Carnesecchi a Cronache: «Dalla spiaggia ai tiri di Malinovskyi»

by Giacomo Brunetti

 

«Il bagagliaio è pronto, resta da mettere in moto la macchina». Nella mente di Marco Carnesecchi la strada è sempre più chiara. In estate ha rifiutato diverse offerte dalla Serie A, che certamente gli facevano gola, ma «sono restato alla Cremonese per giocare un campionato diverso, dato che sia in questo club che nel Trapani avevo sempre lottato per non retrocedere». Tempo di conferme: «Volevo confrontarmi con me stesso, chiedendomi: ‘Sono davvero pronto per giocare campionati ad alto livello?’». Ci pensa alla massima serie, ma la sua Cremo vola e lui con lei. Chiedere a Proietti della Ternana, che si è visto deviare la propria conclusione con una parata mozzafiato.

«Quando sarà il momento del grande salto, voglio essere pronto». Il tempo non gli manca. Nato a Rimini nel 2000, con un accento marcatamente romagnolo e un’esperienza internazionale alle spalle non comune per la sua età, Carnesecchi è cresciuto nell’Atalanta, partendo dal Cesena. «La Nazionale Under-17 era in ritiro a Cervia. Uno dei portieri si fa male e la Federazione, invece di chiamare un ragazzo da lontano, pensa di convocare uno dei portieri del Cesena, la squadra professionistica più vicina. E niente: in quei due giorni sembrava mi fossero spuntate le ali. Paravo di tutto. Da quel momento, mi hanno sempre convocato», ci racconta in esclusiva Marco, che ha vestito quasi per sbaglio l’azzurro e non lo ha più mollato.

Dipinto d’azzurro

Ghidotti, Plizzari, Cerofolini, Russo, Turati: sono tanti i compagni di reparto che lo hanno affiancato negli anni in Nazionale, e con tutti è nato un gran rapporto. A fine gennaio 2022 è arrivata la chiamata della Nazionale del ct Mancini, che aveva assaporato con uno stage nel 2019: «Mi sentivo come una mosca nello spogliatoio, volevo vedere tutto quello che succedeva. Ero super curioso. Uno spettacolo. Quando vivi certi ambienti, impari anche solo respirando l’aria di chi li compone. Sono stati 3 giorni di ansia pura: se cenavamo alle 20, alle 19 ero già a fissare l’orologio per paura di fare tardi». A Coverciano insieme a Meret e Sirigu, dopo il forfait di Cragno. A tavola, però, «stavo con un gruppetto di quelli che conoscevo, come Jack Raspadori e Fagioli».

Un altro pianeta, un’altra dimensione. «L’appuntamento era fissato mezz’ora prima di ogni allenamento, così pensavo di arrivare ancora prima per allenarmi un po’, fare bella figura e dimostrare di essere un serio. Il primo giorno mi sono presentato 50 minuti prima: entro in palestra ed… erano già tutti lì! In quel momento ho capito il livello di professionalità e cosa significhi essere un campione», insegnamento che ha tratto anche osservando i difensori: «Sono i primi con cui mi piace confrontarmi. Vedere da vicino Bonucci e Chiellini è stato unico. Lo vedi che quei due sono fatti per giocare insieme: hanno un’alchimia perfetta, pure fuori dal campo». Marco camminava nei corridoi di Coverciano ed era circondato con le foto della vittoria dell’Europeo, «poi mi guardavo intorno e mi chiedevo se avessi sbagliato posto, erano lì con me!».

Dalla scuola ai tiri di Malinovskyi

La Serie A, Carnesecchi l’ha assaporata in ritiro e in gruppo con l’Atalanta: «Vivi un club che gioca per le prime 4 posizioni, vedi il top della Serie A e per noi giovani sarebbe meglio partire da una realtà più piccola, dove impari a stare in una squadra di tale caratura, fai presenze ed esperienza. Solo dopo sei pronto per approdare in un calcio più moderno ed elevato, per andare in una grande squadra mi manca un gradino». Si augura di misurarsi al più presto con la categoria: «Sono curioso di vedere la differenza, già adesso in B quando ho giocato contro Ramírez del Monza e Vázquez del Parma mi sono accorto che fanno un altro sport. Mettono la palla dove vogliono, quando vogliono, e hanno un modo di giocare totalmente diverso dagli altri. Voglio capire cosa significhi averne 20 di quel livello in rosa».

All’Atalanta, la prima volta con i grandi, «mi aspettavo di essere trattato molto più da ragazzino. Invece quando arrivi in una Prima Squadra ti trattano come giocatore adulto, già mentalizzato, si aspettano molto da te perché pensano che tu sia già pronto se sei lì. Se ti fa trovare pronto, ti vogliono bene tutti. Se sbagli comportamenti, ti prendono con un piglio diverso». Ogni momento è buono per imparare. Soprattutto nella gestione della carriera e dell’atleta. «Umanamente impari continuamente, vedi come si comportano persone famose che vivono in un altro modo, con pressioni diverse. Papu a Bergamo lo conoscono tutti, e se vai in giro con lui vedi come si comporta: è educato con tutti, disponibile, non si rapporta con i tifosi in modo differente. Lui e Iličić mi hanno colpito a livello tecnico e di manovra, che fenomeni». E poi attenzione ai tiri di Malinovskyi: «Che bombe tira. Con lui se non metti bene le mani, te le spacchi».

