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Alessandro Buongiorno

Mi è arrivata un’offerta dalla mia squadra del cuore: un provino con il Torino. Tutta la mia famiglia, da sempre, è granata. Sono andato ad allenarmi con loro, insieme a un mio amico, e mi hanno scelto. Ma non so se accettare: al Barracuda, la società del mio quartiere, sono il più forte, e mi permette anche di continuare con il nuoto. Forse è meglio se lascio il posto a qualcuno che ci crede più di me. Io voglio solo divertirmi con i miei amici.

 

Benedetti, il responsabile della scuola calcio, mi ha detto: «Dai, vieni qui per tre mesi. Se non ti trovi bene, torni indietro».

Alla fine, il Torino è stata la mia scelta. Nei primi mesi ero tesserato anche per il Barracuda, e una volta è capitato addirittura che giocassimo contro! Ho fatto un tempo con ciascuna squadra. In passato gli avevo anche segnato un gol: ho una foto di me al Barracuda contro il Toro. Stiamo facendo un sacco di tornei: oggi abbiamo fatto una partita con il Genoa e ho marcato un ragazzino che si chiamava Nicolò. Zaniolo, mi sembra. Un bel duello.

Non voglio nascondere che gioco a calcio, ma tengo un basso profilo. Non sono uno di quelli che va a sbandierare in giro che fa parte di una società professionistica. Oggi ho conosciuto un ragazzo, Alessio, durante la ‘Settimana dei recuperi’ a scuola. Non avendo insufficienze, sono andato al campetto dell’istituto. Mentre giocavamo, mi raccontava che era il capitano del Cenisia. Mi diceva di quanto fosse forte, dei suoi gol. Stasera gli ho inviato l’amicizia e mi ha scritto su Facebook: «Ho visto che giochi nel Torino. Avevo sentito il tuo nome, solitamente quelli che giocano nei pro si conoscono…». Gli ho risposto: «Ciao, sono Alessandro, il ragazzo che hai conosciuto oggi a scuola». Il giorno dopo a scuola è venuto da me: «Ma come? Sono stato tutto il giorno a tirarmela che ero il capitano del Cenisia… e tu invece giochi nel Toro!?».

 

Sono fatto così: una volta, durante una vacanza in Abruzzo con i miei genitori, soltanto l’ultimo giorno quelli del gruppo vacanze hanno scoperto che giocavo a calcio. Mentre parlavano con i miei, mio padre ha menzionato il Torino. E tutti sono rimasti sbalorditi: «Ma Alessandro non ci ha detto niente in questi 10 giorni!». Non mi sono mai sbilanciato, vivo il mio sogno a occhi aperti, come quando faccio il raccattapalle per la Primavera o per la Prima Squadra.

Finalmente l’ho presa! Ho finito le superiori, sono uscito con 86. Mamma mia, è stata un’impresa negli ultimi due anni. Da quando sono salito in Primavera, ci alleniamo la mattina o facciamo il doppio allenamento giornaliero. Ma non ho mai messo in discussione lo studio, per me è fondamentale. Anche perché la mente allenata te la porti in campo, riesco a capire tante cose grazie a questo. Devo ringraziare i miei professori: hanno visto quanta dedizione ci ho messo per concludere al meglio il liceo scientifico statale. Allenandomi la mattina e giocando di sabato, si sono resi disponibili ad arrivare a scuola prima dell’apertura per interrogarmi o farmi fare le verifiche. Ho passato due anni a studiare fino a tarda notte, andare alle 7.30 per sostenere le mie prove e poi al campo. Frequentavo le lezioni solo 3 volte a settimana, poi mi mettevo in pari nel pomeriggio. Ho fatto la mia tesina sul Torino, creando i collegamenti tra le varie materie.

Voglio segnarmi qui tutti i modi con cui le persone ironizzano sul mio cognome. Ormai ho imparato, quando mi presento dico «Alessandro Buongiorno, come il saluto», prima che qualcuno non capisca. Come il primo giorno al Torino. Sono arrivato in campo, davanti a tutti, e l’allenatore mi ha chiesto: «Come ti chiami?». E io: «Buongiorno». E lui: «Buongiorno anche a te, come ti chiami?». E io: «No no, Buongiorno». Insomma, siamo andati avanti un minuto… e da lì è diventato un rito. Mi capita continuamente, dalla posta alle segreterie. Mi dicono: «Immagino che te la facciano tutti questa battuta!». Eh sì ahah! Moretti, in Prima Squadra, mi dice sempre che sono presuntuoso: «Ogni volta che saluti qualcuno, dici il tuo cognome!». A lui devo tanto, insieme a Burdisso mi ha sempre fatto sentire parte dei grandi. Fin dalle prime convocazioni: «Ricorda che sei uno della Prima Squadra, anche se non giochi». Hanno creduto in me.

