Giacomo Brunetti, inviato a Como

Intervista a Osian Roberts, direttore dello sviluppo del Como

C’è un altro aspetto del Como che va preso in considerazione oltre al calciomercato che ne ha contraddistinto la storia e la mutazione recenti. Analizzando a fondo proprio quest’ultimo, si possono notare le decine di acquisti anche per il settore giovanile, soprattutto per potenziare la Primavera. Una mossa che ci ha incuriosito, e che ha lasciato spazio alla domanda: se è vero che per costruire un club di successo non basta comprare i migliori, ma anche costruire una struttura interna solida e soprattutto avere un settore giovanile florido, il Como a che punto è? Ed è per questo che all’interno dello stadio Sinigaglia, sempre più modernizzato rispetto alle stagioni precedenti, abbiamo incontrato Osian Roberts, che ricopre il ruolo di Head of Development della società dopo aver lavorato con successo come direttore tecnico per il Galles e il Marocco.

 

Siamo partiti da una metafora per destrutturare il Como: «Solitamente si dice di costruire dalle fondamenta per poi salire pian piano fino al tetto. Noi abbiamo fatto il contrario: prima abbiamo costruito il tetto, un gran bel tetto, la nostra prima squadra, e poi siamo passati alle colonne, i muri e le fondamenta». Tradotto: «Vogliamo che il Como sia sostenibile, con una struttura interna solida e con delle giovanili che possano fornire calciatori di prospettiva e qualità per il professionismo». E ancora più nel dettaglio: «Vogliamo una società che ci assicuri che possiamo rimanere stabilmente in Serie A nel mondo più competitivo possibile. La prima squadra è chiaramente la nostra priorità, la proprietà è ambiziosa e speriamo di competere presto per la qualificazione in Europa».

 

 

Dopo questa premessa, siamo andati nel dettaglio. «Il mio ruolo guarda soprattutto al resto: dopo la promozione in Serie A, sono diventato l’Head of Development, costruendo un club alle spalle della prima squadra», ci spiega Roberts, che durante i primi mesi in panchina aveva formalmente sostituito Fàbregas mentre quest’ultimo stava ottenendo l’abilitazione. «Abbiamo sempre visto il nostro progetto come un’organizzazione che deve crescere velocemente, sempre restando sostenibile, creando le basi per i prossimi 10/15 anni. Sviluppiamo tutte le nostre aree settimanalmente, sia in termini di recruitment che di sviluppo dei vari progetti», racconta.

 

Quali sono questi progetti? «Alcuni di questi sono legati al campo, altri no. Si tratta proprio di costruire un club. A partire dal marketing fino all’area social media, passando per i progetti di community: sono tutti gruppi di lavoro che fanno respirare il Como. È molto importante per noi che la squadra sia in sinergia con la città, che le persone di Como e dintorni siano orgogliosi di questa società e di come cerca sempre di guardare avanti», un lavoro che arriva a tutte le branche. Puntando su un concetto fondamentale, quello dell’italian core: «Il pericolo di quando prendi tante persone da fuori, è che sono qui da 5 minuti. Abbiamo persone che sono qui da 30 o 40 anni e sono veramente importanti per lasciare un’eredità e, soprattutto, per aiutarci a catturare con la loro esperienza la vera essenza di questa squadra, le sue dinamiche, il contesto. Abbiamo subito capito che il background di una società non può essere cancellato, così come la sua storia, le sofferenze e le gioie. Dobbiamo rispettare cosa c’è stato prima e per farlo serve coerenza anche nelle persone. È un progetto di tutti».

 

 

Roberts ci spiega che «le persone che arrivano da fuori devono far crescere la nostra organizzazione, così come le persone che già sono presenti in società. Siamo ambiziosi e vogliamo arrivare sempre più in alto in Serie A. E vogliamo che le persone del posto siano parte integrante di questo viaggio. Il matrimonio tra l’esperienza italiana, di coloro che hanno visto tutto di questo club, e di chi è arrivato da fuori “soltanto ieri”, che lavora duro per far crescere il club, è alla base del nostro progetto. Vogliamo fabbricare un vero e proprio modello, che allinei idee differenti e nuove idee in ogni aspetto». Per farlo, «dobbiamo lavorare duramente. Stiamo crescendo velocemente e non possiamo permetterci di avere reparti sconnessi. Lavoriamo in questa direzione. Quando sono arrivato nel gennaio 2024, abbiamo comprato 12 giocatori per puntare alla promozione in Serie A. Sono tantissimi, c’è stato anche un grande cambiamento nello spogliatoio e nel modo di giocare. Abbiamo lavorato duramente per difendere e proteggere le dinamiche interne, il cuore del club, affinché non si snaturassero. Anche nella sessione di mercato successiva è accaduta la stessa cosa, con dinamiche diverse all’interno del medesimo gruppo squadra. E anche qui – prosegue – abbiamo dovuto fare la stessa cosa, cercando comunque di alzare il livello ed essere ambiziosi in Serie A già al primo anno. Le dinamiche interne al Como cambiano costantemente tra le persone, e questo deve sempre rappresentare una opportunità, senza snaturarci appunto».

