Maxímo Perrone si chiama così per un motivo ben preciso. Era l’alba degli anni duemila e sua madre, a Buenos Aires, si era innamorata di un film che, come spesso accade da quelle parti, ha una forte connessione con l’Italia: “Il Gladiatore” di Ridley Scott. Una pellicola cult, una pietra miliare nella storia del cinema. «Mi racconta sempre di quanto fosse rimasta colpita da quel film, con protagonista il gladiatore romano Massimo, mi chiamo così per questo», e da lì ne è derivato Maxímo.
Perrone è un ragazzo argentino doc. Basta guardarlo, basta ascoltare il suo spagnolo e osservare le sue abitudini. Un dettaglio che non stona nel quadro del Como, anzi. Giovane, capello fluente, sorriso stampato in faccia, quell’aria che accompagna un gruppo di sbarbati in maglia blu e guidato da Fàbregas. «Mi vivo la città e tutto il contorno del lago, il cibo è più vicino alla cultura argentina e in gruppo siamo quasi tutti coetanei, ci divertiamo molto», ci racconta dalla lounge dello stadio Sinigaglia: «Nei giorni liberi restiamo a Como, andiamo a mangiare fuori, facciamo qualche gita fuoriporta».
I quattro trofei con il Manchester City e la chiamata in Inghilterra
Il suo viaggio è iniziato a Buenos Aires, «un posto che amo, e la verità è che l’Argentina mi manca sempre. Per me è il posto più bello del mondo». A 6 anni è entrato nelle giovanili del Veléz, «ho sempre avuto il pallone tra i piedi, a 20 anni ho fatto il capitano in alcune partite e ogni tanto mi riguardo un assist che ho fatto in Libertadores contro l’Estudiantes, perché quei momenti mi mancano tantissimo». Segue il campionato locale, senza dimenticare la società che lo ha cresciuto. Ma la sua vita in prima squadra, lì, è durata poco. «Mi iniziarono a dire che c’era il Manchester City interessato, ma vivevo tutto con leggerezza perché mi sembrava un mondo lontano e impossibile. Mi aggiornavano sulle chiamate, che proseguivano, e poi un giorno mi dissero che mancava solo l’approvazione di Guardiola, che pone sempre l’ultima parola».
Il primo giorno al City «ho fatto subito una riunione nel suo ufficio, non lo avevo conosciuto prima di quel momento. Avevo 20 anni, non conoscevo la lingua, la cultura era diversa e il Club così grande…», era l’anno in cui hanno vinto tutto, 4 titoli, perfino la Champions League contro l’Inter, partita in cui Perrone siede in panchina. «Vincevamo sempre, infatti ho giocato poco. Era tutto diverso da ciò che facevo in Sudamerica, non ero preparato a una cosa del genere, è tutto impressionante, dalla qualità degli allenamenti alla cura dei dettagli».
Perrone gioca poco, si adatta, e «Guardiola è stato sempre molto rispettoso nei miei confronti, abbiamo parlato molte volte e ho apprezzato stare insieme a lui. È geniale il modo in cui ogni settimana prepara le partite, sono stato fortunato a condividerci quei mesi». Non si sente a fondo un vincitore di quei trofei, «hanno fatto praticamente tutto loro. Ma vivere l’ambiente è stato impressionante». Poi è arrivato il Como.
Il Como, quello che all’inizio non sembrava vero
Dopo il prestito al Las Palmas, riceve la chiamata di Fàbregas. «Mi raccontò come sarebbe stato il Como, cosa sarebbe diventato. Praticamente mi raccontava un anno e mezzo fa quello che siamo oggi, e sembrava fantascienza. Mi sembrava un po’ folle, ma ho creduto alle sue parole e mi sono fidato. E poco a poco le cose cresciute». Il suo rapporto con il mister è ottimo: «Cerca sempre di farci migliorare, come squadra e come singoli. Ogni settimana mette dentro qualcosa di nuovo, non ci fermiamo mai». E Perrone in campo sembra quasi essere il suo prolungamento, un vero e proprio allenatore nel rettangolo verde: «Non è un ruolo che mi ha dato, ma mi viene naturale, l’ho sempre fatto fin dai tempi del Veléz». Sui centrocampisti apprezzati in Serie A, invece, senza dubbio «Calhanoglu mi ha impressionato ed è un’ispirazione».
La prima volta che lo hanno convocato in Nazionale era il 2023. E come tutti i novellini, ha dovuto cantare una canzone davanti a tutti. Peccato che… fosse presente anche Messi. «Un imbarazzo… è stato terribile, non so cantare. Ho improvvisato una cumbia argentina». L’esordio è arrivato il mese scorso, nell’amichevole contro l’Angola, «è stato bellissimo». Anche perché per Perrone la Nazionale è una delle cose più importanti: «Il mese del Mondiale in Qatar è stato il più bello della mia vita. Mi sono chiuso in casa, ho guardato da solo tutte le partite dell’Argentina, una cabala speciale». Nell’u-20 aveva conosciuto Nico Paz, che ha ritrovato a Como, «con cui ho un ottimo rapporto fuori dal campo», e con cui ha parlato la prima volta che il Como lo aveva contattato. Sono arrivati insieme. «Il tifo ci è molto vicino, l’allenatore ci dà modo di sbagliare e continua a credere in noi». Quando si è ritirato Busquets, Fàbregas lo ha accostato allo spagnolo, ma Perrone frena immediatamente: «L’ho sentito ma no, non scherziamo, lui è il miglior pivot di sempre e non c’è paragone». Ma a proposito di campioni, «ho giocato con Haaland ed è un vero animale, incredibile in tutto, sopratutto nella cura di sé».
Perrone è il faro del Como. Un ragazzo con radici profonde e identificabili che vuole la sua storia.
