Se le sconfitte con la Norvegia hanno condannato gli Azzurri di Gattuso ai play-off di marzo per il Mondiale del 2006, c’è un’Italia che invece sta facendo parlare di sé per meriti, prestazioni e grandi traguardi: l’U19 di Alberto Bollini.
In questa sosta nazionale gli Azzurrini hanno giocato tre partite contro Moldavia, Bosnia-Erzegovina e Polonia chiudendo al 1° posto nel girone di qualificazione al prossimo Europeo garantendosi così l’accesso alla fase élite. Tra gli assoluti protagonisti c’è Alessandro Ciardi, centrocampista classe 2007, di proprietà del Parma, e autore di una doppietta nel match con la Moldavia. La 10 azzurra e il nome riportano alla mente un altro, grande ‘Alessandro’: Del Piero. Ci arriveremo.
«Col Parma all’Olimpico: sembrava un videogioco»
Ciardi è diventato uno dei punti fermi dell’U19, ma con l’azzurro ha un conto in sospeso. Andiamo con ordine.
È arrivato carico alla sosta dopo la prima convocazione in prima squadra con il Parma di Cuesta a fine ottobre: «È stato totalmente inaspettato. Mi sono allenato una settimana con loro ma continuavo a ripetermi: ‘Dai, non mi chiameranno dopo appena 7 giorni’. Eppure Cuesta mi è sempre stato vicino, riempiendomi di indicazioni. Quando mi hanno detto ‘Ale, sei convocato contro la Roma all’Olimpico’ è stata un’emozione grandissima. Non è semplice da spiegare. È solo il primo mattoncino, anzi forse metà: sarà completo quando esordirò. Ma intanto già lì sembrava di essere in un videogioco».
Il Parma è in piena lotta per la salvezza, ma l’arrivo di Carlos Cuesta – appena 30 anni! – è una dimostrazione del coraggio e delle ambizioni della società: «È sempre presente, vive la partita e gli allenamenti con noi, cerca di spronarci al massimo. Chi mi ha impressionato della prima squadra? Pellegrino. È davvero fortissimo: appoggia perfettamente, fa sponde, tiene il pallone. Lavora tantissimo, vedrete cosa diventerà!».
Di esempi di grandi attaccanti, d’altronde, Alessandro ne ha avuti eccome. È tornato in Italia lo scorso febbraio dopo l’esperienza sfortunata al Salisburgo: «Volevo tornare in Italia perché non ero liberissimo di testa. Ho superato varie difficoltà, ma non riuscivo a dare il 100% dopo gli infortuni. Parma era la piazza giusta per ripartire, ma non mi pento di aver scelto il Salisburgo».
Al Salisburgo sognando Haaland
Il Salisburgo è stato la cantera da cui sono usciti Adeyemi e Szoboszlai e il club in cui Haaland si è fatto conoscere al mondo intero: «Nel 2023 ho scelto di lasciare l’Inter dopo 11 anni: il Salisburgo mi aveva convinto perché aveva un progetto su di me. Ha delle strutture imparagonabili rispetto a qualsiasi centro sportivo in Italia».
Una scelta che conferma il trend degli ultimi anni con tanti nostri giovani – Ciardi, Casadei, Gnonto, Ndour giusto per citarne alcuni – che scelgono di lasciare l’Italia per ritagliarsi altrove il proprio spazio: «Al Salisburgo i giovani sono al centro di tutto. In Europa League giocano tanti ragazzi che erano con me. Essendo tanti stranieri, è stato semplice far gruppo perché eravamo tutti nella stessa condizione: passavamo tutto il tempo insieme. Le uniche cose complicate erano la lingua tedesca… e il cibo, ovviamente».
