Santa Sofia, la cattedrale del calcio che l’AEK aspettava da una vita

by Redazione Cronache
Agia Sofia

Se la Cattedrale di Istanbul viene inaugurata il 27 dicembre 537 d.C., allo stadio dell’AEK tagliano il nastro lo scorso 30 settembre. Il nome è lo stesso: Agia Sofia, ovvero Santa Sofia. La prima è la ex sede papale, poi adibita a moschea, quindi museo e di nuovo moschea, situata nel punto più alto di Istanbul di cui è evidentemente il simbolo. La seconda Sofia è lo stadio dell’AEK, aperto come detto il 30 settembre scorso a suon di pianti, striscioni commoventi, tifosi che si prostrano per baciare l’erba. C’è il presidente dell’AEK, Dimitris Melissanidis, che parla di una «battaglia personale»: «Sembrava un sogno, è diventato realtà». C’è un videomessaggio di Bartolomeo I, il Patriarca ecumenico. Ci sono le vecchie leggende dell’AEK. A seguire, quattro giorni dopo, ovvero lunedì 3 settembre, arriva anche la prima partita: l’AEK batte 4-1 lo Ionikos ed è festa grande. A chi si fosse chiesto se non sia tutto eccessivo, trattandosi dell’inaugurazione di uno stadio, c’è naturalmente una risposta. L’AEK ha aspettato Agia Sofia per quasi vent’anni. L’AEK, che è il club dei rifugiati, è rimasto quasi vent’anni senza una casa. Un contrappasso su cui c’è molto da dire.

Agia Sofia

Agia Sofia, new AEK stadium. Source: Instagram @aekfc_official

 

«Nero in lutto, giallo come la Chiesa»

«Allora, l’AEK è una società nata 98 anni fa, dai colori sociali giallonero. Il nero è in segno di lutto, per la tragedia dello scambio delle popolazioni dopo la guerra greco-turca, il giallo come simbolo della chiesa bizantina, da cui anche l’Aquila bicefala. Che si trova anche come statua all’esterno dello stadio ed è anche presente nello stemma dell’AEK, ma anche del Paok, perché le origini sono molto simili», racconta a Cronache Enzo Navarra, giornalista italo-greco, tifoso dell’AEK e per questo presente all’inaugurazione dell’Agia Sofia. «AEK letteralmente vuol dire ‘Unione sportiva di Costantinopoli’. Attenzione: Costantinopoli, ho detto. Il greco è una delle pochissime lingue, se non l’unica, che chiama Costantinopoli in questo modo e non Istanbul. Tornando all’AEK, è il terzo club greco per trofei vinti, dopo Olympiakos e Panathinaikos. È anche l’unica squadra ad aver raggiunto i quarti di finale in tutte e tre le competizioni europee: Coppa delle Coppe, Coppa UEFA e Coppa dei Campioni. Ora è reduce da un paio di stagioni abbastanza negative, per questo il nuovo stadio può essere importante anche dal punto di vista sportivo».

AEK, la guerra, i rifugiati

Era il 1926 quando Kostantinos Spanoudis, il primo presidente dell’AEK, ottenne da Eleftherios Venizelos, l’allora Primo ministro greco, un lotto di terra nel sobborgo ateniese di Nea Filafelfia, a nord della capitale greca, dove giusto in quegli anni si ospitavano i profughi provenienti dall’Asia Minore. Ma fermiamoci un istante. Punto primo: Spanoudis, oltre che primo presidente dell’AEK, è politico e giornalista, consigliere di Venizelos (che gli concede quel lotto di terreno) durante la prima guerra mondiale. Punto secondo: tra 1919 e 1922, Turchia e Grecia sono in guerra. Dopo il crollo dell’Impero ottomano, la Grecia vuole espandersi sul Mar Egeo e annettere Costantinopoli, mentre la Turchia di Mustafa Kemal Atatürk vuole uno stato indipendente. Che ottiene, visto che vince il conflitto. La Turchia ha i confini attuali, i greci assistono alla Catastrofe. La chiamano così, καταστροφή: lo scambio di popolazioni per cui i greci che da millenni abitavano in Asia Minore non sono più benvoluti. Quasi un milione e mezzo di persone, rifugiati, si stabilisce in Grecia dove nel 1924 nasce l’AEK – fondato appunto da greci fuggiti da Costantinopoli dopo la guerra greco-turca – e dove nel 1926 Spanoudis ottiene dal Primo ministro Venizelos quel lotto di terreno.

