla guerra fredda. A me piace la serie tv rispetto al film, perché magari ti fa 3-4 episodi più lenti dove però ti spiega per filo o per segno le cose. Con le persone reali dentro. Con le persone che ti parlano anche di quello che hanno vissuto. Mi interessa molto la storia recente. Ascolto anche vari podcast sull’NBA: quando ho sentito di Doncic sono rimasto a bocca aperta».

Caprile è più di un semplice portiere.