Carlos Henrique Raposo, il più grande truffatore della storia del calcio

by Redazione Cronache

di Giulio Converti

Immaginatevi di essere sul campo, sudati e senza più un briciolo di forza, mentre l’arbitro suona il triplice fischio che consegna alla vostra squadra la vittoria del torneo. Non importa quale torneo, che si tratti della Champions League o di una competizione locale, non è quello il punto. In quell’istante si sintetizza il bello del calcio. Tutti gli sforzi e i sacrifici degli ultimi mesi hanno portato al conseguimento dell’obiettivo, solo tu e i tuoi compagni sapete quanto avete faticato per questo. Tutto ciò porta a una domanda palesemente retorica: è possibile diventare calciatori senza faticare? Normalmente no. Eppure, con un po’ di fortuna e gli agganci giusti, qualcuno c’è l’ha fatta.
Questa è la storia del più grande truffatore della storia del calcio, e il suo nome è Carlos Henrique Raposo.

La truffa

La nostra storia non comincia nel 1986, ma un aneddoto che risale a quell’anno introduce bene il protagonista di questa assurda avventura. Carlos Henrique Raposo si è appena trasferito dal Flamengo al Gazélec Ajaccio, club dell’omonima città francese. In Corsica hanno organizzato una cerimonia incredibile per accogliere quello che sembrava essere un promettente attaccante brasiliano.

«Mi catapultarono in uno stadio pieno di tifosi, come se si dovesse disputare una partita. Pensai che avrei dovuto solo fare una corsetta e salutarli, ma in campo c’erano dei palloni ed ho capito che avrei dovuto palleggiare. Sono diventato nervoso, temevo che dal mio primo allenamento avrebbero capito che non sapevo giocare. Ho iniziato a raccogliere tutti i palloni e a lanciarli ai tifosi. Nel frattempo salutavo e mandavo baci. La folla era impazzita. Alla fine sul campo non c’erano più palloni». (fonte Tuttaltrosport.it)

Quattordici anni di carriera, 0 gol e 0 assist su un totale di 34 presenze. Ha ‘giocato’ in 8 squadre, facendosi offrire contratti pluriennali e venendo pagato profumatamente, ma senza mai scendere in campo (o quasi). Come?

L’inizio

«Le squadre che mi hanno ingaggiato hanno festeggiato due volte. Quando sono arrivato e quando me ne sono andato». (fonte Gazzetta dello Sport)

Carlos Henrique Raposo è nato in Brasile, più precisamente a Rio Pardo, il 2 aprile del 1963. Nel mondo del calcio è spesso ricordato come Kaiser, soprannome datogli a causa della sua somiglianza con Franz Beckenbauer. Sogna di diventare un calciatore, ma la fortuna non lo assiste. Non è un giovane particolarmente talentuoso, le sue doti tecniche non lo premiano. L’esperienza ricavata dai pomeriggi a giocare a pallone nelle strade del Brasile gli consentono, a 15 anni, di entrare nelle giovanili del Botafogo. Il ragazzo però non risalta, le sue prestazioni in allenamento non brillano. Viene cacciato e passa al Flamengo perché lo scoprono fingere di chiamare un procuratore con un cellulare giocattolo. Dopo qualche tempo, grazie a un po’ di fortuna, impressiona positivamente un talent scout del Puebla e firma un contratto triennale col club messicano. I primi allenamenti non danno un esito particolarmente positivo. Allenatore e compagni si accorgono che le qualità del ragazzo non corrispondono alle aspettative. Al termine del contratto, il brasiliano viene svincolato senza aver mai esordito. Raposo torna dunque a Rio de Janeiro, ottenendo un nuovo ingaggio con il Botafogo grazie alle vecchie conoscenze all’interno del club.