Dal Loukas Barlos ad Agia Sofia

Il terreno di Spanoudis diventa uno stadio di calcio a uso della squadra fondata dai rifugiati. La costruzione inizia nel 1926, finisce nel 1929 e nel 1930 viene inaugurato alla presenza del Primo ministro Venizelos. Si chiama lo stadio di Nea Filadelfia, poi dal 1991 è dedicato a Loukas Barlos, presidente dell’AEK che negli anni Ottanta decide una ristrutturazione dello stadio, diventato ora il più capiente di Atene. Fin qui tutto okay, sennonché il 7 settembre 1999 Atene viene sconvolta dal terremoto. Magnitudo 5,9 Richter, epicentro a 50 km dall’Acropoli, 143 vittime e oltre 50mila edifici danneggiati. Tra cui lo stadio dell’AEK, demolito nel 2003 pure perché di lì a poco Atene ospita l’Olimpiade e si decide di costruire un impianto più moderno. Ma il Ministero greco dello sport “esclude” lo stadio dell’AEK tra quelli che ospitano l’Olimpiade – in favore del Karaiskakis de Il Pireo, casa dei rivali dell’Olympiakos – e, nell’estate in cui la Grecia di Otto Rehhagel vince inaspettatamente l’Europeo di calcio, il presidente dell’AEK, che è Giannis Granitsas, presenta al Comune di Atene i progetti per il nuovo stadio. Che non arriverà prima di 19 anni. Il 3 maggio 2003, l’AEK gioca la sua ultima partita allo stadio Loukas Barlos, poi demolito. Burocrazia, cavilli, intervengono il Consiglio di Stato e il Ministero dell’agricoltura. Si blocca tutto.

AEK, dalla retrocessione al nuovo stadio

L’AEK – il club dei rifugiati – si trova beffardamente senza una casa. È ospite allo stadio olimpico di Atene, OAKA, dedicato a Spyridon Louis detto Spyros, il greco che nel 1896 ha vinto la prima edizione della maratona di un’olimpiade moderna. È uno stadio che l’AEK non riconosce: freddo, capiente, vuoto, con la pista d’atletica intorno al campo. Allo stadio olimpico di Atene, nel 2013 l’AEK retrocede per la prima volta nella sua storia (addirittura finisce in terza serie per problemi economici). Allo stadio olimpico di Atene, nel 2018 l’AEK vince il suo 12° e ultimo campionato greco, il primo dopo 24 anni. Merito di un tecnico spagnolo, Manolo Jiménez, e una squadra in cui giocano tra gli altri l’argentino Sergio Araujo e tre ex Serie A: Kone, Christodoulopoulos e Livaja. Il 5 maggio 2018, 40mila persone scendono in strada a Nea Filadelfia per festeggiare il titolo. Tra la retrocessione del 2013 e il campionato del 2018, è successo qualcosa. Il 28 luglio 2017 sono infatti iniziati i lavori dello stadio Agia Sofia, che Dimitris Melissanidis ha presentato alla stampa nel luglio 2013 e di cui qualche mese dopo erano già usciti i rendering. Da qui l’iter burocratico, l’approvazione del Ministero delle finanze e gli studi sull’impatto ambientale. Oltre cinque anni di lavori, poi l’inaugurazione. Per questo Melissanidis parlava di una «battaglia personale».

