«La mia colpa più grande? Ho mollato». La storia di Riccardi

by Alessandro Lunari

In un ambiente abituato fin troppo spesso a raccontare ed elevare le storie di successo, trionfi e record, appare quasi strano – e sicuramente insolito – lasciarsi trasportare ed empatizzare con chi, quel successo, l’ha solo assaggiato. Per chi era sul trampolino di lancio ed è tornato indietro. In un ambiente di ‘invincibili’, c’è chi non ha retto la pressione ed è caduto.

Ma proprio quello è stato il momento di crescita da cui ripartire ora che è al Latina, dopo essere stato fermo addirittura per un anno. Alessio Riccardi è uno dei figli di Roma che i tifosi giallorossi già vedevano sulla scia dei Totti, De Rossi, Pellegrini. La storia di Alessio è andata diversamente e per la prima volta ha voluto far sentire la sua voce, qui su Cronache.

 

Il ‘Piccolo Principe’ delle Giovanili

Riccardi è entrato alla Roma quando aveva 8 anni. Fino a quel momento aveva giocato a calcio a 5 con la Lazio «ma solo perché era l’unica squadra nel mio quartiere eh!». La sua famiglia è da sempre tutta romanista, dato da non sottovalutare in una città come Roma: «Ricordo il giorno in cui mia madre mi disse: ‘Alè, devi fare il provino con la Roma’. Ero piccolo, lì per lì neanche ci credevo. Mi dicevo: ‘Ma perché tra tutti i bambini che ci sono, proprio io?!’. Fin lì il calcio era stato solo divertimento: giocavo ogni giorno con i miei amici».

Al provino, pur essendo ancora solo un bambino, stupisce tutti. Da quel momento, diventerà sempre più un punto di riferimento in tutte le squadre del settore giovanile in cui passerà. C’è una costante nella carriera di Alessio in quegli anni: gioca sempre sotto età. È troppo forte per i suoi coetanei e i vari mister lo sanno.

Tra tutti, anche Alberto De Rossi, istituzione da quelle parti. Lo chiama in Primavera un anno prima del solito: «In tre anni con lui, credo che mi abbia fatto saltare solo una partita. È uno dei mister che non scorderò mai. Mi lasciava libero di sbagliare, come giusto che sia. E mi è rimasto accanto anche dopo il mio addio alla Roma».

Nelle radio, nei giornali e nelle tv locali il nome di Riccardi diventa sempre più rilevante. Dai Pulcini alla Primavera: lui c’è sempre. Il settore giovanile giallorosso è una fucina di talenti riconosciuta a livello nazionale e non solo. E Alessio sembra essere solo l’ultimo gioiello prodotto dal vivaio. Il capello biondo, la 10, la fascia da capitano. I paragoni suggestionanti si sprecano: «Io giocavo solo per divertirmi. Poi comunque su Instagram mi arrivavano centinaia di messaggi dai tifosi. Lì ho iniziato a capire che in me vedevano qualcosa in più. Avevano delle aspettative. Non sentivo la pressione lì, anzi forse era una spinta in più per me. Li rappresentavo e mi piaceva».

Con la Primavera gioca circa 100 gare, segna 32 gol e serve 17 assist da mezz’ala. Ogni tanto lo schierano un po’ più avanti, sulla trequarti o alto sulla fascia. Il risultato non cambia: Riccardi impressiona tutti. Nell’ambiente si guadagna il soprannome di ‘Piccolo Principe’, un po’ per quel capello biondo, un po’ per l’apparente leggerezza con cui gioca e fa divertire. Ma soprattutto si diverte. E in campo, si vede.

