Ho conosciuto e intervistato David De Gea. Un calciatore che, per traiettoria della vita, si è ritrovato a Firenze. Anzi, come mi ha detto lui, in mezzo alle offerte arabe e inglesi (rifiutate per amore dello United) l’ha scelta. Un campione che avrebbe potuto ambire ad altri palcoscenici. Mi è sembrata una scelta di vita, a 33 anni, da parte di un ragazzo che mi ha colpito per la sua calma (anche in campo, il suo amico Mata l’ha definito “quasi incosciente” per la tranquillità che ci mette) e la sua lucidità. Abbiamo parlato in spagnolo e questo l’ha messo a suo agio. Parla da grande giocatore, si diverte a raccontare ma senza mai sbagliare una virgola. E percepisci la sua carriera quando racconta dei big: Ronaldo, Messi, Rooney… ne parla come io posso parlare dei miei amici. Confidenza di 15 anni ad alti livelli e condivisione di certe pressioni. Vi aspettiamo sul nostro YouTube per la chiacchierata, di seguito l’intervista integrale ma testuale.
Juan Mata è il compagno con cui hai condiviso più partite in carriera: ha detto che la tua caratteristica da campione è questo modo di giocare con tranquillità che ti fa quasi sembrare incosciente.
Parlo con Juan quasi tutti i giorni, è un mio carissimo amico. Sento di essere molto tranquillo, ma credo che sia uno stato d’animo che cerco di trasmettere, ad esempio quando guido la difesa. Ma cerco sempre di avere personalità in campo.
Hai giocato in tantissimi spogliatoi insieme a calciatori molto importanti: stai soffrendo questo cambio generazionale?
Quando sono arrivato in Inghilterra ero molto giovane. Non parlavo con nessuno. Ho visto due epoche: il rapporto tra calciatori è l’aspetto che più è cambiato nel calcio. È una cosa… che mi pesa abbastanza. Quando ero un ragazzo, arrivavo nello spogliatoio e innanzitutto salutavo: se qualcuno mi parlava, rispondevo, altrimenti stavo zitto e ascoltavo i più grandi, senza disturbare. Ora è tutto diverso: i ragazzi praticamente non ti salutano neanche. Non c’è più il rispetto di prima, credo che si sia perso e sia un altro mondo, totalmente diverso. Negli ultimi anni, anche in Spagna, mi sono sentito fuori posto. Ne parlo spesso con Mata ed Herrera: siamo di un’altra generazione. Mi pesa molto vedere i giovani ragazzi che non hanno ancora fatto niente nel calcio sentirsi di aver già fatto tutto dopo una partita. Fatico a capire questa mentalità.
Pensi che oggi sia più facile sentirsi giocatore?
Prima era molto più difficile. Anzi, era quasi impossibile trovare continuità a 17 anni. Mi pesa questo cambio generazionale. Quando sono arrivato in Inghilterra ero molto giovane e anche timido: ora ho molta più esperienza e alla Fiorentina sono praticamente tutti più giovani di me. E quindi cerco di parlare con tutti e aiutarli in ciò che posso, voglio essere un esempio dentro e fuori dal campo. Mi piacerebbe essere un modello per chi mi vede come un veterano.
È stato difficile continuare a sentirsi giocatore durante il tuo “anno sabbatico”? Perché durante quel periodo, ho saputo, hai rifiutato offerte dall’Arabia Saudita e anche dall’Inghilterra: in questo caso per amore del Manchester United. Quindi avresti potuto tornare subito in corsa… perché hai scelto di fermarti?
Ho vissuto tra Madrid e Manchester. Quando ho sentito di volermi tornare ad allenare per ritrovare la forma, ho iniziato a informarmi per trovare un allenatore dei portieri che mi aiutasse e mi hanno consigliato Craig Ellison e dal primo allenamento il nostro rapporto ha subito preso forma.