Agia Sofia, 19 anni e una webcam

Da nemmeno 10 giorni, l’AEK ha un nuovo stadio, atteso oltre 19 anni. Nel frattempo, hanno però allestito un sito internet, www.agiasofia.today, che trasmetteva in diretta, 24/7, pure di notte, lo stato d’avanzamento dei lavori. Chiunque poteva collegarsi e osservare tramite webcam le colate di cemento, la posa delle finiture, eccetera. «Per questo ti dico che esser entrati nella nuova casa, anche dal punto di vista dei risultati, è molto importante», prosegue Enzo Navarra a Cronache. «L’AEK rappresenta i rifugiati di Costantinopoli e dell’Asia Minore in generale che si son stabiliti ad Atene. Anche il comune di Nea Filadelfia è rappresentativo, perché è pieno di profughi come la zona di Atene limitrofa, in cui è nato un club che si chiama Apollon Smyrnis e ha radici simili. Lo stadio dell’Apollon, Rizoupoli, è dove l’AEK ha giocato le prime due partite di campionato in casa. E si trova a un chilometro scarso dall’Agia Sofia, quindi…».

«Nonno, siamo tornati a casa»

«ΠΑΠΠΟΥ ΓΥΡΙΣΑΜΕ ΣΠΙΤΙ ΜΑΣ». Tutto maiuscolo, rigorosamente. È uno degli striscioni più commoventi, tra quelli srotolati all’inaugurazione di Agia Sogfia: «Nonno, siamo tornati a casa». Il sito web dell’AEK scrive: Η ιστορική νύχτα της μεγάλης επιστροφής, «la storica notte del grande ritorno». Se nell’Odissea di Omero Ulisse torna ad Itaca dopo vent’anni di assenza e dieci di peripezie per la Grecia, l’AEK torna a casa dopo 19 anni. L’aquila che spicca il volo all’inaugurazione dello stadio, la mascotte del club, si chiama proprio Odysseas. Ulisse. C’è spazio per i due presentatori, il musicista Antonis Antoniou e l’attrice Natalia Dragoumis. Si canta una canzone, Σα ξένα είμαι Ελληνας, il cui titolo è emblematico: «In terra straniera, io sono greco». C’è l’esibizione di 300 ballerini, poi l’Orchestra filarmonica del Comune di Atene. Il Comune valuterà presto una nuova linea della metropolitana, la numero 4, per meglio collegare lo stadio. E ci sono 32 leggende dell’AEK che sfilano. C’è Kostas Nestoridis, 92 anni, in sedia a rotelle, accompagnato dal figlio che su Facebook scrive: «Ricorderò questo momento fino alla morte». Ci sono Dusan Bajevic o Daniel Batista, c’è Demis Nikolaidis, campione d’Europa nel 2004. «L’apertura dello stadio accade esattamente a cento anni da quando migliaia di persone hanno lasciato, costrette, le loro case in Asia Minore, Cappadocia, Ponto e Tracia orientale. Si sono ritrovati in trincea nella Grecia metropolitana, hanno preservato le loro tradizioni, la loro cultura, con nostalgia. L’AEK è un’idea, e le idee non muoiono», ricorda in un video il Patriarca ecumenico Bartolomeo.

