L’Atalanta u-23 è il nuovo laboratorio calcistico di Bergamo

La seconda società a puntare sulla squadra B non poteva che essere l’Atalanta: siamo stati a Zingonia per raccontarvelo da vicino.

È nato tutto da un’opportunità. Di quelle da cogliere al volo, dando un grande segnale di continuità. All’Atalanta si coltiva il talento e il settore giovanile è da sempre motivo di vanto per la società. Un’oasi felice dove i ragazzi hanno modo di crescere, imparare e diventare uomini. Sotto questo aspetto l’Under 23 è un ulteriore passo in avanti. «Sono fortissimi a livello qualitativo, ma devono essere più cattivi e furbi». Questo l’obiettivo.

 

Il contatto con Gasp è quotidiano. L’allenatore conosce tutti i ragazzi, li osserva e li valuta. C’è sempre un suo collaboratore alle partite e viene da sé che giocare in U23 sia un’ottima vetrina per mettersi in mostra. Un trampolino per la prima squadra. Come è successo ai tanti giovani lanciati dalla Juve, che ormai da 6 anni ha la seconda squadra in C. 

 

L’Atalanta ha seguito l’esempio e spera di mandarne tanti in Serie A. Del resto lo fa da sempre. Crescere in casa dovrà solo essere un incentivo. 

 

Leggendo i nomi di chi ci lavora si può intuire la direzione del progetto. Il primo, Fabio Gatti, direttore sportivo che prima dell’Under 23 si occupava del collocamento dei ragazzi del vivaio in prestito in giro per l’Italia. Ora a Zingonia li fa crescere a chilometro zero, senza perderli di vista un attimo. «La prima missione è stata quella di trattenere i ragazzi. Ci siamo riusciti con la forza del progetto, ma in tanti avevano richieste dalla B. Qui però hanno la possibilità di essere seguiti dal nostro staff e di avere a disposizione strutture da Serie A». Con una corsia preferenziale verso l’Atalanta dei grandi. L’Under 23 sarà una vetrina per molti di loro. 

 

Il salto dalla Primavera alla Serie C è grande, sia dal punto di vista umano per ragazzi che vengono dalle giovanili che da quello caratteriale. Cambia molto in modo di approcciarsi alla partita. «Il primo punto è la gestione dell’adattamento. Sai quando i ragazzi vanno in prestito, magari dopo aver fatto un settore giovanile di un certo livello, rischiano di trovarsi spaesati. Guarda Cambiaghi, che i primi due anni fuori ha faticato ma ora è in Serie A. E pur essendo fortissimo alla prima volta tra i pro ha faticato. Ora è dove merita».

 

Ma di esempi se ne possono fare a bizzeffe. È una questione ambientale, ma anche di ritmo, motivazioni e abitudine a un altro tipo di calcio. «In C cambia tutto. Dai campi alle strutture. Noi in questo siamo un modello, perché i ragazzi sono trattati come giocatori di Serie A. Devono però diventare più cattivi nella gestione delle partite. Questo è un altro punto. Il fatto che in campionati come questo serve un po’ di malizia e devono acquisirla». Tempo e talento sono dalla loro. 

 

Un’altra cosa da sottolineare è chi lavora con Modesto. Ti fa capire che nessuna scelta è casuale e quanto abbiano puntato sull’identità più che sull’esperienza. Il gruppo al primo posto. Il vice allenatore è un suo ex compagno proprio al Genoa, ovvero Giuseppe Biava, che in carriera ha giocato anche all’Atalanta e alla Lazio, per poi diventare allenatore e guidare l’anno scorso l’Albinoleffe in C. Fanno parte dello staff anche gli ex atalantini Rolando Bianchi e Giorgio Frezzolini, rispettivamente collaboratore tecnico e preparatore dei portieri. Partecipano tutti attivamente agli allenamenti, spronano il gruppo e provano a insegnare quello che da giocatori hanno vissuto. Situazioni, esperienze, momenti. «Noi cresciamo come allenatori, loro come uomini». Filosofia chiara.