L’avventura di Alessandro non è andata per il verso giusto per via degli infortuni, pur riuscendo a giocare nella seconda serie austriaca con il Liefering, la squadra B del Salisburgo. Le premesse d’altronde c’erano tutte con Christoph Freund, l’attuale ds del Bayern Monaco, che aveva premuto personalmente pur di acquistarlo: «Non mi pento della mia scelta: sono maturato e cresciuto andando via di casa. Non è stato semplice: all’inizio ho fatto un ottimo torneo in Brasile. Come sono arrivati gli infortuni, poi, ho iniziato a soffrire la distanza, ma è stato importante confrontarmi con una mentalità differente e caratteristiche diverse. So che i problemi fisici hanno fermato la mia crescita».
Ne parla con grande consapevolezza, senza dimenticare le emozioni vissute: «Appena entravi nel centro sportivo c’erano i pannelli di Adeyemi e Szoboszlai. Erano messi lì per un motivo ben preciso: ‘il prossimo potrai essere tu’. Già solo essere accostati a giocatori del genere, quando sei poco più che un ragazzino, è una cosa che ti sprona a dare tutto».
Da quelle parti, nonostante non sia cresciuto nel settore giovanile, è Haaland ad avere lasciato l’impronta più importante con 29 gol in 27 gare nel 2019, prima di trasferirsi al BVB: «Spesso ci raccontavano qualche aneddoto su di lui. La sua mentalità ci lasciava impressionati: lavoro, lavoro, lavoro. Solo quello. Mi è rimasto impresso un racconto: una volta Erling avrebbe dovuto registrare un semplice video di auguri per un ragazzo. Era una richiesta dello staff, in un momento in cui lui stava riposando. Ma li ha subito fermati: ‘Prima finisco tutto quello che devo fare’. Non ammetteva distrazioni: era una macchina. Una volta finito, è andato a registrare il video: per lui, anche quello era lavoro. E non scherzo, hanno detto che è così: sarebbe potuto andare a riposarsi e invece no».
Il suo derby d’Italia: 11 anni all’Inter con Del Piero come idolo
Il sì al Salisburgo è stato più che sofferto. Ciardi ha lasciato casa sua, l’Inter, dopo esserci entrato ad appena 5 anni: «Ricordo ancora il giorno in cui mio padre mi disse dell’Inter. Ero in un parcheggio a giocare a calcio, vicino allo stadio del Monza. Si avvicinò: ‘Ale, tante squadre mi hanno chiamato per provare a fare qualche allenamento. La prima è stata l’Inter’. Non ci pensai due volte. E non ho mai avuto il bisogno di provare in altri club: era la scelta giusta».
Alessandro è restato nel settore giovanile nerazzurro fino ai 16 anni: «È stato difficile andare via sia dal punto di vista emotivo che calcistico. Dovevo scegliere fra il cuore e l’ambizione di crescere e coronare un sogno». 11 stagioni in cui gioca, viaggia e si mette in mostra fra campionato e tornei internazionali: «Sono i ricordi più belli: esperienze bellissime che non avrei mai fatto da nessun’altra parte».
Per lui il calcio è sempre stato tutto: «Da piccolissimo ho iniziato nella Concorezzese: giocavo con bambini più grandi di me di tre anni. Non ho mai pensato a un piano B perché il rischio è quello di adattarsi e sedersi e invece no. Non potevo e non posso tutt’ora». Personalità.
A 18 anni, Alessandro ha sacrificato – col sorriso, ovviamente – la sua adolescenza inseguendo un sogno: «Non è semplicissimo, soprattutto quando sei piccolo. Finivo la scuola alle 16:30 e poi correvo al campo. La mia famiglia ha fatto i salti mortali pur di portarmi sempre in tempo agli allenamenti, ma percepivano la mia passione e quanto mi divertissi!».
Nonostante gli 11 anni all’Inter, l’idolo di Alessandro è sempre stato Del Piero a cui deve il suo nome. O almeno così pare: «Mio padre è sempre stato juventino e un grande estimatore di Del Piero. Non so se mi abbia chiamato così per lui, ma tutti gli indizi portano a quello». Non è andata poi così male: «Personalità, numero 10, capitano, leader assoluto alla Juventus e in Nazionale: è da sempre il mio idolo. Già da bambino passavo ore a guardare i suoi video, lo faccio ancora oggi. I suoi, quelli di Ronaldinho e di Dybala, l’altro mio modello».