L’esordio al posto di Pellegrini e il ritiro di De Rossi

Dalla stagione 2017/2018 inizia ad essere aggregato in prima squadra: «Quella Roma era veramente forte. De Rossi, Dzeko, Kolarov… erano fenomenali. Non sbagliavano mai, erano campioni fortissimi». Lui, 2001, inizia ad assaggiare quello che è sempre stato il suo sogno: giocare nella Roma. «Sono cresciuto con Totti, era lui il mio idolo. Mi è dispiaciuto non essere allo stadio il giorno del suo ritiro: eravamo in trasferta, così l’ho seguito dal cellulare. Penso sia stata una giornata indimenticabile. Ho ancora i brividi». Non sarà stata proprio Serie A, ma Alessio con la Roma ci gioca veramente. Da settimane ormai si allena con la squadra di mister Di Francesco e il 14 gennaio 2019 arriva il debutto in Coppa Italia contro la Virtus Entella. Riccardi entra al posto di Pellegrini, quasi come fosse un passaggio di consegne: «Mi ricordo tutto benissimo: durante il giorno i compagni mi avevano detto: ‘Oh guarda che stasera entri, eh!’. E quindi io già dalla mattina avevo l’ansia. Quando poi il mister mi ha chiamato, ho pensato: ‘Mamma mia, sto entrando all’Olimpico’. Poi basta: come sono entrato in campo, ho pensato solo alla partita».

A 17 anni, la strada di Riccardi sembra in discesa. D’altronde, ha bruciato tutte le tappe, ha trascinato per anni le formazioni della Roma nelle giovanili e le Under dell’Italia. Eppure, quegli 8 minuti di Coppa Italia resteranno, invece, la sua unica presenza in prima squadra.

A fine stagione, però, si toglierà un’altra grande soddisfazione: Claudio Ranieri, subentrato nel frattempo a Di Francesco, lo vuole in campo il 26 maggio 2019, nel giorno in cui la città saluta uno dei suoi simboli, nel giorno in cui Daniele De Rossi lascia la Roma: «Ricordo che quando arrivò Ranieri, pensai: ‘Oddio… ma ora mi tengono in prima squadra o mi rimandano in Primavera?’. Fino a quel momento, ero stato lì perché mi voleva Di Francesco, ma per fortuna Ranieri mi fece rimanere». E poi il 26 maggio: «Ero appena tornato da una trasferta con la Primavera, ma ha voluto che facessi parte di quel momento. Io, Pellegrini, Florenzi… e De Rossi tutti in linea? Forse è stata una casualità, non ci ho fatto caso. Ma è stato un momento emozionante, da brividi. L’addio di una bandiera del calcio. Ho ancora la sua maglia autografata, la tengo a casa con cura. Daniele è stato la Roma: come sono arrivato in prima squadra, mi è sempre rimasto vicino, mi ha riempito di consigli. Si respirava qualcosa di particolare quando c’era lui, percepivi l’aurea del campione. Era sempre perfetto: quando parlava non diceva mai una cosa sbagliata».

 

Il ritorno in Primavera, lo scambio con Rugani e lo stop di un anno

L’estate successiva a Roma c’è un grande rinnovamento. Arriva Fonseca e Alessio torna in Primavera: «Ho fatto il ritiro estivo con la prima squadra, ma il mister non mi vedeva. Io ero ancora in età per la Primavera e mi hanno richiamato per giocare. Se avevo iniziato a percepire qualcosa? Lì per lì no, devo essere sincero. Facevo qualche allenamento con la prima squadra e poi ero titolare in Primavera. Anzi, è stato l’anno in cui ho segnato più gol. Era troppo presto anche solo per immaginare cosa sarebbe accaduto. Di mezzo ci si metterà poi anche il COVID, è stato un periodo complicato, ma mi dicevo: ‘l’importante è che gioco’.

Da quel momento, però, Riccardi scompare dai radar sempre di più. Nell’estate del 2019, tra necessità di bilancio e di progetto, viene messo sul mercato. O almeno, così sembra. Ad agosto, spunta una trattativa con la Juventus per un possibile scambio con Rugani: «Avevo fatto benissimo in Primavera, ma non ero stato riconfermato in prima squadra. Mi ricordo che una mattina mi sveglio, posto una foto su IG normalissima… forse di un’amichevole precampionato, e poi mi ritrovo il profilo impallato di messaggi. Non avevo letto nulla fino a quel momento. Dico veramente. Poi mi dissero: la Roma vuole venderti alla Juventus. E io: ‘No, aspettate. Io non ci vado’. Così carico un’altra foto, promettendo amore eterno… ricordo che quel giorno ricevetti 1000 messaggi al minuto. E per assurdo, non avevo fatto nulla in Prima squadra, giusto l’esordio. Ma forse questa è la bellezza di Roma: i tifosi. Ricordo striscioni e proteste sui social, sui giornali: volevano che rimanessi. Magari rivedevano in me qualcosa».

