Antonio Filippini: «Io e mio fratello incubo di Ronaldo. Abbiamo un progetto pazzo per la A…»

by Redazione Cronache

Antonio ed Emanuele Filippini sono due gemelli con la stessa passione in comune: il calcio. Entrambi hanno calcato i palcoscenici della Serie A, disimpegnandosi egregiamente ed entrando nel cuore dei loro tifosi. Ecco di seguito le dichiarazioni di Antonio, in un’intervista rilasciata a Il Posticipo.

ESPERIENZA DA ALLENATORE – «Alleno da dieci anni: ho iniziato nel settore giovanile del Brescia, poi ho guidato gli adulti in Serie B, in C e in D. Sono stato all’estero col settore giovanile del Milan. Adesso sono in attesa di una nuova squadra».

LIVORNO – «Livorno è stata la mia seconda casa, è stato anche il club con cui ho giocato più partite dopo il Brescia. Come allenatore della prima squadra ho disputato dieci partite: mi hanno visto lavorare bene sul campo, con una squadra piena di giovani abbiamo giocato buone partite che mi erano valse la riconferma. Purtroppo Aldo Spinelli ha venduto la società con cui avevo già l’accordo per restare: stavo già preparando la squadra per quest’anno. Chi è arrivato però ha preferito un altro allenatore».

CORONAVIRUS – «Nel primo periodo facevamo allenare i giocatori tramite il training working da casa: è stato complicato più che difficile, ma mi sono rivelato preparato anche sotto questo punto di vista».

SCOMPARSA DELLA MADRE – «È stata durissima. Ero a Livorno e col lockdown non ci si poteva muovere. Purtroppo mia mamma è stata coinvolta come tanti bresciani in questa pandemia: è stata sfortunata come tante altre persone che in quel momento hanno perso la vita. Mi sono commosso prima di giocare contro il Cittadella. Avrei barattato il mio esordio in Serie B col Livorno con la vita di mia mamma: ho anche pregato, ma non c’è stato niente da fare. Non l’abbiamo nemmeno vista. Il dramma è stato anche questo: che oltre a perderla non abbiamo potuto né vederla né salutarla come meritava e come ci meritavamo».

MAMMA – «Quando eravamo giovani era la nostra prima tifosa, ma anche la nostra prima allenatrice. Appena arrivavamo a casa ci metteva sotto col mangiare e con la vita sana. Ci ha sempre messo in riga tra virgolette, ma sempre con la buona educazione e senza mai esagerare come fanno i genitori di oggi».

BRESCIA – «Sono tornato a Brescia: vivo a Polpenazze del Garda. Noi siamo bresciani e sappiamo rispettare le regole: i contagi sono sempre di meno, speriamo di andare avanti così per evitare una seconda ondata».

STAGIONI NEL BRESCIA – «Il 2001-02, quando ci siamo salvati vincendo all’ultima giornata contro il Bologna. È stata una stagione difficile, prima di tutto perché avevamo perso il nostro compagno di squadra Vittorio Mero: è stata una tragedia, quando perdi un compagno di squadra è come perdere un fratello. Oltre a giocare a calcio uscivamo insieme a cena: era un ragazzo estroverso come noi. Poi ci sono stati l’infortunio di Baggio, il doping di Guardiola, i problemi di Bachini. È stato fondamentale l’aiuto di Mazzone: era un grandissimo nella gestione del gruppo, grazie a lui siamo riusciti a salvarci dopo un’annata davvero pesante. Il mister non dava molta confidenza ed era molto tranquillo durante la settimana. La domenica però arrivava il fratello gemello: Mazzone si trasformava e diventava un allenatore focoso. Sapeva leggere bene le partite, eravamo pronti a tutto. Con lui ci siamo salvati per tre anni di fila: a Brescia non era mai successo».

MAZZONE – «La sua gestione del gruppo e dei singoli giocatori erano pazzesche: se c’è qualcosa da dire glielo si dice con la massima tranquillità e con la massima coerenza. Sotto l’aspetto tattico oggi il calcio è cambiato e bisogna essere più propositivi. Io voglio avere in mano la partita anziché darla in mano all’altra squadra».

GUARDIOLA  ED IL DOPING – «Ciò che assumeva in Spagna era regolarissimo, in Italia invece in quel periodo era una sostanza proibita, quell’integratore era stato preso per doping. Guardiola però aveva dimostrato che in Spagna poteva assumerlo senza problemi: per questa ragione è stato assolto. Ho giocato insieme a Pep: io ed Emanuele siamo andati anche a vederlo, abbiamo seguito i suoi allenamenti al Manchester City. Abbiamo appreso tante cose sulla sua metodologia di allenamento, sulle sue idee e sui suoi principi tecnico-tattico».