 

Dal punto di vista calcistico, «sotto alla prima squadra abbiamo deciso di intraprendere proprio un approccio top-down. Prima abbiamo costruito il tetto, appunto, e poi le fondamenta. Dopo aver indirizzato la prima squadra, ora siamo passati alla Primavera e all’u-17. Dopo sarà il turno dell’u-16, dell’u-15 e del restante settore giovanile. Lavoreremo gradualmente in questo per costruire un’academy di successo, passo dopo passo. Siamo un club che crede negli obiettivi che si pone. Dobbiamo consolidare ogni step, altrimenti il processo di crescita collassa. Ora è il turno di consolidare la Primavera e l’u-17. La stessa cosa per la squadra femminile: ora siamo in Serie B, ma abbiamo grandi programmi». Un Como ambizioso e con le idee chiare.

 

 

Negli ultimi mesi sono stati diversi i talenti che hanno firmato per il Como. Tra gli altri, Cristiano De Paoli dall’Udinese, Jacopo Simonetta dal Cagliari che aveva appena vinto la Coppa Italia Primavera, ma anche André Le Borgne dalla Francia, Manuel Pisano dal Bayern Monaco, Samuele Pisati dal Milan (promessa di 16 anni) e Matteo Papaccioli che gioca sotto età in Primavera. Negli ultimi mesi, nell’ambiente del calcio giovanile italiano, sono stati diversi i ragazzi accostati al Como, così come quelli che hanno firmato: Lorenzo Bonsignori, preso dall’Atalanta, ha esordito in Coppa Italia contro il Sassuolo. Un segnale lanciato: se venite al Como, le possibilità di arrivare in prima squadra sono a portata di mano. Ma lasciamo la parola a Roberts.

 

«Per la Primavera, vogliamo che l’anima sia italiana. Vogliamo prendere e crescere i migliori talenti italiani per lanciarli in prima squadra», ci racconta viste le recenti e chiacchierate dichiarazioni di Fàbregas sul tema. «Al momento abbiamo cercato anche all’estero, perché vogliamo matchare questa identità. Como è una città internazionale che ha sempre avuto una visione di questo tipo: italiana, sì, ma anche mondiale. E la squadra rispecchierà questo in tutto e per tutto: ci sarà sempre un’anima italiana, guardando anche alle eccellenze straniere. Nel settore giovanile, per noi è fondamentale avere una base italiana. Stiamo investendo per attirare i migliori talenti, al momento dobbiamo competere con società più forti e attrattive di noi. Ma in percentuale, vari ragazzi sono già arrivati da noi. Vogliamo farli crescere e vederli in prima squadra, come accaduto nelle scorse settimane per Lorenzo Bonsignori, classe ’07. Noi non possiamo competere attualmente per strutture o prestigio, ma possiamo dimostrarti quanto la strada tra la Primavera e la prima squadra sia corta e vicina. Per farvi capire: durante l’ultima pausa per le Nazionali, la maggior parte della Primavera si è allenata con Fàbregas per tre giorni interi. Nell’ultima stagione, invece, nel momento del bisogno non abbiamo adattato giocatori, ma abbiamo lanciato Fellipe Jack (2006, ndr), ora in prestito in B. Oppure Papaccioli che è andato in panchina in coppa: gioca sottoetà in Primavera. Ma anche Andréa Le Borgne, ora al Mondiale u-20 e che al suo ritorno sarà in prima squadra. Noi vogliamo che percepiscano i loro step», analizza con lucidità Roberts.

