a cura di Matteo Lignelli e Giacomo Brunetti

Cosa significa essere un giocatore di beach soccer

Uno sport in continua espansione, che richiede una grande preparazione fisica e che promette spettacolo in ogni azione.

Avete un momento libero e state cercando un sport spettacolare. Qualcosa con il pallone, perché d’altronde vi risulta difficile staccarvi dal calcio. Ma allo stesso tempo, più intenso e appassionante come l’NBA. C’è una soluzione: il beach soccer. Grazie alla FIGC, siamo entrati nel ritiro della Nazionale Italiana che sta disputando l’Europeo per raccontare uno sport in profonda espansione e professionalizzazione.

 

Saranno tre le voci ad accompagnarci: quella del c.t. Emiliano Del Duca, un autentico decano di questa disciplina che ha vinto tutto; Francesco Fabio Sciacca, che oggi spacca le reti sulla sabbia; Martina Galloni, portiere della Nazionale che il beach l’ha scoperto grazie a un viaggio in Spagna. Tre personaggi con un’estrazione completamente diversa, che si sono innamorati di questo pallone e dei suoi rimbalzi irregolari.

 

«Il beach è spettacolo e dedizione: gli allenamenti sono duri, si lavora tantissimo sulla resistenza perché ogni 30 secondi c’è un tiro e ogni 15/20 secondi c’è un fallo laterale, che è una situazione pericolosa, mentre il portiere è un pericolo perché può segnare», ci spiega Del Duca. Dopo aver vinto tutto con Terracina, dal 2018 è diventato commissario tecnico: «Il mio ruolo non è differente da quello del c.t. della Nazionale A. Cambiano le metodologie di lavoro e di allenamento, devi portare il background calcistico sulla sabbia, adattando la disciplina, i tempi di recupero e la gestione tattica. I nostri allenamenti sono adattati alla superficie e allo sforzo dell’atleta».

 

 

Il lavoro del c.t. è complicato: «Il campionato italiano dura due mesi l’anno. Nel resto della stagione, la maggior parte dei calciatori pratica calcio tra i dilettanti o futsal. Per gli uomini, la scelta avviene tra circa 28 squadre totali (tra grandi e u-20, ndr) su circa 150 elementi disponibili. Nel femminile invece è più ostico: ci sono 5 squadre soltanto, togliendo una quindicina di straniere e 10 portieri, mi rimangono 30 elementi di movimento tra cui scegliere. C’è una collaborazione attiva con le società».

 

Uno dei protagonisti della Nazionale – «ma solo negli ultimi anni eh, il mister ci ha messo un po’ per convocarmi!» – è Francesco Fabio Sciacca. Se il nome vi dice qualcosa, aspettate. La difficoltà più importante, infatti, è la parola chiave di questo sport: l’adattamento. E nessuno meglio di Francesco Fabio Sciacca – che ci ha detto di chiamarlo semplicemente Fabio – può raccontarcelo. Ha esordito a 19 anni in Serie A con la maglia del Catania, la squadra della sua città e di cui ha indossato la fascia da capitano in Primavera, oltre a essere il 10 dell’u-20 al Mondiale di categoria del 2009: bloccato da numerosi infortuni – due rotture di crociati, tre operazioni alla caviglia e una rottura del tendine d’Achille – è sceso nelle categorie inferiori, fino a ritrovare il beach soccer. Ritrovare, esatto: «Per me è stato come tornare al primo amore, perché da bambino lo praticavo», ci racconta in questi giorni di Europeo.

 

«L’ho ripreso durante la riabilitazione – ci spiega – e l’ho trasformato in passione. Meglio qui che svernare in Eccellenza, a livello di soddisfazioni», ci spiega, «perché il beach ti dà tanto, è spettacolare e particolare, e inoltre grazie alla Nazionale puoi farlo praticamente a livello professionistico. Le cose vengono fatte bene, qui».

 

Il portiere è uno dei ruoli che cambia di più nel passaggio dal calcio “tradizionale” al beach soccer. Per una serie di ragioni che partono dal regolamento. Due esempi? Si può raccogliere la palla con le mani anche se a passarla è un compagno e, ben più difficile, ci sono solo 4 secondi per rilanciarla. In generale il portiere è molto più coinvolto nel gioco e può anche decidere una partita segnando all’improvviso. «A me non è ancora successo» dice ridendo Martina Galloni «ma ci sto lavorando. È un lavoro complicato, sulla sabbia la palla ti rimbalza davanti e può andare ovunque. Destra, sinistra, in alto, non puoi mai saperlo quindi devi sempre stare concentrato. Gli avversari possono tirare da qualsiasi posizione, anche il portiere può farlo. Devi controllare più cose contemporaneamente e proprio per questo è anche più bello, sei un protagonista al 100% della partita. E poi serve tecnica, non è facile alzare la palla!».

 

Dato che il beach soccer accoglie calcio a 11 e futsal, abbiamo chiesto al c.t. chi vorrebbe chiamare della Nazionale A: «Uno che vedrei davvero bene è Zaccagni, soprattutto nell’1vs1. E poi Kean, come pivot. Uno molto bravo a beach soccer sarebbe stato Marchisio con i suoi inserimenti. Ma dipende tutto dall’adattamento, un grande giocatore di calcio a 11 non è automaticamente un fenomeno nel beach, anzi. Nel club ho allenato Aldair, lui si calò pienamente nella nuova disciplina. Ma ne ho visti tanti provare senza successo». È uno sport senza gare scritte, dove la preparazione e la condizione fanno la differenza e appiattiscono i gap tecnici: «Non esistono più gare facili, ormai se non giochi al 100% rischi di perdere anche contro realtà in crescita come Estonia e Lituania. Tutte le federazioni adesso investono nel beach». Sta tutto nell’adattamento, come vi spieghiamo adesso.