L’arte oratoria

«Durante il riscaldamento, un gruppo di tifosi m’insultò per i capelli lunghi. Scatenai una rissa e venni espulso ancora prima dell’inizio della partita. Negli spogliatoi arrivò il presidente furioso. Prima che potesse esplodere di rabbia gli dissi che Dio mi aveva dato due padri: il primo l’avevo perso e il secondo era lui. Gli spiegai che avevo reagito così perché i tifosi lo stavano insultando. Il mio contratto scadeva quella settimana. Mi abbracciò e lo prolungò di 6 mesi». (fonte Wikipedia)

Chiunque ha avuto a che fare con Carlos Henrique Raposo lo definisce come una persona tanto loquace quanto persuasiva. I suoi provini non li faceva su un campo da calcio, ma piuttosto… nei locali di Rio de Janeiro. Al tempo non esistevano piattaforme che consentivano di verificare le qualità di un giocatore attraverso i numeri. Dunque il suo piano era semplice: frequentare i locali giusti, incontrare le persone giuste e presentarsi come una nuova promessa. Nella sua lista di amici troviamo Renato Portaluppi, Rocha, Bebeto, Romario, Careca, Andrade, Edmundo e altri. I talenti brasiliani al tempo non erano sottoposti a regole ferree sul codice etico da mantenere e le feste erano frequenti. Raposo si presentava a loro come un uomo affascinante e ben vestito, e attraverso l’arte oratoria li convinceva di essere un professionista già affermato. Passo dopo passo i contatti aumentavano. Grazie a raccomandazioni di giocatori dal tale calibro, il brasiliano si trovò le porte spianate per proseguire nella sua carriera.

La carriera

Terminata la sua seconda esperienza con il Botafogo a causa di un infortunio che lo terrà fuori l’intero anno, incontra un vecchio compagno ai tempi delle giovanili al Flamengo. Gli spiega quanto sia migliorato con le esperienze estere, che tutti in Brasile conoscono le sue potenzialità. Grazie al supporto dei suoi ex compagni e dell’attaccante Bebeto, ottiene un contratto biennale con il Flamengo. La stampa brasiliana parla solo di lui. Per l’ennesima volta gioca pochissimo, soprattutto perché, secondo quanto detto da lui, era egli stesso a non voler giocare. L’assenza della risonanza magnetica non poteva provare i finti infortuni del brasiliano. Quindi, ogni volta che aveva la chance di scendere in campo, un ‘dolore muscolare’ improvviso gli impediva di farlo. Questi aveva addirittura un amico dentista disposto a rilasciare test dagli esiti falsificati  solo per non farlo giocare. Al termine della stagione viene venduto al Gazélec Ajaccio, club francese. In Europa nessuno conosceva la sua storia, era solo una promessa brasiliana dal volto sconosciuto. Ancora una volta solo qualche presenza e nemmeno da titolare. Dalla Francia ritorna in Brasile, dove firma un contratto con la Fluminense. Come? Proponendo al presidente un accordo con delle aziende francesi, a patto che nell’affare rientri un contratto per lui. Ennesima stagione insoddisfacente, ennesimo trasferimento. Passa al Vasco da Gama, dopo aver convinto il presidente ad acquistarlo. Tra Raposo e quest’ultimo si instaura un bel rapporto, tanto che l’episodio della rissa raccontatovi prima risale proprio ai suoi anni al Vasco da Gama. Nel 1990, dopo un anno, viene ceduto a El Paso Patriots, società calcistica statunitense. Nel 1992 darà l’addio al calcio giocato, terminando la ‘carriera’ al Bangu Atlético Clive, squadra brasiliana di Rio de Janeiro.

Oggi

La storia di Carlos Henrique Raposo è diventata leggenda. È apparso in diversi programmi della televisione brasiliana, spiegando come abbia fatto a raggiungere tali risultati senza praticamente mai giocare. Conta anche due trofei in bacheca: un Campionato Carioca (1986-1987) con la Fluminense e un Trofeo Guanabara con il Vasco da Gama (1988). Nel 2018 è stato pubblicato un libro da Marco Patrone intitolato Kaiser, che racconta questa incredibile storia. Nel 2019, invece, è stato realizzato un film su di lui: Kaiser! Il più grande truffatore della storia del calcio.