ALLENAMENTO CON GUARDIOLA E BAGGIO – «Ci brillavano gli occhi ogni volta che toccavano la palla, che si parlavano e che ci rendevano partecipi dei loro discorsi. Con l’arrivo di questi due grandi campioni abbiamo alzato il nostro rendimento in campo e siamo migliorati come giocatori. Erano anche umilissimi per cui era facile dargli tutto quello che avevi».

BAGGIO “COOTER” – «Filippo Galli ci aveva detto a noi bresciani che probabilmente sarebbe arrivato Roberto Baggio. Ci aveva raccomandato di non dirlo a nessuno perché ci stava facendo una confidenza: eravamo in Spagna per un’amichevole. Noi bresciani l’abbiamo soprannominato “Cooter”: il meccanico di Hazzard, personaggio immaginario di una serie televisiva. Era il nome in codice con cui potevamo parlarne liberamente, sul pullman dicevamo: “Se dovesse arrivare Cooter, mamma mia! Farebbe la differenza”».

PIRLO – «Abbiamo giocato insieme nel nostro primo anno al Brescia dopo tre anni di Serie C ad Ospitaletto. Erano due grandi giocatori e due bravi ragazzi, secondo me Andrea è stato uno dei tre migliori centrocampisti del mondo. In panchina ha fatto un bel salto. Smettere di giocare e allenare non è semplice ed è ancora più difficile partire dalla Juventus, dalla squadra che vince lo Scudetto da nove anni. È una scelta difficile sia da parte della società che da parte di Andrea considerate le pressioni che ci sono: la Juve è abituata a vincere per cui ha tutto da perdere, se non dovesse vincere il campionato Andrea avrebbe già fallito».

SFIDA TRA GEMELLI – «Quando io ed Emanuele giocavamo insieme ci bastava un’occhiata per capirci. Quando siamo andati via insieme dal Brescia e siamo passati al Palermo non eravamo soli: al proprio fianco c’era un fratello con cui dividere al cinquanta per cento le tensioni che c’erano lontano da casa. C’è stata grande emozione prima di quel Parma-Brescia: era la prima volta da rivali e le prime volte di qualsiasi cosa, nel calcio e nella vita, sono sempre emozionanti. Quando l’arbitro ha fischiato l’inizio, abbiamo cominciato a giocare come sapevamo, ci sono stati anche contrasti duri tra noi: era il nostro modo di giocare ed era giusto così, in quei 90 minuti siamo diventati avversari e volevamo prevalere uno sull’altro».

SFIDA TRA GEMELLI DA ALLENATORI – «Io allenavo il Trento, lui il Rezzato e ha vinto 3-1. Quando ero arrivato a Trento, la squadra era ultima in classifica, abbiamo fatto una rimonta per centrare la salvezza. Emanuele doveva vincere il campionato e purtroppo è arrivato secondo. La sua squadra era nettamente più forte della mia. In tre anni alla guida degli adulti, Emanuele ha vinto due campionati, uno con l’Adrense e uno col Ciliverghe, e ne ha perso uno per un punto: è un ottimo allenatore, adesso è in Nazionale, non se lo stanno facendo scappare. C’è un continuo scambio di idee tra noi due: lui va in giro per il mondo e vede i principi di gioco e le nuove idee dei nuovi allenatori. Parliamo tanto di tutto questo e cerchiamo di metterlo quando alleniamo»

PASSIONE PER LA MUSICA – «Sì, dopo Palermo-Bari, alla penultima giornata di campionato: c’era la festa, a fine gara abbiamo suonato davanti a 40mila spettatori insieme ad Andrea Gasbarroni che cantava qualche canzone di Vasco Rossi. È stata un’emozione persino più forte di quando abbiamo giocato a calcio davanti a così tante persone: erano tutti lì e cantavano le canzoni di Ligabue e di Vasco. Ci piace il rock internazionale, il nostro idolo è Bruce Springsteen: abbiamo assistito a più di settanta concerti. Tra i nostri gruppi preferiti ci sono Led Zeppelin, Deep Purple, U2, Rolling Stones. Suoniamo qualche volta: ci chiamano soprattutto per eventi di beneficenza, raccogliamo fondi per chi è meno fortunato di noi».

