«Vogliamo lottare costantemente per l’Europa»: l’intervista a Blazquez, il CEO del Genoa

by Emanuele Corazzi

Sono rimasto impressionato dall’incontro con Blazquez. È al primo incarico nel calcio ma ha sensibilità per guidare un gruppo di lavoro e soprattutto per capire se sia giusto prendere Malinovskyi ora e non a giugno, o trattenere Gudmundsson. È laureato in fisica ed è il capo del Genoa. Un visionario con un’idea chiara: l’Europa.

Siamo stati a Genova per parlare con Andres Blazquez, il CEO del Genoa che ci ha lasciato con una frase che simboleggia il progetto che caratterizzerà la società da qui ai prossimi anni: «Vogliamo lottare costantemente per l’Europa».

Anche per questo è rimasto Albert Gudmundsson, nonostante gli interessamenti durante il mercato, su tutti quello della Fiorentina che si è sbilanciata con un’offerta che, comunque fosse andata, si sarebbe rivelata inutile: «Il dg viola Barone mi ha chiamato mentre ero a pranzo e gli ho detto: ‘Non vendo Gudmundsson, ti dico una cifra alta e te la dirò sempre più alta perché non voglio perderlo’. Gli dissi 30 più bonus, avvisandolo: ‘Se mi chiami domani, te la alzo e ti dirò 40 perché non vendo’».

Non è stato semplice far passare questo concetto al giocatore: «Io Albert lo capisco – ci ha spiegato Blazquez – perché  alla sua età andare alla Fiorentina era una opportunità, ma gli ho detto: ‘Mi dispiace, ma non sono aperto ad ascoltare un’offerta per te’. Lui ha capito, ha riflettuto e mi ha inviato un messaggio. Eravamo a Firenze prima della partita contro l’Empoli, scrivendomi: ‘Ora dobbiamo lottare per il top-10’». Gudmundsson è uno dei cardini del progetto, «se lo do via, perdo una parte importante. Se questa estate arriveranno 35 milioni, ci ragioneremo. I giocatori sono transitori. Guardate l’Atalanta: per fare squadre competitive, devi anche vendere. Non c’è niente di male, devi saper trovare i calciatori giusti».

A che punto è il progetto del Genoa. Innanzitutto, è vitale stilare una roadmap che ci mostra la pulizia che 777 sta portando avanti: «Stiamo ripulendo, intanto. Abbiamo il 4° costo per punto del campionato comparato con il monte ingaggi. Abbiamo 14 milioni di ingaggi su calciatori che non utilizziamo, che abbiamo ereditato dalla vecchia gestione. Quando siamo arrivati c’erano 73 milioni di costi ingaggi con 40 di ricavi. Ora ne abbiamo 29 di ingaggi, di cui quei 14. Sfruttando bene quei 14, potremmo avere una rosa più forte e densa. Quando riusciremo a sfruttare, dovremo lottare per l’Europa. Come città, tifo e storia, il Genoa deve lottare in modo costante per l’Europa». E alla base di un grande progetto, ci dev’essere anche un allenatore capace di creare valore e dare continuità.

Per questo, Blazquez sta studiando Alberto Gilardino. I due dovranno scegliersi: «Ho parlato con Gilardino e gli ho detto che abbiamo un progetto su 3-4 anni. Ora sta a lui se sposarlo». Semplice e diretto. Come la filiera sul mercato: Ti faccio l’esempio di Malinovskyi. La parte sportiva mi ha detto che era meglio acquistarlo ora che a giugno. Io decido se accettare la proposta tecnica e quindi riportarla al board di 777, che è composto da 4 persone. Il mio compito è creare un gruppo di lavoro e dargli fiducia per sviluppare e crescere. Sono un po’ un headhunter interno. Io do la libertà di fare cose diverse. Devo saper scegliere bene le persone e dare i giusti compiti a chi è dentro. Il lavoro più bello sarebbe che vengo a lavorare, perché vuol dire che sarei riuscito a delegare tutte le funzioni alle persone giuste. Il ruolo di ogni CEO è quello di non rendere la propria presenza sempre richiesta. Il mio compito è creare un gruppo di lavoro e dargli fiducia per sviluppare e crescere. Io do la libertà di fare cose diverse. Devo saper scegliere bene le persone e dare i giusti compiti a chi è dentro. A me piacere essere trasparente, non so essere in altro modo».

Prima del Genoa, Blazquez ha ricoperto diversi incarichi, ma nessuno nello sport: «Nel calcio questo al Genoa è il primo incarico. Ho lavorato in tanti settori, ma solo qui si lavora 7 su 7. Ho iniziato nel Siviglia, con una quota. Poi sono entrato nel CdA, per circa un anno. Mi diverte il business, ho gestito di tutto. Un business è un business: nel calcio, l’intensità non è comparabile però. L’impegno personale, anche. Il livello di presenza richiesto supera tutti gli altri settori. Vincere una partita è soltanto uno step». Da bambino «seguivo l’Athletic Club. Mio zio Julio abitava a Bilbao e mio padre andò a trovarlo, è tornato con la maglietta biancorossa e il pantaloncino nero. La vicinanza geografica aiutava, seguivo la squadra della mia città che recentemente ha affrontato anche il Real Madrid, e parallelamente l’Athletic».

La chiusura su Genova, la città che lo sta rapendo: «A Genova mi piace molto camminare sul lungomare, perdermi nei vicoli, camminare senza avere un obiettivo. A volte vedi un macellaio, guardi sopra e ci sono gli affreschi. Scoprire quello mi piace molto».