Andrea Compagno: «Segnare più di Immobile? Fa un certo effetto. Ecco la mia storia»

by Redazione Cronache
Andrea Compagno

«Spero di continuare così. Lo sai, in questo mondo devi sempre confermarti. Lavoro ogni giorno per fare sempre di meglio». Andrea Compagno ha 26 anni, gioca in Romania ed è il migliore degli attaccanti italiani dell’anno solare 2022. Ha segnato 24 gol tra campionato e Conference League, uno in più di Ciro Immobile, e ora si racconta a Cronache: «Sono sorpreso, l’ho scoperto per caso, all’ultimo. Fa un certo effetto, accanto a quei nomi, ma a prescindere dai gol preferirei piuttosto vincere il titolo con lo Steaua». O meglio, dal 2017 si chiama FCSB ed è l’ex squadra dell’esercito romeno, a Bucarest. Un passato glorioso – è la squadra più titolata di Romania (26 campionati, 24 coppe e 2 supercoppe) e giocò due finali di Coppa dei Campioni: vinse nel 1986 col Barça, ma perse tre anni dopo col Milan di Gullit e van Basten – e un presente meno glorioso, visto che da 5 anni il campionato romeno lo vince il Cluj. Calcio e politica s’intrecciano da prima di Ceaușescu, ma nel Paese di Dracula Andrea Compagno ha fatto fortuna. Tra Craiova (dove giocava prima) e il FCSB, ha segnato 33 gol in 73 partite. Ed è terzo in classifica, a 7 punti dalla vetta.

 

Compagno, Palermo e Catania

Andrea Compagno nasce nel 1996 a Palermo. È figlio d’arte: «Mio padre Rosario ha giocato a lungo tra i professionisti, con Zeman sia a Palermo che Foggia, ma anche Cosenza e Benevento, ha girato Serie B e Serie C». Con una differenza: «Dall’altra parte del campo. Lui terzino sinistro, io attaccante. Ma la cultura del lavoro e del sacrificio me l’ha trasmessa lui», racconta Compagno a Cronache. Inizia a Palermo nel 2006, ma nel 2011 “tradisce” col Catania: «Ero nei Giovanissimi rosanero, facevo bene, giocavo con La Gumina e Fiordilino, comunque gente che è arrivata poi in Serie A. Mi trovavo benissimo a Palermo, ma sarei dovuto entrare negli Allievi per due anni, e lì c’era mio padre che allenava. Ero fragile, non volevo che mi vedessero come il figlio del mister. Ero il capocannoniere di quel Palermo, ma non me la sentivo». Così via al Catania: «All’epoca era una società in voga, avevano appena aperto il centro sportivo di Torre del Grifo, si respirava un clima d’Europa. In foresteria era pieno di calciatori stranieri, da lì con me c’erano Bruno Petković e Barišič, era un fiore all’occhiello della Sicilia e restavo nella mia regione di residenza. Ma io…».

 

Dalla Sicilia a Torino

«Ma io guardavo sempre più a nord», prosegue Andrea Compagno a Cronache. Il motivo è chiaro. Era il Catania di Montella e il Cholo Simeone, Ciccio Lodi (clicca qui per leggere la nostra intervista) e dei tanti argentini, come Papu Gómez, Barrentos e Adrián Ricchiuti. Ma nel 2014 gli etnei retrocedono e Andrea Compagno parte per il Settentrione. Come fece Toto’ Schillaci, l’eroe delle Notti Magiche di Italia ’90: «Vado a Messina, al Due Torri, in Serie D, poi a Pinerolo, in Piemonte. Sei mesi a Torino, gioco il Torneo di Viareggio e inizio a girare l’Italia. Dovevo andare al nord, è inutile girarci attorno. Ho fatto la Primavera sia a Catania che Torino, ho visto dove sono arrivati i miei compagni. Le società sono più organizzate e c’è più visibilità, ma se chiaramente c’era qualità pure a Catania. Io amo il Sud, tornerò a vivere a Palermo, ma a livello calcistico è dura emergere». Nel 2016, Andrea Compagno gioca a Torino coi granata il Torneo di Viareggio. Esce ai quarti di finale, contro lo Spezia di Giulio Maggiore e Okereke, «ma ho ricordi bellissimi, mi restano dentro». E inizia a girare l’Italia: all’Argentina di Arma di Taggia, in provincia di Imperia, poi Borgosesia (Piemonte) e Nuorese, in Sardegna.