 

 

Il settore giovanile però si costruisce. Come detto, sono partiti dal tetto e ora è tempo di costruire muri e colonne, ovvero il vivaio: «Le persone nel settore giovanile stanno già lavorando bene. C’era già un’ottima base, che abbiamo integrato prendendo talenti da altre squadre. Siamo contenti di questo risultato e un passaggio fondamentale sarà arrivare in Primavera 1. Ciò non significa che strapagheremo i talenti italiani nel prossimo futuro: ‘Il Como è ricco, proviamo a prendergli tanti soldi’. No, non pagheremo cifre pazze. Non vogliamo lavorare così. Non è un metodo di successo. Ma è business: se al momento, per fare un esempio semplicistico ma che aiuta a capire il ragionamento, un atleta italiano top ci costa un milione, un francese o uno spagnolo ci costano 100mila euro. Quindi si tratta di decidere». E si sono già mossi: «Nell’ultima sessione di mercato abbiamo convinto diversi ragazzi italiani a firmare con il Como: gli abbiamo mostrato il nostro progetto, il mio background come direttore tecnico e come allenatore in Nazionale per 30 anni, poi tutti i vari allenatori delle nostre under. Gli abbiamo dimostrato che crediamo davvero nello sviluppo dei giovani. E poi sicuramente c’è il fattore Fàbregas, perché Cesc giocava nell’Arsenal già a 16 anni e sicuramente sa cosa vuol dire essere un giovane di talento: giocatori, agenti, famiglie, tutti possono vedere la sua esperienza e la nostra cultura del lavoro. Abbiamo un tecnico che crede molto nei giovani, ed è una fortuna. Crederci è l’unico modo per diventare una società sostenibile negli anni».

 

 

Roberts ha messo al centro la competenza: «Ho allenato gli allenatori per oltre 30 anni. Ho molta conoscenza per quanto riguarda i tecnici. E abbiamo iniziato anche da qui: come ho fatto con il Marocco, quando ero il responsabile di tutte le Nazionali, ho importato i migliori allenatori che seguivano la nostra filosofia per raggiungere il livello successivo. Gli allenatori marocchini all’epoca non erano pronti e dovevano essere formati: arrivarono stranieri che per qualche anno li hanno affiancati, portando nuovi modelli e facendoli migliorare. Questo è ciò che stiamo facendo: prepariamo il Como al futuro».

 

Ci spiega che hanno «l’opportunità di avere risorse che possono supportarci e farci evolvere. Abbiamo preso anche qui l’anima italiana, come la maggior parte degli allenatori, integrando gli staff tecnici con figure da fuori. Amo il calcio italiano, negli anni ’90 venivo spesso a vedere le partite, sono stato spesso a Coverciano e nel corso degli anni, mi sono sempre confrontato con i vostri allenatori: da dt del Galles mi trovavo spesso con Tardelli, che era nello staff irlandese, a vedere sfide di calcio inglese per monitorare i ragazzi da convocare». Il melting pot di idee è alla base del successo nella visione del Como: «Spero che avremo sempre più allenatori italiani di livello. E un elemento cruciale per noi è che le squadre giovanili giochino con lo stesso stile della prima squadra: stiamo creando il nostro DNA, educando gli allenatori dentro al club su come allenare, lavorare, sulle aspettative e su come gestire le situazioni. Avere lo stesso stile di gioco è… tutto. Ti assicuri che se metti un Primavera tra i grandi, questo non dovrà adattarsi anche allo stile di gioco, stessa cosa negli allenamenti. Devo matchare perfettamente quando si sono in campo e avere confidenza con ciò che stanno facendo, senza sentirsi troppo stravolti nelle richieste. Passo dopo passo, implementeremo questa filosofia anche nelle under e nell’academy». Certo, «non vogliamo calciatori robot. Vogliamo dei calciatori che sappiano essere delle risorse come singoli all’interno di un gruppo».

 

 

Tra le colonne e i muri del “palazzo Como”, è fondamentale inserire anche il reparto scouting, «lo stiamo costruendo per le giovanili. Abbiamo preso un mese fa un nuovo responsabile per lo scout, Antonio D’Ottavio, arrivato dal Milan. Stiamo identificando quali sono i profili che ci interessano. Nella scelta dei giovani, lo stile di gioco della prima squadra ha un impatto su tutto ciò che facciamo: dagli allenamenti all’educazione, al reclutamento… su tutto. È cruciale». Roberts ci illustra che «non stiamo reclutando solo i migliori giovani talenti: Como è una città che vedo come 50% autenticamente italiana e 50% internazionale. Per me, il club deve rappresentare la comunità. Quindi abbiamo bisogno di un nucleo di giocatori e staff autenticamente italiani. Ma in questa città c’è anche un’anima internazionale». Proprio per questo motivo, «nel settore giovanile stiamo reclutando a livello internazionale. Per esempio, Le Borgne viene dalla Francia e gioca nella nazionale adesso. Durante questa pausa abbiamo avuto nove giocatori del vivaio convocati con le nazionali. L’anno scorso, credo che ne avessimo uno, forse due. Vogliamo un mix tra i migliori talenti ungheresi, francesi, ecc., e un solido nucleo italiano. Penso che questa sia la strada giusta, perché riflette la realtà di questa città».