Il conto in sospeso con l’Italia
Con l’U19 di Bollini Ciardi deve riprendersi la sua personalissima rivincita con il destino. Nel 2024, dopo essere stato decisivo nelle qualificazioni, ha saltato per infortunio l’Europeo U17, vinto dagli Azzurrini in finale contro il Portogallo: «Mi sono sempre sentito parte del gruppo, il mister Massimiliano Favo mi ha reso partecipe chiamandomi ogni giorno e raccontandomi tutto quello che succedeva. Mi ha anche chiesto di fare dei video per caricare ancora di più i ragazzi. Facevo il tifo per loro pur essendo molto dispiaciuto ovviamente».
L’Italia fino a quel momento non aveva mai vinto l’Europeo di categoria. Un trionfo passato alla storia e, per Alessandro, una delusione diventata ora benzina per il torneo con l’U19: «L’Europeo U17 era il mio primo obiettivo, ma ora penso al prossimo: voglio vincerlo con l’U19 per riprendermi la mia rivincita. Ho vissuto dei momenti difficili, ma ho avuto modo di recuperare bene nel centro di riabilitazione RedBull. C’erano specialisti formidabili al Salisburgo, piano piano sono riuscito a tornare al mio livello».
Ora con l’U19 di Bollini è nella fase élite, in attesa di conoscere i prossimi avversari. Un gruppo forte, che sta dando continuità agli ottimi risultati raggiunti in precedenza. Il segreto? L’amicizia. «Siamo davvero sempre insieme. Sono stati uniti due gruppi: quello dell’U20 con l’U19, ma è come se ci conoscessimo tutti da una vita. Usciamo sempre insieme e tutte le sere giochiamo a ‘Lupus’. Tutti devono giocare, per forza. Al massimo te la scampi solo se sei davvero stanco».
Tra famiglia, Geolier e un braccio solo per il calcio
Alessandro sogna in grande, come giusto che sia per un ragazzo di soli 18 anni. Piano piano si sta togliendo le proprie soddisfazioni. I tasselli sono ancora tanti, c’è tutto il braccio sinistro da riempire: «Ho una corona, un pallone e il numero 10: è l’unico tattoo che ho sul braccio sinistro. Tutta la parte mancina del mio corpo la voglio dedicare al calcio: sarà l’unico che avrò su quel braccio finché non esordirò in Serie A o non realizzerò qualche altro mio sogno».
Ma quello non è l’unico tatuaggio importante che Alessandro ha deciso di imprimere sulla sua pelle: «Ho tatuato anche la data di nascita di mio fratello, Andrea. È più piccolo di me, ma è già più alto: lui gioca al Renate, mi scrive sempre. Appena ha il telefono in mano mi contatta per dei consigli». Alessandro e Andrea Ciardi, dal salotto di casa fino ai campi da calcio in giro per l’Italia: «Venivamo sgridati di continuo perché giocavamo in casa e rompevamo di tutto. Siamo cresciuti, ma in realtà… continuiamo a farlo: giochiamo sempre fra le urla di nostra madre».
Lo dice sorridendo come qualsiasi ragazzo della sua età. E se da un lato è un professionista totale, dall’altro ha un unico, grande punto debole: «So che non dovrei berlo, ma la sera ogni tanto bevo il tè alla pesca. Non datemi quello al limone, eh! Quando torno a casa, stacco completamente: mi preparo la cena e poi esco con i miei amici. Sono un tipo tranquillo, mi perdo fra chiacchiere e musica. Ascolto un po’ di tutto, ma il mio artista preferito è Geolier: sono stato a un suo concerto, ma non l’ho mai incontrato. Spero di riuscirci, anche perché parte della mia famiglia è di Napoli». La squadra campione d’Italia.
Ciardi è al Parma, dove ha ripreso la sua scalata. Un passo alla volta e chissà magari l’esordio arriverà il prossimo 14 gennaio. Proprio al Maradona di Napoli, la città della sua famiglia e del suo cantante preferito.
