a cura di Cosimo Bartoloni, Giacomo Brunetti, Andrea Consales, Matteo Lignelli e Francesco Pietrella

Cinque storie della Costa Rica.

Sono al sesto Mondiale della loro storia, il terzo consecutivo.

 

Che è successo le ultime due volte?

 

Due c.t., un unico mantra: difesa solida e rapidi contropiedi. Non cambia la sostanza: in campo è 5-4-1. Nel 2014, il c.t. è Jorge Luis Pinto. Esplosivo, di (sopran)nome e di fatto: una volta si beccò 10 turni si qualifica per aggressione al quarto uomo. Con lui, Costa Rica supera il girone di ferro con Inghilterra, Italia e Uruguay, batte la Grecia agli ottavi, esce ai quarti contro l’Olanda e contro van Gaal, che sostituì Stekelemburg con Tim Krul prima dei calci di rigore. Nel 2018, invece, il c.t. è Óscar Ramírez. Bravo e sfortunato, ama mangiare e coltivare i campi, passa le notti a studiare gli avversari in tv. Con lui, Costa Rica perde contro la Serbia (gol di Kolarov), crolla col Brasile di Coutinho (91’) e Neymar (97’) e pareggia 2-2 contro la Svizzera, grazie a un autogol di Sommer. Ultima nel girone, un solo gol segnato e da un difensore, Kendall Waston, convocato per il Qatar.

 

 

Keylor Navas, il gatto paratutto

 

Banalità, Keylor Antonio Navas Gamboa. Al suo terzo Mondiale, il portiere e icona di Costa Rica a 35 anni vuole regalarsi un ultimo ballo. Al PSG c’è la concorrenza di Donnarumma, qui no. Capo della vecchia guardia (107 presenze, meno delle 120 di Campbell, delle 147 di Bryan Ruiz e delle 155 del primatista Celso Borges) e tanta esperienza in Europa. Ci arriva nel 2010 all’Albacete, dal Deportivo Saprissa. Poi Levante, dov’è titolare dopo la partenza di Munúa alla Fiorentina, e Real Madrid da agosto 2014, dopo il Mondiale in Brasile da protagonista. Resta cinque anni, una Liga, 3 Champions e altrettante Supercoppe UEFA, 4 Mondiali per Club. Dall’estate 2019 a Parigi: altri 7 titoli per una bacheca che ora ne conta ventisei. E per la CONCACAF è il portiere del decennio 2011-20. Lo chiamano El Gato per la sua agilità. Dai campi di San Isidro al Parco dei Principi…

 

 

Óscar Duarte, detto Pietra, e politica

 

Óscar Esaú Duarte Gaitán, detto Piedra, nasce il 3 giugno 1989 a Catarina, comune di 7mila anime in Nicaragua, a 40 km dalla capitale Managua. Perché allora gioca per Costa Rica? In Nicaragua lo sport nazionale è il baseball e a Duarte piaceva giocare a calcio. A 5 anni raggiunge sua madre in Costa Rica, di cui ottiene la cittadinanza. Nel 2010 lo convoca il c.t. La Volpe, con cui a dicembre 2010 debutta in amichevole contro Giamaica. Gioca la Copa América 2011 e 2016, tre Coppe Oro, due Mondiali e la Coppa Centroamericana che Costa Rica vince nel 2014 con c.t. Paulo Wanchope contro Guatemala. Per ovvi motivi, Óscar Duarte è il primo calciatore di Nicaragua a giocare un Mondiale. Non da tutti: i rapporti politici tra Costa Rica e Nicaragua non sono ottimi, ma Duarte è un simbolo d’unione. E quando gioca Costa Rica, la sua città – Catarina – tifa Costa Rica per lui.

 

 

Bryan Ruiz, e quel gol all’Italia

 

Pensi alla Costa Rica e viene in mente il Brasile, l’Italia di Prandelli che batte l’Inghilterra 2-1 con gol di Marchisio e Balotelli al primo match, ma poi crolla il 20 giugno 2014 a Recife con Los Ticos. Il gol al 44’ lo segna Bryan Jafet Ruiz González, di testa: «El cabezazo del capitán batió a Buffon». Al terzo match l’Italia crolla con l’Uruguay – altro colpo di testa, stavolta Diego Godín – ed è tutta colpa di Ruiz. Che allora gioca al PSV in prestito dal Fulham e oggi gioca all’Alajuense, il secondo club più titolato (30) di Costa Rica, dietro il Deportivo Saprissa. Ruiz ha 37 anni e chiuderà a fine Mondiale la carriera: inizio a 18 anni all’Alajuense, poi Gent nel 2006, Twente nel 2009, Fulham nel 2011, il citato prestito a Eindhoven, poi Sporting e Santos. È il primo e unico costaricense ad aver giocato Champions, EL e Libertadores. In patria lo chiamavano La Comadreja, “la donnola”.

 

 

Luis Suárez e la sua «ossessione»

 

Dopo aver battuto la Nuova Zelanda al playoff per il Qatar, i costaricensi festeggiano indossando delle magliette con su scritto “Pura vida en Qatar ‘22”. In mezzo alla festa c’è pure Luis Fernando Suárez Guzmán, c.t. da metà 2021, che in 15 mesi di gestione fa debuttare 22 calciatori. In totale, utilizza ben 77 calciatori diversi. Ma Luis Suárez – omonimo dell’attaccante uruguaiano ex Barça e dell’attaccante colombiano dell’Olympique Marsiglia – non è nuovo al Mondiale: «In Qatar sarà il mio terzo, un’ossessione. Sarei morto, non mi fossi qualificato», raccontava a FIFA.com. Perché Luis Suárez, 62enne di Medellín, ex difensore, ha già guidato l’Ecuador nel 2006 alla sua miglior performance di sempre (fuori agli ottavi con l’Inghilterra di Beckham) e Honduras al Mondiale del 2014: ultimo posto nel gruppo di Francia e Svizzera. Un solo gol segnato, da Carlo Costly.