Ci ho parlato, mi ha detto che doveva convincerti quando pioveva…
Sì! C’è stata una connessione bellissima, un fenomeno come persona e come allenatore, gli voglio molto bene. Ne è nata un’amicizia. Mi ha aiutato in quel momento di pausa: mi sono allenato molto e abbiamo condiviso tanto tempo insieme. Tante chiacchierate con un ragazzo eccezionale. Durante quest’anno di pausa, per me particolare visto che giocavo da 15 anni ad alti livelli, mi sono allenato nel centro federale della Nazionale spagnola e su un campo di quinta divisione in Inghilterra. Penso che questo anno di riposo mi abbia fatto benissimo mentalmente e anche fisicamente: ero un po’ saturo. Alla fine, trascorrere 13 anni a Manchester non è facile… ho sentito che era il momento di fermarmi un attimo. È stato un anno bellissimo che ho trascorso con la mia famiglia: li ho visti più di quanto avessi fatto da quando sono diventato professionista. E in più ho conosciuto persone come Craig che mi hanno aiutato nel percorso. Mi sono allenato duramente e fin dall’inizio alla Fiorentina sono stato ricompensato. Sentivo di poter ancora competere a un livello altissimo.
È un’analisi interessante e sicuramente una scelta coraggiosa.
Uno degli anni più belli della mia vita. Ho rifiutato le offerte dall’Inghilterra perché dopo che trascorri così tanti anni in una società come lo United, hai la sensazione di non voler giocare in un’altra società in Inghilterra. Volevo solo il Manchester United e se è vero che ho ricevuto offerte dall’Inghilterra, sapevo che per il mio cuore sarebbe stato impossibile giocare da un’altra parte. Ho trascorso lì tutta la mia vita, è la società che mi ha formato e che mi ha permesso di fare una carriera bellissima. Sentivo che era il momento di riposarmi e tornare con ancora più forza. Le persone mi chiedevano: ‘Ma quando torni?’. Tranquillizzavo tutti: ‘Sto bene, adesso torno’. Era normale che la gente avesse qualche dubbio dopo un anno fermo, ma ero certo che dopo una o due partite sarei tornato come prima.
Lo abbiamo visto subito nella scorsa stagione, in effetti.
Mi sono ambientato velocemente a Firenze. Dal primo momento mi sono sentito come a casa, soprattutto in questo centro sportivo (il Viola Park, ndr) che è incredibile, così come con la gente. È stato tutto facile: ne parlavo l’altro giorno con alcuni compagni di squadra che è molto difficile trovare strutture come questa. Ce ne saranno due, tre o quattro in Europa. È impressionante. C’è tutto, è pazzesco.
Adesso ritrovi anche Edin Džeko, magari parlerete di quella Premier League del 2012, quando il City ve l’ha tolta all’ultimo secondo con una delle rimonte più belle di sempre contro il QPR.
Me l’ha già menzionata il primo giorno di ritiro… e mi ha ricordato che il primo gol che ho subito dopo aver firmato con il Manchester United me lo ha segnato lui in Community Shield, la supercoppa inglese. Gli ho ricordato però che alla fine quella partita e il trofeo li abbiamo vinti noi! Ma quel pomeriggio in cui abbiamo perso la Premier League faccio fatica a scordarlo: ero davvero giovane, ultima partita della stagione, avevamo rimontato 7 punti al City per poi superarli. Siamo arrivati all’ultima giornata che ci avevano recuperati. Noi giocavamo in trasferta contro il Sunderland, loro in casa con il QPR. Ricordo che i nostri tifosi esultare ai gol del QPR mentre noi vincevamo 0-1. Quando la nostra finì, ho pensato: ‘Ok, è fatta, siamo campioni’. Poi hanno segnato il pareggio e sulle tribune sono iniziati i mormorii, e il Kun Agüero all’ultimo istante ha completato la rimonta e hanno vinto 3-2. Fu un momento di shock. Negli spogliatoi la gente era a pezzi, arrabbiata. Perdere un campionato così non lo auguro a nessuno. Ma ci siamo rifatti l’anno dopo: Ferguson prese van Persie, che fece una stagione incredibile, e vincemmo il campionato.
Quel gol doloroso lo segnò Agüero, che è anche uno dei tuoi migliori amici. Come riuscivate a coltivare questa amicizia nonostante la forte rivalità e le pressioni?
L’amicizia è più importante di ogni rivalità. Abbiamo condiviso la stanza all’Atlético e ci siamo trasferiti nello stesso momento in Inghilterra: lui al City, io allo United. A Manchester eravamo vicini di casa, capisco che per le persone fosse strano vederci insieme nonostante giocassimo per due squadre opposte, ma è normale. Siamo molto uniti, abbiamo fatto tantissime cene a Manchester, molte grigliate. Ci piaceva molto giocare alla PlayStation insieme.
Mi hanno detto che ti piace molto giocare.
