Robin Gosens ha intervistato magistralmente André Schürrle

by Giacomo Brunetti

«Wie geht’s?», è la prima domanda che Robin Gosens pone a tutti i suoi ospiti. Un semplice «Come stai?». Da circa un anno ha aperto un podcast dove intervista persone comuni, alle prese con i classici problemi della vita di tutti i giorni. Poi, davanti al microfono, si è seduto André Schürrle.

C’è un passaggio bellissimo dopo circa 5 minuti di conversazione: «Sai cosa penso? E sono sicuro che puoi capirmi… credo che tutto dipenda dal fatto che lavoro in un settore in cui mentire a se stessi e agli altri è piuttosto comune, capisci? Tipo: ‘Ok, non è stata colpa mia, e se l’altra persona si fosse comportata diversamente, non mi sarei ritrovato in questa situazione’. E ti ripeti sempre: ‘No, non è stata colpa mia’. Quel settore è il calcio.

«Nella vita rispondiamo sempre ‘Bene, e tu?’ come riflesso automatico, non perché lo sentiamo davvero», ammette Schürrle, che si è ritirato a soli 30 anni dal calcio, dopo aver vinto anche il Mondiale con la Germania nel 2014.

C’è un passaggio di denuncia sincera che spiega il crollo di tanti calciatori: «In realtà, i media, i tifosi e l’ambiente esterno hanno sempre determinato inconsciamente le mie azioni. Come parlavo? Cosa dicevo? E cosa volevo veramente fare? Anche gli allenatori e la dirigenza hanno avuto un ruolo. Hanno sostanzialmente controllato tutta la mia vita perché tutto ciò che volevo era che mi amassero e mi apprezzassero».

Schürrle racconta della prima volta in cui ha subito la pressione. Aveva 22 anni, era costato 14 milioni. I dubbi hanno iniziato a insinuarsi nella testa, si chiedeva se fosse davvero così forte. Lì è iniziata la parabola che lo ha portato a vincere, ma anche a ritirarsi a 30 anni scomparendo dalla scena. Parla del momento in cui è esploso come il più triste della sua carriera, proprio perché ha iniziato a dover dimostrare e dovere qualcosa agli altri.

A cuore aperto, Schürrle parla di quanto sia difficile distaccarsi dai legami con il passato e dal rivivere le migliori situazioni eclissandosi dal proprio ego. Prende quasi le distanze dalla gloria per il Mondiale vinto, perché non vuole essere tormentato dal ricordo e sminuire il presente: «Ecco perché negli ultimi anni ho cercato di concentrarmi di più sulla mia identità, su chi sono, su cosa penso di me stesso».

Il calcio dà e toglie. Il mondo addosso gli è crollato quando, dopo l’exploit al Mondiale, ha ricevuto la chiamata di Mourinho: «Sei pronto per tornare al Chelsea?».

«Quel momento mi ha davvero ucciso, devo essere onesto. dover tornare a Londra e ricominciare da zero. Ci sono riuscito per le prime quattro settimane, e tutto andava bene, e poi sono crollato. Non volevo dover dimostrare di nuovo il mio valore in quel modo, dover dimostrare tutto di nuovo, ricominciare da zero. E questo mi ha davvero distrutto mentalmente, e ha avuto ripercussioni anche sul mio corpo. Ho finito per avere infortuni, varie cose che non mi facevano più stare bene, e ho passato dai sei ai nove mesi a gestire tutto finché non sono stato mentalmente pronto a far collaborare anche solo il mio corpo. Conosco momenti davvero, davvero brutti, ne ho avuti parecchi anch’io».

«Se rilasci un’intervista sincera e intendi davvero dire esattamente cosa pensi e cosa provi riguardo a qualcosa, inevitabilmente verrà interpretata negativamente in seguito e ti ritroverai con un altro putiferio per qualcosa». Proprio per questo, Schürrle ha scelto di parlare solo adesso.

André Schürrle si è ritirato a soli 30 anni, da campione del mondo, scomparendo dalla scena. La salute mentale era venuta meno. Anche quella lo ha portato sul fondo. In un podcast ideato e condotto da Robin Gosens, i due tedeschi hanno conversato e dibattuto su tante tematiche legate al calcio, al percorso personale e agli aspetti psicologici che colpiscono in ogni momento della nostra vita, nel bene e nel male.