Il Benfica ci ha raccontato come fa a lanciare ogni anno giovani di altissimo livello

by Lorenzo Cascini
Benfica

Per fotografare alla perfezione il mondo del Benfica bisogna partire da un uomo. Uno di quelli sconosciuti ai più, da sempre avversario di riflettori e complimenti. Si potrebbe paragonare a Mr Wolf di Pulp Fiction, concreto e di poche parole. Con visione e praticità come linee guida del percorso. Parliamo di Rodrigo Magalhães – responsabile del settore giovanile – che a Seixal è considerato una vera e propria istituzione. «Il nostro scopo è formare prima di tutto uomini – ci racconta-, il calcio viene dopo. È solo una conseguenza del lavoro che fai sui ragazzi. Siamo un club che punta a vincere, ma che ha come obiettivo principale la crescita del vivaio. Forse è questo il nostro segreto». Un approccio olistico, che parte dal calcio ma che va a toccare tutti gli aspetti fondamentali nella formazione di un ragazzo. «Il Benfica non ti forma solo nello sport ma ti prepara alla vita». Modello da seguire.

«Sei forte? Allora giochi con i più grandi». Il modello Benfica

Già perché Seixal – enorme centro sportivo tra i più all’avanguardia d’Europa – è un’oasi felice in cui ragazzi hanno modo di imparare, mettersi alla prova e crescere nel miglior modo possibile. «Nel nostro settore giovanile ogni squadra è seguita da uno psicologo, da un nutrizionista e da un allenatore specifico, lì per curare ogni dettaglio. Stiamo molto attenti anche alla scuola. Dai bambini fino all’Under 19». Magalhães lo racconta con la voce di un sergente di ferro che non ne fa passare una e che le regole le fa rispettare senza sconti. Si fa come dicono loro, poi a parlare – nel corso del tempo – sono i risultati. «La nostra filosofia è che i ragazzi devono affrontare sfide e mettersi in gioco. Della serie: sei forte? Giochi con la categoria superiore, non importa quanti anni hai o se sei più piccolo fisicamente. E se contro i suoi coetanei quel ragazzo farebbe cinque gol, giocando sotto età magari non ne fa neanche uno. Ma cresce. E poi inizia a farne anche contro di loro. Li prepariamo quindi a diventare grandi, esaltandone le qualità. Forse questo ci differenzia da tanti altri settori giovanili in Europa». 

Visione, idee, voglia di fare senza paura di buttare i ragazzi nella mischia. E pazienza se all’inizio non brillano o fanno fatica. Un esempio? Renato Sanches. Stavolta il ricordo dall’album lo pesca Nélson Verissimo, oggi allenatore dell’Estoril, con un passato di oltre dieci anni nel Benfica tra settore giovanile e prima squadra. «Ti racconto un aneddoto che descrive in modo perfetto il concetto. Portammo Renato Sanches per la prima volta con l’Under 18 contro la Feirense e lui giocò una partita orribile. Avrà avuto forse diciassette anni. Sbagliava ogni passaggio, tutti gli stop, i lanci, un disastro credimi. Però, nonostante gli errori, non si è mai nascosto anzi, cercava la palla, si faceva vedere». Il racconto disegna il modus operandi del club. Sbagli? Pazienza, andrà meglio la prossima. «Dalla terza partita in poi infatti non ha più sbagliato nulla e non l’ho più tolto». Ma di giocatori che hanno fatto un percorso simile se ne potrebbero citare a bizzeffe. «Anche Joao Felix era così. All’inizio faticava, gli avversari erano più grandi sia di età che proprio fisicamente. Con il tempo però si è abituato. E non serve che vi dica poi come è andata». 

La storia di Bernardo Silva, dribblomane nato

Plusvalenze e cessioni a peso d’oro sono il dogma di un modo di lavorare che funziona. In cui la cura del particolare e l’attenzione minuziosa verso ogni dettaglio sono la formula del successo. Per farlo si parte dallo scouting: «Abbiamo osservatori e informatori in ogni parte del mondo. Ma non ci limitiamo a comprare un giovane con la speranza che abbia talento. Noi preferiamo formarlo: lo facciamo crescere, allenare con una precisa metodologia e cerchiamo di sviluppare le sue qualità in un progetto a lungo termine, che punta a farlo arrivare in prima squadra». Qui Rodrigo Magalhães apre un’altra pagina del libro, dandoci una spiegazione pratica – se mai ce ne fosse stato bisogno – del perché da quelle parti viene considerato il formatore per eccellenza. In testa è come se avesse un database, si ricorda tutto. “Ogni giocatore è diverso. Guarda Ruben Dias, noi lo prendemmo a undici anni. E già da allora aveva doti che lo distinguevano dagli altri: leadership e comunicazione. Era come un generale in campo, dava ordini a tutti, organizzava la squadra. Poi negli anni è migliorato nel resto, anche grazie al lavoro personalizzato fatto dagli allenatori su di lui. Oppure prendiamo Bernardo Silva. Da piccolo era già dribblomane, saltava tutti e aveva una tecnica impressionante per la sua età. Il pallone sembrava fosse un prolungamento del suo corpo, non gliela levavano mai. Ma si è dovuto irrobustire e ha imparato a giocare contro giocatori fisicamente molto più grandi di lui. I loro risultati sono i nostri trofei». 

Bernaldo Silvia Benfica

Sia Magalhães che Nélson Verissimo ci salutano con una cartolina, postilla che chiude il cerchio e svela un altro segreto del Mondo Benfica. Oltre alla gestione, alla programmazione e al cura dei dettagli, una cosa che fa la differenza è la creatività”. I ragazzi vengono lasciati liberi di esprimere il proprio talento, senza essere ingabbiati in ruoli prestabiliti. Diventando, senza saperlo, dei giocatori moderni capaci di fare più ruoli, come Cancelo o Bernardo Silva. Vedere per credere. È solo l’ultimo dei punti cardine di un’Academy che è in continua evoluzione, un laboratorio di gioielli che trasforma pietre grezze in diamanti pregiati.  Le classe del club ringraziano, Magalhães sorride. Nell’ombra, senza apparire. A lui e al Benfica va benissimo così.