a cura di Giacomo Brunetti

Massimo Brambilla è l’allenatore della Juventus Next Gen e sa bene come crescere i giovani

Dopo 7 stagioni nelle giovanili dell’Atalanta, Brambilla ha preso le redini della Juventus Next Gen, raccontandoci cosa significa questa squadra.

La Juventus Next Gen è un progetto che mira ad attutire il passaggio dal calcio giovanile al professionismo. Un campionato, quello di Serie C, che si frappone tra la crescita in Primavera e il grande gap della prima squadra. Alla guida dei bianconeri, dall’estate 2022, c’è Massimo Brambilla, uno che di talenti in rampa di lancio se ne intende.

 

Provate a fare un nome di un giocatore uscito dal vivaio dell’Atalanta negli ultimi 7 anni: ecco, sicuramente sarà passato dalle sue mani. Anche per questo, a Vinovo hanno scelto lui per continuare il progetto Next Gen tra consacrazioni e risultati. «Anche per me è l’esordio in una prima squadra e, a livello di lavoro, ci sono poche differenza tra la Primavera e quello che stiamo facendo adesso. Dobbiamo lavorare sulla crescita dei ragazzi sotto tutti gli aspetti, ma quello che cambia e che qui il risultato conta». Il vero salto sta nella competitività: «Affrontiamo partite toste, contro rose che lottano per salire oppure non retrocedere. La differenza sta in questo concetto. Il lavoro in settimana è poco diverso, ma la domenica i calciatori possono capire davvero quello che serve per diventare grandi. Sei in un campionato dove il risultato conta, la classifica ha un peso importante. In Primavera, se perdi, alla fine non succede niente».

 

Il primo punto è la strategia per accompagnare un ragazzo verso la maturazione. «Sono in un’età in cui i margini di miglioramento sono volubili e durante la settimana ci concentriamo su questo aspetto. Dobbiamo metterli nel contesto corretto, organizzato a livello di singolo e di squadra, perché nel weekend è fondamentale che facciano parte di un ambiente che lavora a meraviglia contro formazioni di livello», anteponendo però la prestazione al risultato.

 

 

«Cerchiamo di far capire ai ragazzi che il risultato è solamente il frutto della prestazione, che questa deve sempre avere la priorità, senza perdere di vista il resto. Ci sono tante variabili che antepongono una vittoria a una sconfitta, e niente deve intaccare il senso della loro preparazione in settimana»: sì, i 3 punti, ma bisogna prima dimostrare di progredire. «Se alla prestazione non leghi il risultato, significa che qualcosa non ha funzionato bene, ed è materia di studio per mostrare ai nostri atleti la direzione corretta».

 

Ma il ruolo della Next Gen è davvero così importante? «Il salto tra la Primavera e la prima squadra è troppo difficile. Certo, ci sono le eccezioni, quelli che possono permetterselo. Questa rosa è nata per questo motivo, per porsi nel mezzo. Deve essere funzionale alla crescita, inserire lo stacco della C rispetto a una realtà giovanile. Sono campionati completamente diversi. In C trovi tattica e fisicità differenti, così come il modo di interpretare le gare. È come confrontare il giorno con la notte. Chi arriva dalla Primavera, inizialmente qualcosa concede e soffre: una volta che ti adatti, migliori a vista d’occhio, specialmente perché a quest’età sei in perenne evoluzione».

 

Per ogni ragazzo, la strategia è mirata «attraverso confronti con lo staff, che trasmette alla rosa le competenze per affrontare ogni aspetto della vita da calciatore». Spesso capita di lasciare il centro sportivo di Vinovo, un autentico gioiello all’avanguardia, per andare in stadi problematici in C. Una forte contrapposizione «che serve ai ragazzi per capire cosa li aspetta fuori, che non è tutto dorato come alla Juventus e che la realtà, se si vuole arrivare in alto, è diversa. Allenatori e dirigenti lo ricordano spesso, ma solo quando toccano con mano se ne rendono conto. I miei sono mentalizzati, ho un gruppo serio che si rende conto che qui da noi non è la normalità».

 

 

Una squadra di giovani dentro gli ostacoli di un campionato professionistico: «Si cerca di portare l’intensità in allenamento, ovvero quella che trovano la domenica. Nelle esercitazioni raramente fischio falli. A volte si lamentano, ma nel weekend si rendono conto perché lo faccio. In C il gioco è spezzettato, pieno di seconde palle, di contatti e noi cerchiamo di riportare tutto questo in allenamento, per prepararli al peggio. Man mano che giocano, si rendono conto di ciò che vogliamo tirino fuori».

 

Alla Juventus, tutto è volto per farli rendere e crescere al meglio: «Il nostro compito è metterli nelle condizioni idonee per esprimersi e prendere coscienza. Vogliamo che si responsabilizzino. Se un ragazzo sale in prima squadra, quando scende deve dare ancor di più per dimostrare di poter tornare nuovamente sopra, e così via. A volte fare la spola può essere destabilizzante, e in quel momento comprendiamo una parte dello stato di crescita del calciatore. Sanno quello che li aspetta e devono andare ancora più forte».

 

Mentre la FIGC sta provando a uniformare i moduli delle selezioni azzurre, alla Juventus non c’è legame tra i moduli di Massimiliano Allegri e quelli delle giovanili. Come ci spiega Brambilla, «la costruzione della prima squadra si basa su parametri diversi. Noi variamo modulo, non siamo costruiti come una prima squadra che ha i calciatori presi per giocare con un determinato schema. Nella Next Gen si parte dal talento e dalle qualità per costruire la tattica, ci adattiamo alle qualità dei giovani a disposizione, della loro prospettiva e del miglior modo per inserirli nel contesto».

 

Un tema importante è anche quello delle strutture, con la Next Gen che ha raccolto i locali che i grandi utilizzavano allo Juventus Training Center di Vinovo: «Mezzi, organizzazione e strutture sono al top. Lo staff medico è di livello, c’è tutto a disposizione. Fondamentale è dare un’impronta e gestire i ragazzi dal punto di vista mentale, cerchiamo di entrare nella loro testa per sfruttare ciò che conta davvero. Le strutture e i mezzi sono importanti, ma il rapporto che devono avere con allenatori, preparatori, medici e altre figure dello staff deve essere provvidenziale e funzionale. La componente umana gioca un ruolo di primo piano nel loro progresso».

 

Insomma, secondo Brambilla la seconda squadra è un ottimo modo di inserirsi in un contesto professionistico: «Basta guardare all’estero, tanti giocatori di prima divisione sono passati dalle seconde squadre dei loro Paesi. Non dobbiamo uniformare la crescita di nessuno. Ci sono giovani che dopo 6 mesi di Primavera possono andare in Serie A, altri che hanno bisogno di un anno in Primavera e poi in seconda squadra, altri ancora di farne due in Primavera. Sono le società che devono dotarsi di dirigenti che sanno di calcio e sappiano decidere profilo per profilo qual è davvero la strada giusta da percorrere».

 

Tra i calciatori a disposizione di Brambilla c’è anche Enzo Barrenechea, che ci ha raccontato la Next Gen dal punto di vista dell’atleta.