Sì, molto. Soprattutto a Rainbow Six, ma quando mi trovo con gli amici facciamo qualche partita a FC: premiamo quadrato per avere due squadre casuali e ci affrontiamo, almeno nessuno poteva lamentarsi.
Ti piace talmente tanto che hai anche una squadra di eSports, perché hai scelto di investire in questo settore?
Si chiama Rebels Gaming e mi piace tantissimo. Qualche anno fa mi proposero di investire in un club di eSports, così parlai con le persone a me vicine e dissi: ‘Perché non ne creiamo uno nostro?’. Abbiamo iniziato a strutturarlo pian piano, e ora siamo cresciuti molto: abbiamo raggiunto buoni risultati. Ogni settimana facciamo videochiamate e lavoriamo a pieno ritmo. Mi piace essere protagonista se inizio un percorso. Seguo le partite dei nostri gamers: puntiamo su vari videogiochi, tra cui FC, Street Fighter e Counter Strike.
Un’altra passione che hai è la musica: rock o heavy metal.
Non è la musica di adesso, o meglio, forse non è quella dei giovani. Mi piacciono molto gli Avenged Sevenfold, gli Slipknot, i System of a Down. Quel genere lì. Ci ho provato a metterla negli spogliatoi, ma è complicato, non ho avuto sostegno. Alla fine lì va molto il reggaeton e ci sta, non è il mio genere ma per caricare ci sta.
Senza dimenticare il Giappone.
Quando ho condiviso lo spogliatoio con Shinji Kagawa avevamo una bella amicizia. Sono attratto dagli anime e da quel mondo: sicuramente Naruto e Dragon Ball su tutti, ora sto guardando Solo Leveling. Fin da piccolo sono attratto dal Giappone.
Abbiamo parlato di Manchester, non posso non menzionarti Sir Alex Ferguson. Ti do una statistica: ha saltato due partite nella sua carriera, una per il matrimonio di suo figlio e l’altra per visionarti dal vivo e comprarti. Non poteva sbagliare l’erede di Van der Sar…
Avevo letto questa statistica! È curioso, solo per vedermi giocare. Immagina. Proprio per questo credo che fosse un padre per tutti, sebbene fosse molto esigente. Ma la sua presenza era incredibile, così come lo erano le sue arrabbiature all’intervallo quando la squadra non andava bene. Arrivava e si arrabbiava. Ancora oggi parlo con lui. Credo che, se non è il miglior allenatore della storia, è uno dei migliori senza dubbio.
Hai un aneddoto con lui?
Mi ricordo di un discorso prima di una partita. Eravamo in un momento difficile della stagione, ma nello spogliatoio mi prese come esempio, disse: ‘Guardate David, è arrivato da ragazzo ed è già il numero uno’, davanti a tutti. C’erano Ferdinand, Rooney e tutti i big dello United. Fu una spettacolare iniezione di fiducia.
E invece di quella volta che ti accusarono… di aver rubato in un supermercato?
Che storia! Mi hanno accusato di aver rubato delle ciambelle. Quel giorno Ferguson aveva fissato allenamento. Mentre andavo al centro sportivo, sui giornali apparse questa notizia con la mia foto. E poi anche in televisione. Ero senza parole: mi accusavano di aver rubato… delle ciambelle in un market di Manchester! In Inghilterra è così, sembrava la fine del mondo. Si parlava solo di quello, per una ciambella. Chiaramente non era vero, mi chiesero anche scusa. Ma per farvi capire che padre fosse Sir Alex Ferguson: quel giorno entrò negli spogliatoi in silenzio, serio, e tirò fuori una cassa di ciambelle e la mise sul tavolo. ‘Prendi David’, mi disse. Scoppiammo tutti a ridere. Un gesto semplice che ti fa arrivare alla squadra.
Una figura importante è stata anche Eric Steele, il tuo preparatore dei portieri.
Sì, assolutamente. Il preparatore per un portiere è la figura più importante e anche la più vicina, visto che spesso è stato un portiere e può capirti. Ha lavorato tantissimo con me, soprattutto quando sono arrivato perché ero esile, lo sono anche adesso ma all’epoca di più, quindi lavorammo tantissimo a livello fisico, mi spediva sempre in palestra. Abbiamo avuto alcuni tira e molla, ma i risultati sono arrivati.
Sei arrivato allo United crescendo nell’Atlético, ma per te non è stato facile. Anzi, a un certo punto ti avevano relegato “per punizione” a terzo portiere della squadra riserve.
