«Io da muratore a bomber. Segno per la mia famiglia»

by Francesco Pietrella
dardan vuthaj

La voce è strana. Dardan Vuthaj si perde qualche lettera: «Ho il labbro spaccato! Colpa di una botta nell’ultima partita». Cicatrici: «Mai un infortunio tutto l’anno, vacanze rovinate». Dardan se la ride. Risponde da Cuneo, casa sua. In sottofondo c’è un filo di vento: «Il riposo del bomber», dice. Del resto ci può stare: quest’anno ha segnato 37 gol in 41 partite, 35 di questi in Serie D. Se il Novara è tornato tra i professionisti il merito è soprattutto suo. Ha punto più di Immobile, Vlahovic, Berardi, Simeone. Quando glielo ricordiamo trattiene il respiro. «Fa effetto, sì, soprattutto per i sacrifici della mia famiglia. Da piccolo non avevo niente, a volte neanche da mangiare. I miei sono scappati dall’Albania a causa della guerra e poi sono venuti in Italia». Infanzia tosta: «Mio padre è stato capocannoniere del Partizan Tirana, ha giocato a calcio per anni. Oggi ne ha 50, ma se gli metti un pallone tra i piedi si gira e segna con la stessa facilità di quando ne aveva venti». 

Infanzia povera, grandi sogni

Esempio. «Sono cresciuto in una famiglia povera, dormivo con il pallone. Mio padre, una volta in Italia, si è reinventato muratore. La guerra ha cambiato tutto e si è dovuto adattare. Ricordo i mesi in cui non c’era lavoro: bisognava stringere la cinghia». Mentre racconta la sua vita il tono di voce cambia. Il labbro rotto non c’entra: «Ho sempre voluto giocare a calcio. Non per diventare famoso, avere tre-quattro macchinoni o belle case, ma per mantenere la mia famiglia. Tuttora parte del mio stipendio è destinato a loro. Quando ero piccolo scendevo in campo e pensavo, ‘farò di tutto per farli stare bene, senza problemi, come hanno fatto loro con me’. Tra l’altro vorrei precisare che sono nato a Milot, in Albania, e non a Patrasso, come c’è scritto da più parti. Dopo la guerra i miei si sono trasferiti in Grecia, poi a tre anni ci siamo spostati in Italia». 

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«Quella tripletta a Bizzarri…»

Il giro d’Italia è finito a Novara. O forse è iniziato, chissà: «Ho 26 anni, sono ancora giovane. Da ragazzino ero fortissimo, ma avevo la testa da un’altra parte. Non ero pronto per fare il calciatore. A distanza di tempo lo ammetto con serenità. Ero istintivo, incosciente, borioso, credevo di essere il migliore e lo davo a vedere. Del resto, in vita mia, avevo affrontato cose che nessun altro aveva vissuto, quindi non volevo farmi mettere i piedi in testa da nessuno. Tuttora quando perdo cambio umore e mi incazzo, ma gestisco meglio le situazioni». A 17 anni è la stellina delle giovanili del Genoa. Gasperini lo vede e se ne innamora: «Un giorno, con la Primavera, segnai tre gol ad Albano Bizzarri, e quando fai tripletta pensi ‘vabbè, mi sono assicurato la convocazione in Serie A’. Poi è successo un casino…». Discussione con Ivan Juric, allenatore della Primavera, proprio nella settimana del tris davanti a Gasp: «Intanto non ci fu nessuna lite. Io segnavo, i ‘grandi’ stravedevano per me, poi lui arriva e mi mette in panchina. Il tutto all’improvviso. Ci rimasi malissimo, davvero. Inoltre, da extracomunitario, non potevo giocare in Serie B o in Serie C, nonostante le tante offerte, così mi ritrovai a Chiavari in Serie D». 

«Sono stato una testa di…»

Buio: «Ho pensato di mollare tutto. Non riuscivo a fare niente, non segnavo mai, era come se in campo non ci fossi. La testa era da un’altra parte. Se ripenso a quei momenti sorrido, perché sono stato una ‘testa di cazzo’. Sì, scrivilo pure». Nel 2018 la svolta. Campodarsego, Serie D, 18 gol: «La luce alla fine del tunnel. Mi guadagno l’Imolese in C, ma resto fermo diversi mesi a causa di un infortunio. Stavolta non mi abbatto e scelgo Rimini, ancora in D». Ventuno gol prima del Novara: «Avevo diverse offerte dall’estero, ma il d.s. Giuseppe Di Bari e il presidente mi hanno convinto ad accettare. Beh, è andata bene». 

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«Io, muratore insieme a papà»

Al Piola lo chiamano «Dardagnan». I tifosi gli vogliono bene. Il padre, finalmente, gli ha detto quella parolina che aspettava da tempo. Un po’ come Olindo Baggio con Roby vent’anni prima: «In vita sua non mi ha mai detto ‘bravo’. Neanche una volta. Dopo la promozione in Serie C, però, si è avvicinato e me l’ha sussurrato. È stato il momento più bello della mia vita. Tre anni fa ho lavorato con lui come muratore. Non ho preteso un soldo. Gli serviva una mano e gliel’ho data. Ha fatto centinaia di sacrifici per farci stare bene, e finalmente, nel mio piccolo, sono riuscito a ripagarlo». Ora testa ai prossimi obiettivi. «Vorrei giocare in Serie A e con la nazionale albanese. Sarebbe il coronamento di un sogno». Quello di papà.