Agia Sofia, l’AEK e la storia

«Non è solo uno stadio. È un centro che preservi memoria, cultura e sport. Stiamo lavorando al Museo dei rifugiati dell’Ellenismo. Lo stadio ha 45 porte, che portano i nomi delle differenti città da dove sono fuggiti i nostri nonni. Costantinopoli, Smirne, Trebisonda e molte altre», gli fa eco Dimitris Melissanidis, detto Mimis. Lui è stato presidente dell’AEK tra 1992 e 1993, poi tra 1994 e 1995, infine nel 2013 è tornato a capo del club dopo la sopracitata retrocessione interza serie. È un imprenditore, ha fatto fortuna tra spedizioni marittime e petrolio e, dettaglio non trascurabile, è figlio di un rifugiato. Tifa per l’AEK e deteneva tra l’altro pure l’OPAP, l’azienda statale di lotterie e scommesse sportive. Che oggi dà il nome all’Agia Sofia, un fruttifero accordo sul naming. Il nuovo Agia Sofia conterrà una cappella dedicata a San Luca (in memoria di Loukas Barlos, l’ex presidente dell’AEK a cui era dedicato lo stadio precedente), non conterrà invece attività commerciali. Il progetto di Agia Sofia è dell’architetto Athanassios Kyratsous: le mura esterne riprendono il profilo di Costantinopoli, quattro torri massicce e una statua all’ingresso con un’aquila che si alza in volo dalla cupola della chiesa di Santa Sofia. Gli ingressi sono dedicati ai giocatori più importanti nella storia dell’AEK, tra cui Thomas Mavros. Tutti gli ingressi tranne il 21, dedicato all’Original 21, storico gruppo della tifoseria organizzata dell’AEK, fondato nel 1975 dopo la caduta della dittatura dei colonnelli. Di nuovo, calcio e storia vanno a braccetto.

Odysseas, l’aquila e il Barça

Lunedì 3 ottobre scorso, come detto, l’AEK gioca per la prima volta all’Agia Sofia, 6° giornata del campionato greco. Batte 4-1 lo Ionikos davanti a 32mila tifosi. Il primo gol è di Mihat Gaćinović, che con l’AEK non aveva ancora segnato. Poi Levi Garcia, Sergio Araujo e ancora Gaćinović, mvp: «È stato incredibile, non vedevamo l’ora di giocare e infatti abbiamo giocato la nostra miglior partita della stagione». A un giornale, Glas Srpske, aveva detto: «A volte i tifosi ci offrono da bere o ci pagano il pranzo quando siamo al ristorante, è incredibile quanto amino questo club». È l’AEK allenato da Matias Almeyda, ex laziale, che proprio per questo si è concesso un paragone: «L’aquila della Lazio, Olympia, non ha mai volteggiato come Odysseas». Odysseas è la sopracitata aquila simbolo dell’AEK. Nei giorni scorsi pure Joan Laporta, presidente del Barcellona, è stato in visita all’OPAP Arena, ospite di Melissanidis: «Si dice che il Barcellona sia més que un club, l’AEK idem», dice al sito del club, mentre lo scrittore Vassilis Sambrakos racconta la storia della sua famiglia, di suo nonno Vassilis nato nel 1914 e arrivato orfano in Grecia. Stabilitosi ad Atene da rifugiato, ha visto la costruzione dello stadio nel 1930. Suo nipote ha assistito ad Agia Sofia.

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«Trasferta fighissima, pieno di torce»

Poteva mai mancare alla prima storica partita dell’AEK nella nuova casa? «È stata una trasferta fighissima», racconta Federico Roccio, alias il cacciatore di stadi, a Cronache. «Ho scelto di non seguire il mio Milan nelle trasferte di Champions perché sapevo che la partita d’apertura qui ad Atene sarebbe stata uno spettacolo. Lunedì mattina mi sveglio alle 4:25, arrivo ad Atene con un’ora di fuso. Pranzo con una pita gyros e corro per la città. Arrivo all’Acropoli, poi giro per gli stadi di Serie B greca: Kallithea, Fortyras, Prodeftiki. Quindi arrivo allo stadio dello Ionikos Nikais, che è la squadra di Serie A greca che quella stessa sera avrebbe giocato contro l’AEK. Sono 17 km di corsa. Torno coi mezzi in albergo, tempo di una doccia e vado allo stadio dell’AEK. Ceno con tre souvlaki, ritiro il pass stampa e… Ti dico, immaginavo che essendo la partita d’apertura avrebbero fatto una bella coreografia. Non mi aspettavo però di trovare un pyro party da parte di tutto lo stadio. Hanno tardato di mezz’ora l’inizio della partita, c’erano torce ovunque. Quando il fumo è andato via, sono entrati i giocatori e c’è stata un’altra torciata. Lo speaker continuava a dire “basta accendere le torce”, perché comunque la partita non sarebbe potuta iniziare. E poi invece c’era un gruppetto negli Original 21 che continuava ad accendere torce». Spettacolo.

