a cura di Matteo Lignelli

«Eravamo ragazzi nei bar di provincia, siamo arrivati in Serie A».

Fabrizio Corsi, presidente dell’Empoli, ci racconta come Luciano Spalletti è diventato allenatore.

Tra le foto che Luciano Spalletti custodisce con cura nella sua casa di Montaione ce n’è una che racconta una storia bellissima. La foto qua sopra. Guardandola da destra c’è un giovane Fabrizio Corsi, attuale presidente dell’Empoli, un altrettanto giovane Luciano Spalletti e un signore, un grande tifoso degli azzurri toscani: Gianfranco Santini detto ‘Il Raro’. Perché questa foto è così importante? «È stata una delle giornate più belle della mia vita, e penso anche di quella di Luciano», racconta Fabrizio Corsi a Cronache. «Il giorno prima, il 22 giugno 1996, avevamo vinto lo spareggio di Modena contro il Como ed eravamo stati promossi in Serie B. Era domenica mattina, io e Spalletti siamo partiti e siamo andati a trovare questo nostro caro amico, e un grande tifoso dell’Empoli, che era non vedente. Mi ricordo quella passeggiata in macchina con Luciano come se fosse ieri, eravamo come in paradiso. Avevamo appena conquistato la promozione, eravamo giovani, stavamo andando a trovare un amico… abbiamo parlato di qualsiasi cosa. Da quella promozione, con 6000 tifosi empolesi al seguito, una cosa impensabile, è partito tutto e l’anno dopo siamo arrivati in Serie A». ‘Il Raro’ è scomparso nel 2015: «Luciano era da poco tornato dall’esperienza in Russia, gli è stato molto vicino».

 

Fabrizio Corsi compirà 63 anni ad agosto, Luciano Spalletti è di qualche mese più ‘grande’ e ne ha festeggiati 64 a inizio marzo. Le vite si sono incrociate molto presto: «Dai bar di provincia siamo arrivati in Serie A. Siamo amici da quando avevamo 16 o 18 anni, lui allora giocava nella Volterrana e ci si ritrovava ‘da Emilio’ dopo la discoteca. Negli anni Ottanta io ero un ragazzo ed ero solo un consigliere dell’Empoli, lui giocava ancora e ci scambiavamo le nostre esperienze. Come quando mi disse che lo aveva chiamato Gian Piero Ventura per andare a giocare la C con l’Entella».

 

 

Poco più tardi anche loro carriere hanno preso la stessa piega. Nel luglio del 1991, ancora per poco trentenne, Corsi diventa presidente e Spalletti lo raggiunge all’Empoli. «È stato Silvano Bini (storico dirigente dei toscani, ndr) a volerlo e io ne fui entusiasta perché era un carissimo amico. In quel periodo era uno di famiglia: quando mia mamma è venuta a mancare è venuto a trovarmi e mi ha raccontato cose di lei che nemmeno io sapevo, cose di cui avevano parlato solo loro. E lo stesso valeva per me. Luciano era a conoscenza di cose mie personali che non avevo detto nemmeno a mio fratello».

 

Ecco perché l’attuale presidente dell’Empoli era la persona migliore a cui chiedere com’è diventato allenatore Luciano Spalletti. «La seconda stagione a Empoli non giocava molto per un problema cronico al ginocchio e in un momento di difficoltà gli abbiamo affidato la squadra per gli spareggi per non andare in C2, aiutato da Claudio Selmi che era il preparatore atletico dell’epoca. Preparò la squadra in maniera eccezionale e ci siamo salvati. Lui si aspettava di poter tenere la squadra, ma non aveva il patentino e come società non volevamo rischiare, così gli fu proposto di allenare il settore giovanile, gli Allievi e prendere il patentino. A quel punto, per la stagione 1995/96, gli abbiamo consegnato la squadra. È stata la svolta per lui e per l’Empoli». L’attuale tecnico del Napoli è stato protagonista di una doppia promozione dalla C1 alla Serie A. «Aveva una squadra molto interessante sotto l’aspetto caratteriale, fatta da uomini veri come piacciono a lui. C’erano ragazzi che poi ci hanno accompagnato per tutto il percorso. Daniele Baldini, Giovanni Martusciello, Carmine Esposito, Alessandro Birindelli, ‘Pippo’ Dal Moro».

 

«A livello tattico Spalletti è sempre stato un innovatore, quello che al tempo mi stupiva di lui era la sua curiosità di acquisire sempre nuove conoscenze», aggiunge Corsi quando gli chiediamo quali fossero le caratteristiche del primo Spalletti. «Mi risulta che sia così ancora oggi: tanti allenatori quando arrivano i primi successi si sentono ‘imparati’, lui invece ascolta ancora con interesse se gli racconto qualcosa che facciamo noi all’Empoli e che lui magari non conosce. Comunque, non ha nemmeno mai avuto paura a prendere di petto giocatori e situazioni difficili».

 

 

«Oggi – conclude – è un allenatore completo perché ha messo a disposizione del suo bagaglio tecnico una capacità di gestione unica, acquisita nel tempo. Napoli è un ambiente che va gestito e pochi altri lo sanno fare come lui. Proteggere la squadra dai fattori esterni, controllare la comunicazione, cose che lui adesso padroneggia alla perfezione dopo esser passato anche da momenti difficili in cui è stato lasciato solo. Dal punto di vista tecnico il Napoli gioca bene a calcio, c’è poco da dire, è una delle migliori squadre a livello europeo e questo grazie ai concetti impiantati dall’allenatore e da tutto lo staff. Sono contento anche per il presidente De Laurentiis per questo bel momento che stanno vivendo».