Sapore internazionale

Un occhio di riguardo per Kulusevski, con cui è cresciuto nelle giovanili nerazzurre. Carnesecchi ha tanta esperienza internazionale con le selezioni azzurre, ma uno come Dejan lo trovi poche volte: «Ci giocavo insieme, sapevo fosse forte. Quando abbiamo affrontato la Svezia, però, ci ha fatto impazzire. Non c’entrava niente con gli altri. Sapevo che sarebbe arrivato al top». Nota di merito anche per altri due calciatori: quando arrivi in U-21, intravedi e affronti i potenziali campioni: «Abbiamo giocato contro il Portogallo e devo ammettere che Dalot andava al doppio degli altri. E poi beh, è entrato Leão… sembrava fosse in folle. Era il più forte di tutti, rideva e non era per niente stanco. Sembrava al parco. Noi invece per contenerlo avevamo il cuore in gola».

Le Nazionali le ha fatte tutte, dall’U-17 all’U-21. Volevamo capire con Marco quali sono le differenze e come si sviluppa il bagaglio personale confrontandosi con realtà così diverse fin dall’adolescenza. Cosa apprendere, di cosa far tesoro, come si crescere a livello umano. «Secondo me le selezioni si dividono in 3 mondi diversi. Il primo va dall’U-17 all’U-20, dove devi prendere le convocazioni come un palcoscenico diverso dagli Allievi o dalla Primavera in cui giochi, un modo per assaporare cose differenti, dove affronti i calciatori stranieri in contesti diversi da quello italiano, dove hai i riflettori accesi e un buon numero di spettatori. Successivamente vai in U-21 e cambia tutto: ci sono compagni e avversari che giocano tra i professionisti da 2 o 3 anni, com’è Tonali con noi. Il calcio è più fisico, più veloce, più moderno. Devi abituarti a un susseguirsi di eventi, a starci dietro. E poi vai in Nazionale maggiore dove semplicemente ti chiedi: ‘Ok, questo che sport è?’».

Assaporare cose diverse. Una frase che racchiude le differenti essenze del calcio a varie latitudini. «Quando giochi contro le squadre dell’est, sai che la partita sarà fisica, fatta di scontri e seconde palle. Poi vai in Spagna o in Portogallo: ti lasciano giocare, pensano a loro stessi, si divertono con la loro filosofia. I francesi, invece, giocano simile a noi, di ripartenza ma hanno più fisico, non ti lasciano giocare, sono anche più veloci. Il nostro calcio, infine, si adatta a tutti gli altri. E riesce a batterli tutti, se vuole».

Dalla spiaggia al sogno Serie A

Non solo il calcio. Carnesecchi ama il pallone in generale. «Appena finisce la stagione torno a Rimini, a casa mia, e faccio tutti i tornei possibili, di tutti gli sport possibili: dal teqball al calcio da tavolo, dal footvolley al beach tennis. Vado allo stabilimento balneare insieme al mio gruppo di amici, facciamo le squadre e giochiamo fino a sera. A me non piace fare il fighetto con gli occhiali, vado in spiaggia solo con il costume, pranzo, gioco fino a sera e vado a letto alle 23». Un riminese doc. E fin da piccolo lo riconoscono: il classico ragazzo che sogna di diventare calciatore, che gioca nell’Atalanta in Nazionale. «Mi chiedono da sempre le foto, ma io sono con la testa sulle spalle. Sono sempre accolto in maniera bellissima. Il problema di tanti ragazzi, con queste attenzioni, è che si lasciano andare e perdono di vista l’obiettivo iniziale», ci racconta.

Il suo è un ruolo delicato. Ci sono infiniti aspetti da curare. Innanzitutto, ha un segreto per i guanti: «Mi faccio la doccia insieme a loro. Senza insaponarli, li strofino sulla mia pelle. Fa attrito e vengono come nuovi. Sostanzialmente sono io il sapone. Poi, chiaramente, mi lavo anche io! I primi 5 minuti li passo sotto l’acqua calda, e poi li asciugo al fresco per non far seccare il lattice». Lo strumento più importante per un portiere deve essere sempre al top: «I guanti devi trattarli come se fossero 1000 euro in contanti e li hai in mano. Quando vai a dormire, devi avere il pallino di dove hai lasciato i guanti». Ne usa circa 20 paia a stagione, su 50 partite, adesso che ha lo sponsor. Prima ne utilizzava 2 all’anno, un paio per le partite e l’altro per gli allenamenti. «Il lattice deve essere sempre perfetto a questi livelli». Attenzione, però, anche alle scarpe: «Cari portieri, che non vi passi mai per la testa di giocare sull’erba senza i tacchetti di ferro». Un perfezionista, aspettando la Serie A. Dove spera di incontrare Chiellini: «Quando l’ho visto da vicino ho capito che ha davvero qualcosa di diverso dagli altri».