 

Gavetta, e 400 euro al mese

Nel 2018, Andrea Compagno ha 22 anni e non ha sfondato in Serie D: «Ma l’esperienza mi ha fortificato. Okay, non è il calcio che sogni da bambino, ma con la gavetta e la testa giusta – nei momenti di difficoltà – hai una marcia in più. Io a Pinerolo vivevo con 400 euro di stipendio, ero giovane e a 1000 km da casa. Non uscivo, perché non volevo chiedere i soldi ai miei genitori, e per arrivare a fine mese facevo la spesa al supermercato con la calcolatrice. Non mi è mai pesato. Il tornaconto è arrivato, ora giustamente lo stipendio è diverso, ma ho fatto sacrifici. Quando sei in quella situazione, non ti adagi. Sai da dove vieni e non vuoi tornarci. Con 400 euro al mese, io curavo l’alimentazione, mi allenavo e facevo una vita da atleta. Quel che facevo, non lo vedo fare a miei compagni che magari prendono 10, 15 o 20mila euro al mese. Non mi sono arreso, quando nei primi anni difficili avevo la valigia pronta ogni sei mesi. Cambiavo città e club, finché poi è arrivata San Marino», racconta a Cronache. Così, dal 2018 al 2020, Compagno gioca al Tre Fiori.

 

San Marino e le Coppe

L’esperienza a San Marino di Andrea Compagno è particolare: «Ti dico subito che ho avuto la fortuna di giocare con un campione del mondo, Cristian Zaccardo. Comunque, dovevo ritrovarmi e San Marino è un palcoscenico, se ci arrivi puoi giocare le Coppe europee, è una prima lega ma fa curriculum. Meglio di restare in Serie D, no? Mi dicevo: “Tu sogni di giocare in Serie A, quanti anni ti ci vorranno? Tanti, e forse non ci arriverai mai”. Mi buttai, volevo arrivare al mio sogno. A San Marino, allora, il playoff per il campionato e le coppe le giocavi nella seconda parte di stagione e le squadre si trasformavano. Io ero cresciuto e ho nel frattempo risolto una condropatia rotulea. Non sono Adama Traoré [ride, nda], ma a San Marino sono rinato». Il 27 giugno 2019 a Tórshavn, capitale delle Fær Øer, il Tre Fiori sfida il KÍ Klaksvík nell’andata dei playoff d’Europa League. È il minuto 93’, i sanmarinesi perdono 5-0 quando Compagno segna: «È un gol importante – racconta a Cronache – perché i faroesi erano veramente forti, e poi ho segnato in Europa. L’Europa League è l’Europa League anche ai playoff». E ancora: «A San Marino ho bei ricordi, mi dissi “stai qui, hai gli amici”. Era facile accontentarsi, mi allenavo tre volte a settimana alle 19, con gente che faceva 10 ore di fabbrica. “Facciamo veloce – dicevano – stasera c’è Gomorra e vorrei guardarlo”».

 

Andrea Compagno in Romania

«Il mio procuratore mi disse che dopo San Marino sarei potuto tornare in Serie D. Se avessi fatto bene, avrei magari lottato per non retrocedere con una squadra di Serie C, e se fossi andato in doppia cifra magari sarei finito in una squadra di Serie C più blasonata, e se avessi continuato allora magari avrei vinto il campionato e avrei giocato la Serie B. Ho valutato che se fossi andato all’estero avrei potuto accelerare la mia crescita. Sono andato a Craiova, in Serie B romena, ho vinto il campionato, l’anno dopo ho fatto 12 gol e quest’anno mi ha acquistato lo Steaua per 1,5 milioni. Ho giocato in Conference, pure a casa del West Ham, e sfidato l’Anderlecht di Vertonghen a cui ho pure segnato. Tutte cose che sognavo quando andavo al supermercato con la calcolatrice in mano, per non spendere più dei 400 euro al mese che avevo», continua Compagno a Cronache.

 

Liceo classico, Italia e Zenga

«Il liceo classico ti cambia. L’ho iniziato a Palermo e fatto gli ultimi due anni e mezzo a Catania. Era difficile, ma era anche un peccato buttare via quel che avevo fatto. Poi a me piaceva e penso che l’eredità del classico, senza nulla togliere ad altre scuole, sia qualcosa che ti resta per tutta la vita. Il classico ti apre la mente, forse è per questo che ho accettato di trasferirmi in Romania, un paese che magari si conosce meno e quindi ha più punti interrogativi». Ma in Romania si trova bene, Andrea Compagno: «Sia a Craiova che Bucarest ho trovato tanta passione. Mi chiedono le foto per strada, mi fanno tanti complimenti. Bucarest è una grande città e gli stadi sono pieni, con più di 20mila persone spesso. Al derby col Rapid ce n’erano 33mila. Voglio dire, in Serie A se togli i grandi club non ci arrivi, penso magari a Sassuolo o Udinese». E conclude: «Si vede che lo Steaua è una grande squadra, con un passato importante. Qui c’è stato qualche italiano, tipo Zenga, tipo Piovaccari, molti in società hanno giocato in Italia, vissuto in Italia o hanno parenti italiani. Se proprio non sai che parlare, parla italiano. Qualcosa lo capiscono».