 

Quante persone ci lavorano? «Dividerei la struttura in due. Una parte di prima squadra, dove l’utilizzo dei dati è maggiore, e quella per le giovanili, dove non esistono ancora dati ottimizzati che possono servirci fino in fondo come campione affidabile». Sostanzialmente, «nella prima squadra facciamo scouting e ci basiamo sui dai dati. Questo è probabilmente il modo più moderno al giorno d’oggi: tutto parte dall’incrocio di queste due dinamiche. Se, ad esempio, stiamo cercando un’ala, che profilo stiamo cercando? Quali sono gli attributi principali? Vogliamo che sia un “killer” nei duelli 1 contro 1? Che abbia velocità per attaccare la profondità? Preferiamo un’ala destra mancino piuttosto che destro, per farlo rientrare e giocare nel nostro modo? Vogliamo che abbia una forte etica di squadra, che aiuti in fase difensiva, bravo nelle transizioni… Diciamo che ci sono quattro, cinque, sei caratteristiche chiave che cerchiamo. I dati filtrano tutto questo insieme al parare degli scout ed è importante che le due cose matchino. Da centinaia di giocatori, ne restano venti potenziali. Poi possiamo aggiungere criteri di età e livello: ad esempio, per un giocatore chiave cerchiamo qualcuno che giochi già in uno dei top-5 campionati. Poi, dopo aver filtrato i nomi, un gruppo di noi analizza i video. Qualcuno potrebbe anche andare a vederlo dal vivo prima della decisione finale. Naturalmente Cesc ha un ruolo chiave in questo». Ma per la Primavera e i settori giovanili è diverso «perché ci sono pochissimi dati disponibili. Quindi si tratta più di uno scouting tradizionale. Certo, qualche dato c’è, ma non è affidabile o paragonabile a quello della prima squadra. È difficile confrontare. Perciò, per la prima squadra c’è una struttura guidata dai dati, mentre per l’accademia si fa soprattutto scouting classico». Senza sottovalutare un altro espediente fondamentale: le strutture. Il centro sportivo di Mozzate, per la prima squadra, è attualmente in rifacimento.

 

 

Quando Roberts è arrivato, «la situazione era scioccante. Dopo il primo allenamento a Mozzate, ho chiesto: ‘Andiamo giù a mangiare qualcosa?’. E mi hanno risposto: ‘Non c’è un ristorante qui’. Il team manager andava a prendere panini fuori e li portava dentro. I giocatori mangiavano a casa. Non ci potevo credere. Nel giro di due mesi, avevamo un ristorante. I giocatori dovevano fare colazione e pranzo lì. Poi abbiamo installato le luci al campo, costruito la palestra, e così via».

 

Il Como è una società che si parla, piena di commistioni di idee e visioni. E di tanti attori tirati in causa: «Quando sono arrivato, è stato Thierry Henry a portarmi qui. Non conoscevo Cesc, ma lui e Thierry erano rappresentati dalla stessa agenzia di Darren Dean. Ci siamo incontrati, abbiamo parlato molto per assicurarci di avere la stessa visione e poter lavorare insieme per portare il club nella stessa direzione. Thierry mi ha detto: ‘Como non è ancora un top club, ma è una storia straordinaria, un viaggio meraviglioso. Se vieni qui, vivrai alcuni capitoli di questa storia’. E questo è ciò che stiamo facendo: contribuire a scrivere i prossimi capitoli. Abbiamo ottenuto una promozione senza strutture, senza niente. Ora vogliamo sviluppare giocatori per la prima squadra, anche senza avere il miglior centro sportivo del mondo. Fa parte del viaggio del club».

 

Roberts si sente «fortunato». Ha lavorato nel calcio per tutta la vita, «ma qui lavoro con persone buone. Proprietari seri, un presidente eccezionale, e ogni giorno persone valide. Questo rende tutto più piacevole. Nel calcio non succede spesso. Tutti pensano che sia il lavoro perfetto, e in molti sensi è un privilegio, ma situazioni così positive sono rare. Quando succedono, le apprezzi davvero».