Record, canguri, Tim Cahill e problemi: a che punto è l’Australia?

by Costantino Giannattasio

È il gennaio 2015. L’Australia vince la Coppa d’Asia coi gol di Massimo Luongo, di padre pugliese, e James Troisi, nato ad Adelaide da genitori greci e patrigno italiano. Quattro anni prima, in finale col Giappone di Zaccheroni, era crollata la generazione di Schwarzer, Jedinak, Holman e soprattutto Harry Kewell. Loro hanno fallito. I nuovi invece no: hanno festeggiato il finora unico titolo australiano, escludendo le 4 Coppe d’Oceania vinte prima del 2006, anno in cui la Federcalcio ha scelto di unirsi alla Confederazione asiatica, che geograficamente non le compete. Per la cronaca, il miglior calciatore di quella finale è Trent Sainsbury, che nel gennaio 2017 diventa il primo australiano nella storia dell’Inter. Ma nel gennaio 2015 tutto va bene: il c.t. Postecoglou è amatissimo e le Matildas (la Nazionale femminile) si preparano al Mondiale, dove raggiungeranno i quarti di finale. Già si valuta l’organizzazione dell’edizione 2023, poi ottenuta assieme alla Nuova Zelanda. Il calcio australiano è in grande fermento. L’orizzonte? Roseo.

 

Crisi, record e un difensore goleador

Tensioni politiche, episodi di violenza nelle curve, il crollo degli spettatori in tv e – in ultimo – la pandemia da Covid-19 hanno ridimensionato il calcio australiano. La Nazionale non fa eccezione. Vinto il Girone B di qualificazione a punteggio pieno (24 punti su 24 disponibili, 28 reti segnate e sole due subite), i Socceroos approdano alla terza fase. Iniziata col botto: 9 punti nelle prime tre partite, 7 gol fatti e uno subito, regolati in fila Cina, Vietnam e Oman. Quando – il 12 ottobre scorso – l’Australia gioca in casa del Giappone, finisce però la striscia record di 11 vittorie consecutive. Vantaggio di Tanaka dopo 8’, pari di Hrustic (gioca in Bundesliga, all’Eintracht Francoforte) e autogol decisivo di Behich a 4’ dal termine. Da qui l’Australia perde la bussola. Prima pareggia contro l’Arabia Saudita la prima partita giocata in casa in 763 giorni, ovvero da inizio pandemia: scialbo 0-0, per di più con infortunio al ginocchio di Harry Souttar, l’uomo più in forma, un difensore centrale capace di segnare 6 gol in 10 partite di qualificazione. Poi, pareggia pure con la Cina. Se finisse ora, per qualificarsi al Mondiale 2022 all’Australia servirebbero i playoff.

 

Dimissioni, rifugiati e Champions League

Record rotto? Ma forse è meglio così. Tra 1996 e ’97, l’Australia scrive la storia: 14 vittorie di fila nelle qualificazioni al Mondiale ’98, ma perde il playoff decisivo con l’Iran per la regola dei gol in trasferta. Lo sa bene Graham Arnold, oggi c.t., allora in campo: sua la panchina che era di van Marwijk al Mondiale di Russia, visto che il già citato Postecoglou si era dimesso nel novembre 2017. C’è Arnold alla guida di una rosa pullula di storie di riscatto. Non solo Sainsbury, che dopo l’Inter ha giocato in Olanda e oggi in Belgio. Matthew Ryan era un tennista, prima di diventare portiere. Milos Degenek è un difensore nato in Croazia e fuggito in Australia con la famiglia, serba, per via della guerra in Kosovo. Poi c’è Awer Mabil, nato da genitori del Sud Sudan e cresciuto in un campo profughi a Kakuma, in Kenya. «Non c’era altro da fare, per questo giocavo a calcio». Quando suo zio trova lavoro in Australia e la famiglia Mabil si trasferisce ad Adelaide, è tutta un’altra cosa: «Come vivere una nuova vita». Nel 2015 la chiamata dal Mitdjylland, in Danimarca. Due prestiti, poi dal 2018 è titolare. La Coppa nazionale vinta nel 2019, il campionato danese l’anno dopo. L’amicizia con Pione Sisto. Sogni realizzati: il debutto in Europa League, poi in Champions.

 

Tim Cahill e l’Australia migliore di tutte

«Ho parlato ai ragazzi. Io sono stato fortunato a giocare quattro Mondiali, ma potrebbe non esserci più quest’opportunità». Quando si congeda così dalla Nazionale australiana, alla fine del Mondiale 2018, Tim Cahill è il capocannoniere dei Socceroos con 50 reti – dopo di lui, le 29 Damian Mori – ma non il recordman di presenze: ne ha 107, due in meno del leggendario Mark Schwarzer. La carriera di Cahill è però un bignami di storia recente del calcio oceanico: 12 anni tra 2004 e 2018, l’unico australiano ad aver segnato a tre edizioni di un Mondiale. Ma anche il primo a esservi riuscito. In una partita folle, peraltro, il 12 giugno 2006 col Giappone a Kaiserslautern. Nipponici sullo 0-1 e gran rimonta: doppietta di Cahill tra 84’ e 89’, gol di Aloisi al 92’. Anche così l’Australia si qualifica agli ottavi, dove incontra l’Italia futura campionessa del mondo. Stavolta la zona Cesarini è beffarda: un rigore di Totti al 95’ spegne il sogno australiano. È però il massimo risultato ottenuto da una Nazionale che – come il Mali – è stata dormiente a lungo: c’era al Mondiale 1974 in Germania Ovest, c’è da Germania 2006 in poi. Per guadagnarsi il Qatar, però, all’Australia non basterà la storia recente.