Aduriz a Cronache: «Io e l’Athletic Bilbao, un amore in rovesciata»

by Francesco Pietrella
aduriz

Il sole tramonta nell’acqua e l’ombra si ritira, lo lascia lì da solo. Sulla spiaggia di San Sebastian è rimasto solo Aritz Aduriz, nove anni, e sembra averne almeno per un’altra ora. Lancia la palla in un cielo rossastro per tentare la ‘chilena’, la rovesciata, e lo fa in modo ossessivo. Ci prova una, due, dieci, venti volte. Non ascolta i richiami degli amici con il telo in mano, pronti ad andar via; non si cura di quel «torno per cena» rifilato ai genitori. 

La rovesciata al Barcellona

Ci sono solo lui, un pallone e una spiaggia deserta. Trent’anni dopo diventerà uno stadio, il San Mamés, ma ancora non lo sa. Aduriz sorride, prende fiato, racconta. «Non avevo mai segnato in quel modo, lo aspettavo da una vita. Avevo appena dato l’addio al calcio a 39 anni, era il 2019. Entro al minuto 87 e segno in rovesciata dopo due minuti, al Barcellona. Dopo quel gol, quel momento, quella corsa sotto la curva dove intravedo gli amici di una vita, ho detto ‘sì, posso smettere’». Aritz, in videochiamata da Bilbao, ci fa vedere il braccio: «Lo vedi? Ho la pelle d’oca. Era il mio sogno chiudere così. Da bambino passavo le ore sulla spiaggia cercando di fare rovesciate, con i pali delle porte messi su con le ciabatte. Se potessi fare un regalo a una persona che amo, uno solo, gli farei vivere quel giorno come l’ho vissuto io. Il mio ultimo gol da professionista con la chilena, davanti alla mia famiglia, con la maglia Athletic. Non è un sogno, è vita vera». 

Il simbolo di Bilbao

La storia di Aduriz inizia con una rovesciata e si chiude allo stesso modo. Dopo una vita in giro per la Spagna ora si gode la famiglia. Vorrebbe fare l’allenatore e trasmettere la sua passione ai ragazzini. Si racconta a Cronache e parla di Athletic, di sci di fondo, del Milan di Van Basten, del Loco Bielsa, di una maturità raggiunta a trent’anni e di Ciro Immobile. Un fiume di aneddoti che scorre via impetuoso; uno scrigno di storie che mostra tutto senza tralasciare niente, e sempre con il sorriso, lanciando un paio di moniti per le generazioni future: «Ho segnato il 70% dei miei gol dopo i trent’anni perché prima non avevo testa. A vent’anni potevo correre 90 minuti, saltare più in alto di tutti, arpionare ogni pallone con forza, ma la testa non c’era, tant’è che prima di diventare un simbolo ho lasciato Bilbao per ben due volte. La prima a 22, la seconda a 27. Quando sono tornato per la terza volta avevo 32 anni ed era l’ultimo treno della carriera». Afferrato al volo. 

Aduriz e il Loco Bielsa

Estate 2012. In panchina c’è Marcelo Bielsa. L’Athletic ha appena perso due finali, Europa League e Coppa del Re. Aritz sa che per tornare al top serve una svolta. Il Loco gliela dà. «Quando sento quel soprannome sorrido sempre. Marcelo è la persona più intelligente che ho conosciuto, molto lucido, scaltro, anche se per il calcio è totalmente folle. ‘Loco’». Aneddoti. «I suoi discorsi pre-partita sono unici. Dovevi solo ascoltare. Nella mia carriera c’è stato un prima e un dopo Bielsa. Non so come fa a mantenere quei ritmi di vita a quasi settant’anni. Per lui il calcio è una missione, un’ossessione. Vedrà 50 partite e settimana, forse di più». Tradotte in allenamenti infiniti: «Ripetevamo la stessa azione cento vuole. Ogni giorno. Non scherzo, eh. Lui è qualcosa di diverso da tutto ciò che ho visto. Nella sua testa ha milioni di giocate possibili per ognuno dei suoi, fatichi a stargli dietro. Inoltre fisicamente è molto esigente, ma resta di altro livello. Un Motivatore: ti fa sentire il più forte di tutti». 