Avevo 18 anni e c’erano diverse squadre che mi volevano in prestito: Numancia, Las Palmas, se non ricordo male anche il Wigan. Ma io volevo restare all’Atlético e debuttare con quella squadra. Mi dissero: ‘Se non vai in prestito, sarai il terzo portiere della squadra riserve’. Poi l’allenatore della prima squadra mi difese e mi disse: ’Tu sei uno dei nostri’. Partii come terzo portiere, avevo davanti Sergio Asenjo che era una promessa ed era stato acquistato da poco, e Roberto. Asenjo si infortunò con la Spagna u20, anche il secondo si fece male dopo poche partite e quindi, ironia della sorte, trovai davvero spazio pur essendo la terza scelta! Feci bene, poi Asenjo rientrò e lo misero nuovamente titolare. Ma non fece bene e tornai io: da quel momento non sono più uscito. Fu davvero un miracolo, sarei dovuto restare solo per allenarmi in teoria…
A proposito: ho visto una tua foto durante i primi anni di scuola, non giocavi in porta…
Ero il capocannoniere della mia scuola, giocavamo a calcetto perché eravamo piccoli. In quella squadra c’erano anche i miei due migliori amici fino a oggi, Javier e Felix. Mi piaceva giocare in attacco perché a quell’età prendi un sacco di gol e mi pesavano gli sguardi dei genitori in tribuna che davano sempre la colpa al portiere. Ma ero destinato a fare il portiere.
Per tuo padre?
Sì, esatto. Mio padre era portiere e lui voleva che facessi quel ruolo. Al momento di scegliere… non ho avuto grandi opzioni! Mi ha influenzato, certo, ma mi ha dato una grande mano per allenarmi nel cortile di casa. Durante le partite, anche se non c’era nessuno sugli spalti, lo trovavi sempre dietro la mia porta, da solo, che piovesse o ci fosse il sole.
E poi sei arrivato ad altissimi livelli, nonostante un problema alla vista.
A scuola il professore si accorse che avevo problemi nel vedere la lavagna. Mi mancavano diottrie e misi gli occhiali. Poi le lenti a contatto per giocare. Mi davano fastidio perché mi seccavano gli occhi durante le partite e soffrivo parecchio. Qualche anno fa mi sono operato con il laser, una meraviglia. Ma da ragazzo mi dava fastidio, avevo lenti apposite fatte su misura per andare in campo, più morbide, ma che davano comunque fastidio. Mi allenavo però senza lenti… allenavo il riflesso! E poi avevo una scusa se prendevo gol: ‘Sai, non ci vedo!’.
Pensare che saresti potuto diventare il portiere del Real Madrid. Anzi, in realtà lo eri diventato nel 2015, ma saltò tutto per colpa di un ritardo nel deposito del contratto. Avevi fatto anche le visite?
A fine carriera parlerò di cos’è successo quel giorno. Alla fine non è successo e credo che quando accadono certe cose, ci sia un motivo: sono rimasto a Manchester e sono stato felicissimo. È casa mia e penso che sia andata bene così. Ci è andato Courtois, che aveva trovato spazio all’Atlético proprio grazie alla mia partenza. Ha fatto benissimo e sono felice per lui.
Avresti potuto giocare prima con Cristiano Ronaldo, ma lo hai trovato comunque a Manchester.
Mi ha fatto sorridere che qualcuno non abbia capito il commento che gli ho lasciato sotto al post del rinnovo con l’Al-Nassr. Cristiano è una bestia, ma so che vi dico cose che avete già sentito, perché non è normale. Ha 40 anni, continua a segnare e vincere titoli. Una bestia da competizione. Il modo in cui si cura è sensazionale. Ce ne sono uno o due nella storia come lui. Puoi fare bene un anno o due, ma fallo per 20 anni in quel modo.
A Manchester hai condiviso lo spogliatoio con Pogba. Sei contento che sia tornato in pista?
Gli ho scritto: ‘Dai, vieni alla Fiorentina!’. Spero che torni a giocare bene, è fortissimo. Fisicamente tra i migliori che ho visto. Mi è dispiaciuto per ciò che gli è successo, spero che torni a essere il calciatore completo e forte che abbiamo visto tutti, è un bravo ragazzo. Sempre allegro, sempre a ballare.
Ti ho chiesto di Cristiano, devo chiederti di Messi.