I miei amici mi apprezzano perché sono rimasto quello di sempre. Sia con loro, quando usciamo: parliamo di calcio solo se me lo chiedono, ascolto e dico le mie impressioni. Con i conoscenti, invece, cerco di raccontare qualche aneddoto, restando in superficie. Sono quello che va sempre al chioschetto dietro lo stadio per giocare a carte. Ci puoi trovare lì anche per 2-3 ore: certo, prima era più facile, ora capita che debba fare qualche foto. Scambio quattro chiacchiere con i baristi e ce ne stiamo lì a divertirci in tranquillità.

 

Ho fatto il mio percorso e non sono cambiato, da quello che dicono gli altri. Neanche io mi sento cambiato, non ho mai sbandierato l’essere calciatore e tutto ciò che ne consegue. Ho vissuto un sogno a occhi aperti, come quando ho fatto il raccattapalle in Europa League contro l’Athletic Bilbao e lo Zenith. Ero proprio accanto alle panchine, e dato che contro il Bilbao era andata benissimo, la società aveva richiamato gli stessi ragazzini e li aveva disposti nel medesimo modo contro lo Zenith.

Capitano del Torino. Ti rendi conto, Alessandro? Capitano dei grandi. Contro il Sassuolo, lo spogliatoio mi ha dato la fascia. La più grande soddisfazione è stata questa: essere scelto dai miei compagni. Avevo già indossato la fascia nelle giovanili, oppure quando in alcune partite il capitano era uscito dal campo. Ma così, da titolare, è qualcosa di inspiegabile. Cerco di essere amico dentro e fuori dal campo, tanti dicono che non è necessario ma secondo me ti dà la spinta in più.

 

Ho esordito in Prima Squadra nel 2018, poi ho fatto un anno e mezzo di prestiti, ma per il resto ho vissuto nel Torino, nella mia squadra. Sono andato a Superga a leggere i nomi da capitano della Primavera, per noi è un privilegio e un’emozione entrare in quella basilica o andare davanti alla lapide. Sentiamo che i nostri tifosi vedono in noi gli eredi che devono portare in alto il nome. Lo sento dentro. Il giorno del mio esordio, a 18 anni, contro il Crotone, è stato il più bello e il più brutto: entro, ma dopo 6 minuti mi faccio male ed esco. Ho subito avuto modo di capire le differenze, però. Su tutti, quella di Lorenzo Pellegrini: in tutti questi anni, è colui che più ho ammirato in campo, per tecnica, posizionamento, orientamento del controllo e passaggio.

Abbiamo appena finito il ritiro in Spagna durante questo Mondiale. Andrò a fare lo stage in Nazionale. Abbiamo ricaricato le batterie e ci siamo uniti come squadra. Sempre sotto il segno delle battute sul mio cognome: anche perché in squadra ci sono pure Adopo e Ola… Aina. Insomma, potete immaginare cosa possa accadere in spogliatoio. Adopo mi ha fatto morire dal ridere nell’amichevole contro l’Almería. Lui è solito salutare dandoti il cinque e poi battendosi sul petto il pugno, in segno d’amicizia. Ecco, gli è scappato di farlo pure con l’arbitro. Non ci credevo!

Ho consegnato la tesi: adesso devono solo convalidarla e darmi il voto. A febbraio mi laureo! Non ho mai pensato di smettere di studiare dopo la Maturità. Appena dato l’esame, sono andato in prestito al Carpi, e dato che erano stati due anni frenetici per coniugare tutto con il calcio, me ne ero preso uno di riposo. Ma mi sono accorto subito che avevo tanto tempo libero dopo gli allenamenti: uscivo, giocavo alla play, mi sembrava di sprecarlo. Così, tornato a Torino, mi sono iscritto a un’università online che mi permettesse di non dover frequentare. I primi esami sono stati in presenza: che caos! Uno stavo per saltarlo! Avevo il treno per Milano, ma l’allenamento si è protratto e sono arrivato all’ultimo secondo. Per fortuna, l’ho passato. Ho concluso l’università in tempo, dando gli esami anche a distanza da Trapani, dove ho passato 6 mesi in prestito, e poi con il Covid sono diventati online. Menomale.

 

Ero indeciso tra Economia e Scienze Motorie, la prima era più distante dal calcio e incline con ciò che mi piaceva studiare. Mi sono messo con costanza sui libri, evitando le studiate dell’ultimo secondo e soprattutto dando gli esami in ogni momento. Addirittura, nella scorsa stagione, ne ho dato uno in ritiro a Cagliari, prima della partita. Mi sono barricato in stanza, pregando che il personale delle pulizie non entrasse, perché al minimo rumore ti annullano l’esame. Potevo laurearmi a ottobre, ma avrei dovuto consegnare la tesi mentre ero in ritiro ed era oggettivamente impossibile. Il corso che ho scelto è sulle strategie di comunicazione nel marketing: ho fatto la tesi sul marketing emozionale con vendita al dettaglio dell’intrattenimento, portando a esempio il caso del Torino. Ho intervistato il direttore commerciale e coloro che gestiscono il Granata Store. Ora voglio fare la Magistrale, o un Master, oppure intanto studiare lo spagnolo.