Il capitano che ha lasciato la sua squadra in Serie B per dedicarsi agli studi

by Lorenzo Lombardi

«L’istruzione, prima che con lo studio, ha a che fare con la vita. Racchiude in sé ogni persona incontrata, ogni idea scambiata, ogni luogo visitato e vissuto, ogni esperienza condivisa, ogni amicizia stretta».

Con queste parole, il 15 agosto 2021, Alessandro Spanò celebrava il diploma conseguito alla Hult Business School. Lui che solo un anno prima aveva guidato, da capitano, la Reggiana a una storica doppia promozione si ritrovava a inseguire il suo sogno personale. Quel diploma era solo il primo passo perché, oggi, dopo aver vissuto tra Londra, Lisbona e Dubai, Alessandro lavora per una multinazionale nel mondo ‘FinTech’ e soprattutto, non ha alcun rimpianto.

La decisione

Nella stagione 19/20 la Reggiana stava lottando per raggiungere la tanto attesa promozione in Serie B. Due anni prima era arrivato un fallimento, che aveva costretto Alessandro e altri compagni a dover lottare nella massima serie dilettantistica. Dopo una stagione terminata al terzo posto e una finale playoff persa, è arrivato il ripescaggio che ha riportato la Reggiana in Lega Pro. La società, in quell’estate, si è subito messa al lavoro per prepararsi a un ulteriore passo in avanti. Poi è arrivato il Covid. Il lockdown ha causato uno slittamento al calendario dei playoff e così, Spanò e compagni, si sono ritrovati a giocare fino al 22 luglio. La vittoria sul Bari, grazie alla ‘zampata’ di Kargbo al 50 minuto, aveva riportato il popolo granata nella serie cadetta dopo più di 23 anni.

Ora immaginate di essere il capitano di quella squadra, uno degli uomini che, nonostante il fallimento societario, aveva deciso di restare per riportare la Reggiana dove meritava. Qualsiasi persona si sarebbe lasciata andare a festeggiamenti sfrenati, senza pensare a un domani, sazia del grande traguardo raggiunto. Non Alessandro. Lui era già focalizzato al prossimo obiettivo: la mattina seguente, infatti, si è laureato in Economia e Management all’Università telematica Unicusano. Nei giorni successivi ha poi dovuto affrontare la parte più difficile della sua scelta; raccontarlo a compagni e tifosi: «La partenza, per iniziare il master a Londra, era fissata per agosto. Avendo giocato l’ultima partita a fine luglio, ho avuto poco tempo per comunicare la mia decisione. È stata la parte più difficile, ma avevo preso la mia decisione già da tempo e niente o nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea».

Alessandro ha scelto di perseguire il suo sogno, la sua aspirazione personale, mettendo da parte l’ottima carriera calcistica. Alla Serie B, da giocare con la squadra del suo cuore e di cui era il capitano, ha preferito gli studi internazionali e il percorso di crescita che lo hanno portato, in poco tempo, a conoscere persone nuove, paesi lontani e culture differenti. «Ho capito di dover dare importanza alla sfera personale, che in quel momento mi ha portato a fare una scelta basata sul lungo periodo, che mi avrebbe trasformato nella persona che volevo diventare. Guardando in prospettiva, sapevo che questo era il momento giusto per fare questo cambio radicale che in futuro mi avrebbe reso migliore. Avevo già comunicato, durante l’anno, questa scelta alla mia famiglia, indipendentemente da come sarebbero andate le cose sul campo».

La nuova vita di Alessandro

Questa scelta di vita, consapevole e coraggiosa, è stata ponderata e valutata nel corso degli anni. L’ultima stagione da calciatore è stata determinante per convincerlo a seguire il suo istinto. Lo studio ha portato Alessandro lontano dai campi e, soprattutto, lontano dall’Italia. L’anno di Master lo ha trascorso tra Londra, Emirati Arabi e Lisbona. La diversità, tra le culture dei vari paesi, ha costretto Alessandro ad ‘aprirsi’, a non dare niente per scontato, lasciando che le persone e i luoghi che ha incontrato plasmassero la sua nuova identità. L’esperienza, impagabile a livello umano, lo ha fatto crescere sotto tanti punti di vista ed è stata l’inizio della sua nuova vita. «Ho capito quanto noi calciatori fossimo chiusi in una ‘bolla’. Spesso si ha l’impressione, giocando a calcio ad alti livelli, che giri tutto intorno a noi e al nostro piccolo mondo; ho capito invece che c’è tanto altro da scoprire e oggi, ogni giorno, per me è una nuova scoperta». Spanò stesso ha racchiuso la sua esperienza in poche, significative, parole: «Con una toga in spalla e un cappellino in testa, ho stretto tra le mani un pezzo di carta con un nastro rosso. Cosa conteneva? Sveglie posticipate, una birra al Red Lion, profumi orientali, volti mascherati, aerei last minute, pioggia improvvisa, sguardi in metropolitana, caffè rivedibili e risate interminabili». Immerso in una realtà totalmente nuova, con anima e cuore, Spanò ha vissuto a pieno l’anno di master, focalizzato sui propri obiettivi personali. Inevitabilmente, soprattutto nel primo periodo, la mancanza del pallone si è fatta sentire: «La cosa che più mi è mancata è lo spogliatoio, vivere la quotidianità coi miei compagni. I rapporti che si erano creati in quegli anni erano speciali e differenti da quelli che si possono instaurare tra colleghi. Con alcuni di loro avevo condiviso anni difficili, come quelli del fallimento, che ci hanno legato ancora di più. Anche fuori dal campo i tifosi sono sempre stati straordinari nei miei confronti e molti di loro mi mancano».

I valori e la personalità di Spanò

La visione e la personalità di Spanò hanno lasciato il segno nelle vite dei suoi compagni e molti di loro si sono ispirati ai valori trasmessi da Alessandro. «La cosa che mi ha reso più orgoglioso, dopo il ritiro, è stato vedere tanti miei compagni iscriversi all’università. È stato un bel segnale, perché significa che hanno seguito il loro interesse personale, dimostrando che è possibile conciliare sport e studio. Bisogna normalizzare questa cosa, per permettere alle istituzioni di crescere insieme e poter proporre nuove iniziative».

Attraverso il calcio ha imparato l’importanza dei rapporti personali e di come questi possano fare la differenza. L’importanza delle persone è un aspetto chiave per il successo di una squadra. «Veniamo da un calcio in cui sono sempre stati i ‘vecchi’ a dominare lo spogliatoio, spesso a discapito dei giovani. La squadra è una cosa unica; se sei vecchio hai il dovere di aiutare i giovani a crescere, perché hanno tanto valore da dare. Bisogna sempre pensare alle persone che stanno dietro ai calciatori. Indipendentemente dai ruoli che si hanno, il lato umano deve essere messo in primo piano. I rapporti veri, quelli che fanno la differenza anche in campo, si possono creare grazie al rispetto e alla trasparenza; Ho sempre inteso il calcio, non come uno sport fine a sé stesso, ma come un metodo per trasmettere valori e filosofie».

A proposito di valori Alessandro, da capitano nel calcio e nella vita, ha voluto chiudere con un consiglio per i giovani studenti o calciatori che leggeranno questa intervista: «La cosa più importante per me, indipendentemente dalla strada che si sceglie di seguire, è di non sentirsi mai giudicato e di inseguire i propri sogni. I commenti e le critiche spariscono dopo pochi giorni; i rimpianti rimangono per sempre».