La tifoseria si è schierata: Riccardi non si tocca. E così Alessio resta. Eppure, inizia a parlarsene sempre di meno. L’anno dopo va in prestito al Pescara, in Serie B, dove gioca appena 9 partite in tutta la stagione: «L’ho vissuta proprio come una sconfitta personale. Il mio sogno era sempre stato quello di giocare per la Roma. Arrivi lì, vedi che quando sei più piccolo ci sei e ti portano quasi in braccio… e poi svanisce tutto. Improvvisamente. L’anno al Pescara l’ho vissuto malissimo. Passavo il tempo a dirmi: ‘Cosa ho sbagliato? Ero assalito dai dubbi’. Dopo quella stagione, sono stato praticamente un anno fermo. È stato un anno veramente difficile. Ti dico la verità: ero arrivato al punto in cui volevo smettere. Non mi divertivo più ad andare al campo per allenarmi e giocare. Solo grazie ad una persona, che mi è stata accanto, non ho smesso». Dopo essere stato per circa 10 anni nel settore giovanile della Roma, aver esordito in prima squadra, Alessio viene mandato in prestito, ma dentro di sé è consapevole che la ‘magia’ sia finita. Si chiude in se stesso, molla. L’addio alla Roma, per lui, nato e cresciuto lì, è qualcosa di insostenibile. Una delusione troppo forte.

12 mesi interminabili mesi. Ma chi lo ha visto crescere e giocare, sa che il talento c’è: «Tantissimi compagni mi sono rimasti vicini. Mi scrivevano: ‘Ma come fa a star fermo uno come te? Dai, è impossibile. Tu devi giocare a calcio, non puoi lasciare tutto così’. Bouah e tanti altri mi scrivevano tutti i giorni per darmi la forza».

 

La svolta al Latina: «Alessio deve tornare a divertirsi come un bimbo al parco»

Riccardi resta senza squadra per un anno. È sul punto di cedere, di chiudere definitivamente con il calcio quando arriva la chiamata, nell’estate del 2022, del Latina di mister di Di Donato, in Serie C: «Sono stati i primi a ricredere in me. Il mister è venuto a Roma per parlarmi e farmi sentire la sua fiducia. Ha significato tantissimo per me, soprattutto visto il momento. Mi serviva ritornare in campo, divertirmi e avere uno sfogo. Ora quando entro in campo, mi sento come ai tempi della Primavera dove mi divertivo e basta. Poi si può perdere e vincere, ma è proprio questo il bello. Per fortuna, non ho smesso».

Quando è entrato nel settore giovanile della Roma per la prima volta, Alessio era solo un bambino. Era tutto incredibile. A distanza di anni, invece, la prima volta al centro sportivo del Latina è stata ben diversa: «Ero preoccupatissimo, avevo molta ansia. Ero fermo da un anno, non stavo più in uno spogliatoio da tantissimo tempo, ma invece sono stato accolto benissimo». In una stagione e mezza, Riccardi ha giocato più di 50 partite, segnando 5 gol e servendo 5 assist. Ma soprattutto è tornato ad essere felice in un campo da calcio. In un’intervista della passata stagione, Di Donato aveva detto: «Alessio doveva tornare a divertirsi come un bimbo al parco. Quando lo farà, potrà poi tornare nelle categorie più importanti. Uno col suo talento merita di più». Attestati di stima e fiducia incondizionata. Alessio è tornato a lavorare con il sorriso per ripagare il Latina e tutto l’ambiente che ha creduto in lui.

 

L’altra pelle durante l’adolescenza: la maglia azzurra e l’Italia di Mancini  

Oggi Alessio ha ancora 22 anni e tutta la carriera davanti. È maturato, cresciuto e ha fortificato il carattere. Ha tutto il tempo per tornar a far parlare di sé. Anche, magari, con la maglia dell’Italia in futuro. D’altronde, al tempo delle giovanili della Roma, è stato un vero e proprio punto fermo anche di tutte le Nazionali in cui è passato.