LAZIO – «Eravamo arrivati in prestito dal Palermo. Io avevo giocato 44 partite su 46, mio fratello altrettante perciò Lotito ci voleva confermare, purtroppo non è andata così: non so che cosa sia successo, è cambiato anche l’allenatore, è arrivato Delio Rossi, e non siamo riusciti a tornare alla Lazio. Saremmo rimasti volentieri perché ci trovavamo bene con la società e coi tifosi. Ricordo che la Roma di Zeman si era interessata a noi, ma non ci siamo andati perché hanno scelti altri uomini. Noi eravamo i tipici giocatori alla Zeman».

RONALDO E QUEL RICORDO – «Le sue parole ci hanno reso felici perché quando giochi non ti rendi conto di quello che fai, solo quando smetti poi riesci a guardarti indietro. Ho disputato 303 partite in Serie A, 700 nei professionisti, e le dichiarazioni di campioni come Ronaldo fanno piacere: ha giocato insieme e contro tanti campioni, ma si ricorda di noi, questo significa che abbiamo fatto qualcosa di buono. In campo eravamo molto ostici, avevamo grande temperamento ed eravamo giocatori moderni, andavamo in pressing sull’avversario».

LITIGIO IN CAMPO – «Con tutti! Nedved, Davids, Del Piero, Totti, De Rossi, Maldini: abbiamo litigato con tutti soprattutto fuori casa perché c’era bisogno di mettere temperamento in campo. Quando ci rivedono si mettono ancora le mani nei capelli e dicono: “Mamma mia, quanto eravate rompiscatole!”. Quando d’estate incontravamo gli avversari nei villaggi turistici restavano tutti meravigliati: pensavano che fossimo insopportabili come in campo, invece poi scoprivano che eravamo ragazzi simpatici».

 CAMPIONI ED IBRA – «Io ed Emanuele abbiamo giocato nei 10-12 anni più importanti del calcio italiano: i nostri avversari erano Del Piero, Totti, Davids, Nedved, Nesta, Maldini, Cafu e tanti altri. Abbiamo affrontato Ibra che sta dimostrando di essere ancora un grande campione: è sempre attento a tutto, si allena al cento per cento, è un leader per il Milan. Abbiamo giocato con Chiellini che però era all’inizio della sua carriera».

CRISTIANO RONALDO – «Ci manca la sua figurina: sarebbe stato un altro campione da aggiungere alla nostra collezione. Allora campioni come Ronaldo il Fenomeno enivano in Italia quando avevano 24-25 anni e non dopo i 30. Abbiamo giocato anche contro Batistuta, un altro campione che faceva la differenza in A ed era giovane».

ALLENARE IN A – «Sì, è nei nostri progetti. Stiamo facendo percorsi diversi, ma vogliamo allenare insieme: stiamo cercando la situazione giusta per poter esprimere il nostro pensiero di calcio. Allenare in A sarebbe un sogno: per raggiungerlo bisogna lavorare tanto e sodo e studiare per migliorarsi giorno dopo giorno».

IDEA DI CALCIO – «I miei moduli di riferimento sono il 3-4-3 o il 3-4-1-2. Mi piace giocare con l’ampiezza, con la profondità e con la gestione della partita. Voglio sfruttare gli esterni sia in fase di attacco che a centrocampo: i quinti ti danno l’ampiezza però quando giochi coi tre difensori è d’obbligo avere in mano il dominio del gioco. Voglio che la mia squadra abbia in pugno la partita, che sfrutti l’ampiezza e che attacchi la profondità con gli esterni e con la punta centrale. Una squadra deve giocare bene anche in fase di non possesso. Quando non hai la palla devi aggredire immediatamente il possessore di palla avversario: se non riesci a farlo allora devi stringere il campo e devi limitare le conclusioni in porta della squadra avversaria».

PORTIERE – «Il ruolo è cambiato dall’avvento della nuova regola che gli impedisce di prendere il pallone con le mani sul retropassaggio. Avere un portiere coi piedi buoni è un vantaggio. Tutti parlano della profondità in attacco, ma c’è anche la profondità alle tue spalle: i tre difensori e il portiere devono farla conoscere».

GOL DI AMELIA – «Eravamo a Belgrado contro il Partizan all’87’ di gioco. Era stata fischiata una punizione a nostro favore in zona laterale, quando lo abbiamo visto partire dalla sua porta abbiamo cominciato a gridargli dalla panchina: “Ma dove vai! Dove vai! Dove vai!”. Mentre gli urlavamo contro tutti insieme, è partito il cross, Marco ha colpito di testa e ha fatto gol: l’umore di tutti noi è cambiato nel giro di cinque secondi. È stata un’esperienza fantastica, siamo scoppiati a ridere perché il calcio a volte è veramente imprevedibile».