Bjorn, il segreto del Bodo: «Pilotavo caccia, ora alleno la testa»

by Francesco Pietrella

Il bello è che a lui il calcio non piaceva. «Lo trovavo noioso, cambiavo canale». In fondo ci sta. Guidi un caccia da combattimento a 50 mila piedi, guardi il mondo dall’alto e osservi il sole di mezzanotte da sopra le nuvole. A che serve il pallone? Bjorn Mannsverk l’ha capito solo dopo. Fino al 2017 era uno dei piloti di punta delle forze aeree norvegesi, oggi è l’uomo nell’ombra che ha cambiato la storia del Bodo/Glimt. In due parole: mental coach. Dietro il titolo vinto l’anno scorso ci sono la sua mano e i suoi ‘training’, come alle origini del 6-1 inflitto alla Roma nella gara d’andata e il bel pari dell’Olimpico. «Un’impresa unica», dice a Cronache. «Dopo partite simili cosa posso dire ai miei ragazzi?».

Mentalità vincente

Bjorn risponde da Bodo con un inglese perfetto, fluido, imparato in tanti anni di accademia con avieri inglesi, francesi, italiani. Pilotare un F-15 era il suo sogno e l’ha realizzato. «Quando ho volato per la prima volta non volevo crederci, sembrava Top Gun». Mannsverk come Maverick: «È come ‘dominare’ il mondo, una sensazione incredibile». Bjorn ha svolto missioni in Libia, Eritrea e Afghanistan. Ha superato una selezione dove gran parte della gente viene scartata dopo poche settimane. «È un addestramento difficile a livello mentale, perché il senso di responsabilità è enorme. Alleni la testa, ti focalizzi sui dettagli, e questa cultura l’ho introdotta nella mia seconda vita». I risultati si vedono: Bodo campione di Norvegia nel 2020 per la prima volta, ha fatto paura anche al Milan in Europa. La chiamavano «squadra ascensore» perché a ogni promozione seguiva una retrocessione, ora è la mina vagante della Conference. Otto punti nel girone, 8 gol alla Roma, prima in campionato. Gran parte del merito va al lavoro “oscuro” di Bjorn, deus ex machina nordico.

Come lavora

Il modus operandi è speciale: «Concentrarsi sui risultati genera stress, farlo sulle prestazioni no, o per lo meno non in modo ossessivo. È più creativo. Ho scoperto i benefici dell’allenamento mentale. Ogni settimana faccio sessioni individuali di mezz’ora con tutti i giocatori. Quando ero giovane pensavo al risultato, ora focalizzo tutto sulle performance». La parola chiave è leadership. «Ogni cosa deve essere volontaria, non forzo nessuno, e poi non mi comporto mai come se fossi un’emanazione della società. Non parlo mai di aspetti di campo o di tattica. Ai giocatori do i ‘compiti a casa’, gli dico di riflettere sulle loro emozioni e sui loro limiti, ad aiutare se stessi e la squadra. A Bodo non esiste l’io, esiste solo il noi. Solo così vinciamo».

Special One

Se non fosse stato per lui alcuni giocatori avrebbero smesso. Uno di questi è Ulrik Saltnes, centrocampista, a Bodo da dieci anni. «È stato uno dei primi con cui ho parlato. Voleva lasciar perdere, tant’è che dopo aver chiacchierato per la prima volta non mi ha richiamato. L’ho convinto a ritrovare l’amore per il calcio grazie a un bel lavoro sulla testa, e infatti è stato uno degli uomini chiave per la vittoria del titolo». Dodici gol in 30 partite l’anno scorso. Ora il Bodo/Glimt si porterà dietro la fama di chi ha segnato 6 gol allo Special One per la prima volta in carriera. «Mi sarebbe piaciuto conoscerlo. È uno che ti cattura». Bjorn ha preso appunti per le sue sessioni, e col tempo ha imparato a farsi piacere anche il mondo del pallone: «Quando fai parte di qualcosa è impossibile non restare coinvolto».  Chissà se è meglio del suo aereo.