La filosofia dell’Athletic

Athletic Club sta per filosofia. Sentimento. Una squadra di soli giocatori baschi – o formati in un settore giovanile di un club basco – contro il calcio moderno, i grandi introiti, gli incassi milionari, i trasferimenti alla Jack Grealish. A Bilbao no, e Aduriz spiega perché: «Noi siamo come Asterix e Obelix che resistono ai romani, o come un gruppo di amici di quartiere che sfidano le grandi città. Quando ho rifilato tre gol al Barcellona in Supercoppa non era solo pallone. Non lo è mai stato e mai lo sarà. Questo è il segreto dell’Athletic. Siamo più di una squadra di calcio, bensì un sentimento, un amore che non conosce soldi, milioni, confini, trofei. Si tifa Athletic a prescindere da tutto, e non è replicabile». Segnare al San Mamés vale di più: «Chi non conosce questo club o non ha mai visto una partita in quello stadio, si è perso una storia di vita. Anzi, si può dire che nella sua vita di sportivo, forse, gli manca qualcosa. L’Athletic è una quercia, come me». Sorride. Aduriz, in basco, vuol dire proprio quercia, l’albero che sfida il tempo e vince sempre: «Quando lasci Bilbao ti accorgi che è davvero speciale. Fidati di me, che purtroppo ho dovuto dire due volte arrivederci a questo stadio, a questa città». 

Muniain, una bandiera

Iker Muniain è ancora lì invece. Più di 500 partite con l’Athletic a 29 anni, dopo un paio di infortuni alle ginocchia: «La prima volta che l’ho visto aveva 14 anni. Quattordici eh, bada bene. Un bambino senza barba e ignaro della vita che si palesò in ritiro con noi, convocato a sorpresa da Ramalho. Una ‘locura’, no? Bassino, secco, un fuscello. E invece tutt’altro. Dribbling, doppi passi, numeri e gol. Dopo un paio di allenamenti ci siamo guardati, increduli. ‘Questo ragazzo da quale pianeta viene?’ Ha debuttato a 16 anni e chiuderà la carriera a Bilbao. I bambini hanno tutti la sua maglietta. È una leggenda».

Campione di sci di fondo

Come Aritz del resto, 172 gol in 407 partite con l’Athletic, anche se da bambino è stato un campioncino… nello sci di fondo: «I miei genitori sono stati maestri di sci, quindi io andavo sempre con loro. Ho sempre amato la montagna, così nel 1990 sono diventato vice campione spagnolo di sci di fondo. Ero bravino, ma pensavo solo al pallone». E quindi giovanili, squadrette, gol su gol in giro per il Pais Vasco, fino alla gran chiamata dell’Athletic a 19 anni: «Ero forte, ma la mia testa era tra le nuvole. La gente ama ripetere che il senso del gol è innato. Non sono d’accordo: per me si impara, e io ne sono la dimostrazione. L’annata migliore l’ho avuta a 36 anni segnando 36 gol e strappando un posto per l’Europeo. Totti, quando si è ritirato, ha dato la colpa al tempo, ‘maledetto tempo’. Beh, io invece lo ringrazio». Benedetto tempo, quindi: «Esatto. Con l’età ho alzato il livello. Il matrimonio tra me e l’Athletic è durato anni anche grazie a questo salto mentale». 

Il Milan e Immobile

Da ragazzino aveva altri miti, però: «Sono cresciuto con il Milan di Van Basten, Gullit e Rijkaard. Negli anni ci sono state voci riguardo un mio trasferimento in Italia, ma niente di concreto. Anzi, vuoi sapere la verità?». Eccoci: «Giocare in Serie A non mi ha mai attirato per un semplice motivo: lì per un attaccante è tosta! Il famoso ‘catenaccio’, le difese ostiche. Se sei un centrale allora ok, vai in Italia e diventi un top, ma per un attaccante la vita è dura». Commento da attaccante: «Ciro Immobile mi piace, segna almeno venti gol a campionato e non è facile. È la punta italiana più forte». In Liga, è invece, è arrivato Lewandowski: «Sta superando ogni aspettativa. L’ho sempre ammirato per la completezza, il carattere, la fame». Come Benzema, ormai prossimo al Pallone d’Oro: «Se lo merita tutto. E ora posso dirlo: quanto l’ho sofferto in carriera. Giocare contro quel Real… di che parliamo? Karim è un top. Si è adattato a Cristiano Ronaldo e adesso è diventato un goleador. È il migliore». 

Innamorarsi a Bilbao

L’ultimo flash è su Joaquin, ancora in campo a 41 anni da bandiera del Betis: «Abbiamo giocato insieme a Valencia. Ogni spogliatoio avrebbe bisogno di uno come lui: scherza, ti fa sentire speciale, porta allegria, e poi è forte. Nonostante l’età continua a stupire. Cura il fisico, si diverte. Ecco, forse il suo segreto è questo: divertirsi nel club di cui è innamorato». Aritz ne sa qualcosa: «Io e l’Athletic ci siamo trovati». Come quel pallone colpito in rovesciata, sotto un tramonto rosso Bilbao.