Dall’U15 all’U20. Addirittura con l’U17, nel 2018, il CT Nunziata gli ha dato la fascia di capitano per l’Europeo di categoria. L’Italia è arrivata in finale, sconfitta in una partita folle con l’Olanda. Alessio è stato nominato come ‘miglior giocatore del torneo’. Ve l’abbiamo detto, il talento c’è e c’è sempre stato. «L’anno di Euro2018 è stato il più bello in Nazionale. Nunziata stravedeva per me. E poi la maglia azzurra è il sogno di tutti i ragazzi che giocano a calcio. Era un gruppo eccezionale, ci volevamo bene davvero. C’erano Colombo, Rovella, Ricci… tutti ragazzi che ora fanno la Serie A. Quel mese vissuto insieme è stato stupendo, è volato. Ci siamo divertiti tanto e in campo si vedeva. Peccato per il finale: eravamo distrutti. È stato un match davvero senza senso: perdevamo 1-0, poi l’abbiamo ribaltata… eravamo ad un passo dalla vittoria e invece hanno pareggiato all’ultimo secondo. Poi, sconfitti ai rigori. Una tragedia».

Tornando indietro a quel periodo, emerge un Alessio più sicuro, consapevole della sua forza: «Mi sentivo importante. Per l’Italia e per la Roma. Sentivo di essere uno che in campo poteva dare qualcosa in più. Non sono mai stato un leader di molte parole, cercavo di trascinare la squadra a livello tecnico durante le partite».

Tra il 2017 e il 2019, di Riccardi se ne parla tanto. Addirittura, a 18 anni, arriva la chiamata per uno stage con la Nazionale maggiore di Roberto Mancini: «Io non sapevo nulla. In quella settimana dovevo essere convocato con la Roma per la sfida contro il Cagliari e i compagni già mi dicevano: ‘Guarda che entri’. Poi mi feci male alla caviglia e lo staff iniziò a dirmi: ‘Meglio che non vai, anche perché poi arriva la chiamata dell’Italia’. E io dicevo dentro di me: ‘Ok che è la Nazionale, ma ho la chance di stare in prima squadra. Perché devo andare in U19 o U20?’. E invece no… ‘Guarda che ti vuole Mancini’. Scioccato. Sono stati due giorni stupendi a Coverciano per uno stage con tutti giovani, anche in vista del Mondiale U20 e dell’Europeo U21».

 

«Ho sbagliato a pensare che per me ci fosse solo la Roma». E poi Calafiori…

Quel periodo di grandi traguardi e risultati sembra ormai lontano. Le maglie della Roma e dell’Italia le ha impresse sulla sua pelle. Ora c’è il Latina e a 22 anni è presto per parlare di porte chiuse. Soprattutto con il Riccardi di oggi, tornato a divertirsi e a stupire.

«Non sono un ragazzo che porta rancore. Tanto quando fai bene, torna tutto. Ora, giorno per giorno, lavoro per me. Avrei solo dovuto continuare a giocare come so fare. E invece faccio mea culpa: c’è stato un momento in cui ho mollato veramente. Avrei dovuto prendere la loro scelta come una spinta in più per farli ricredere, ma in quel periodo non riuscivo ad accettarlo. Ho sbagliato a pensare che ci fosse solo la Roma per me. Ma c’è chi mi ha fatto capire che sono nato per giocare a calcio. Mi sono detto: ‘Ok, ora lì non è possibile, ma devo rimettermi in gioco’. Il mio sogno? Giocare in Serie A. Non devo smettere di crederci, ma ora penso a portare il Latina il più lontano possibile».

L’addio alla Roma è stato un vero e proprio momento di sconforto per Alessio. Un trauma. Non è stato l’unico a dover lasciare la propria squadra del cuore in quegli anni: «Calafiori è un fratello. Abbiamo vissuto insieme tanti momenti belli e brutti. Mi ricordo come fosse ieri il suo infortunio al crociato, era appena salito in Primavera. Era una delle sue prime partite. È stato un momento difficile, proprio come quando si è dovuto staccare dalla Roma. Lui è davvero super romanista. A differenza mia, però, ha avuto la forza di continuare e infatti ora è titolare al Bologna. Se lo merita». Vedere lì, nei campi di Serie A, un suo amico fraterno come Calafiori è una delle motivazioni più grandi per Alessio. L’obiettivo è quello di ritrovarlo, da avversario o come compagno di squadra poco importa. Riccardi punta la Serie A. È tornato, davvero. Merito del Latina che ci ha creduto.

E poi Alessio vive per il calcio. In tutti i sensi: «Faccio questo tutto il giorno: mi alleno, gioco e penso al calcio. Dai poi ho un passatempo… la playstation. Mi piace giocarci, tanto, ma proprio tanto. Penso che non la mollerò mai». Già, non si molla più.