«Pazzesco, aspettavano da 19 anni»

Federico Roccio prosegue: «È stato pazzesco, non solo perché l’AEK ha fatto quattro gol. In Grecia io ne ho viste tante di partite. Ho visto Panathinaikos, Atromitos, l’Olympiakos due volte, ho visto l’AEK all’OAKA, ho visto l’Ofi Creta. Tifoserie pazze, poi io ho un debole per la Grecia, quindi puoi capire, stravedo per loro. Però sono uscito da Agia Sofia che sapevo di affumicato…», ride. «È un bell’impiantino. Da fuori ricorda una chiesa, infatti è intitolato a Santa Sofia, poi loro la chiamano ancora Costantinopoli. Si chiama OPAP perché il presidente dell’AEK gestisce OPAP, una specie di Snai nostra. Lo stadio, ripeto, è un gioiellino. Mi ha ricordato i classici stadi moderni europei. Io preferisco gli impianti vecchi e romantici, ma l’OPAP è un catino bollente. Le mie sensazioni? Era gente che non vedeva l’ora dopo 19 anni, di riavere uno stadio proprio, uno stadio per sé. Giocare così tanti anni in un impianto freddo, distaccato, grande come l’OAKA… Che poi Agia Sofia non è uno stadio pronto. Hanno corso come dei matti per giocare lì, accelerando i tempi di brutto, ma non è pronto, ci sono ancora delle cose da sistemare. Voci dicono che può darsi lo richiudano…».

«Ho pianto, ho perso la voce»

Lo interrompe Enzo Navarra: «Si attendeva l’inaugurazione dal momento in cui è stato buttato giù il vecchio stadio, ossia inizio maggio del 2003. Tu capisci che dopo quasi vent’anni di storia in cui l’AEK non ha proprio giocato in quella zona, si è persa una generazione di tifosi gialloneri, che non ha mai visto la propria squadra giocare nel proprio stadio, a casa sua. Ero all’inaugurazione e ti giuro che ho visto stadi – non quanti Federico – e partite importanti, ma giuro di non aver mai pianto entrando dentro uno stadio. Significa tanto per l’AEK, è il segno di una rinascita, ha avuto tantissimi problemi burocratici. Il primo progetto è presentato nel 2013, nove anni fa, capisci che l’inaugurazione ha scritto la storia dell’AEK e pure della Chiesa ortodossa, perché c’è stata la benedizione dell’arcivescovo di Nea Filafeldia. Apro una parentesi personale. All’inaugurazione ho portato mia mamma, lei grande tifosa dell’AEK, ha vissuto anche a Nea Ionia, zona accanto a Nea Filadelfia, lei ha vissuto il periodo dell’AEK negli anni Sessanta, Settanta, in cui lo stadio Nikos Goumas, il vecchio stadio, era un punto di riferimento per l’AEK. Ho provato la pelle d’oca. Ho pianto un paio di volte, ho perso la voce. Ho visto leggende come Nestoridis, lui ha più di 90 anni e ha sempre detto di voler entrare in questo stadio. Ha detto che uno stadio così nemmeno il Real Madrid ce l’ha. Vederlo entrare con la sedia a rotelle è stato incredibile». E ancora: «Siamo tornati a casa dopo 19 anni. L’AEK è del 1924, due anni prima del centenario. Spero che faccia o stesso effetto – sportivo – che ha fatto alla Juve lo Stadium…».