Una volta ho dato una spallata fortissima a Messi pensando di farlo volare tre metri più in là. Giocavo nell’Atlético Madrid, ero giovanissimo. Pensai di fargli sentire la mia presenza e mandargli un segnale forte. Bloccai un pallone in area vicino a lui e prima di rinviare, gli andai addosso per tirargli una spallata fortissima. Gli ho dato un colpo fortissimo con corpo, spalla e pallone. Vi giuro: non l’ho mosso di un centimetro. Era di marmo! Vi assicuro che la botta era forte, ma non si mosse. Un altro esempio che lui, come Cristiano, ha sempre curato tutto in carriera: una vita pensando alla performance. Messi è piccoletto, ma ha un fisico incredibile. E te lo costruisci anche con la mentalità. Per questo voglio vedere tra qualche anno in quanti riusciranno ad arrivare ai loro livelli. Ma non per una stagione o due eh… per venti anni!
In Nazionale invece hai avuto Busquets.
Un ragazzo spettacolare con una famiglia splendida. Avete presente quanto è forte in campo? Ecco, traslatelo anche nella vita normale. Ha rivoluzionato il ruolo, il numero 5 dopo di lui non è più stato lo stesso. Una calma e una tranquillità con il pallone… mi ripeteva di dargli la palla anche se lo avessi visto con un avversario sul collo. Impressionante.
Un altro che ha cambiato un ruolo è Neuer.
Ci ho giocato contro, un grande, un esempio di costanza anno dopo anno, anche adesso dopo gli infortuni. Calciatori che sono lì da una vita a combattere ad alti livelli: se non fossero speciali, non sarebbero lì. Lavorano e fanno le cose per bene.
Calciatori incredibili come Rooney?
Un attaccante sovrannaturale. Se ne parla poco. Avrebbe potuto giocare di più, era una bestia. Si allenava come un animale e in partita era uguale. Si arrabbiava e trascinava la squadra. Un vero inglese, autentico.
Il tuo rapporto con Kean, invece, qual è?
Molto buono. Quando sono arrivato, il mio italiano era pessimo e parlavamo in inglese. Ora sono migliorato e comunico con lui più facilmente. Ha fatto una stagione ottima, ma adesso per me deve fare un altro anno buono, e poi un altro ancora e così via. Non basta un anno buono, deve proseguire così e dare continuità a ciò che ha fatto. Ha fatto numeri molto buoni, ma deve continuare così e dimostrare di poterlo fare nel tempo.
A Firenze invece ti trovi benissimo con i tuoi giovani compagni di ruolo. Siete andati anche a cena insieme!
Sono dei ragazzi splendidi. Hanno voglia di imparare, ti osservano, cercano sempre di migliorare. Sono davvero bravi. E quando vedo persone brave che vogliono imparare, mi piace aiutare e fare tutto il possibile affinché migliorino e stiano bene. Prima della partita contro il Lask in Conference League, avevo detto a Martinelli che se avesse fatto un clean sheet, li avrei portati tutti a cena. Tommy ci è riuscito e dopo una settimana siamo usciti tutti insieme e ho offerto io. Loro hanno preso i frutti di mare, ma a me non piacciono molto.
Con mister Pioli invece come ti trovi? Cosa deve fare la Fiorentina adesso per alzare il livello?
Come dice il mister, bisogna lavorare e farlo bene. Ha uno stile di gioco chiaro, dobbiamo seguirlo tutti insieme e migliorare. Ho parlato con lui varie volte e ho percepito la sua energia. Possiamo fare una grande stagione.
Ti piacerebbe tornare in Nazionale? È un sogno che hai ancora?
Non è una cosa che mi toglie il sonno. Ho giocato abbastanza per la Spagna, sono stato parecchi anni in Nazionale e ho ricordi bellissimi. Io faccio del mio meglio, se il ct in qualche momento vorrà chiamarmi, io sono qui. Ma me la vivo tranquillamente, non è qualcosa che mi uccide. Ho vissuto il mio periodo lì, giocando due Mondiali e due Europei. Ho fatto il meglio che potevo. Ora nella mia testa c’è solo la Fiorentina: vogliamo fare un buon anno.
Ti sarebbe piaciuto rimanere a Manchester, invece?
I tifosi mi scrivono ancora. Ci ho trascorso tanti anni, è casa mia: sarei rimasto tutta la vita. Ma il calcio è così: succedono cose che non ti aspetti. Come l’opportunità di venire qui a Firenze.
Hai ricevuto tante offerte ma hai scelto di restare a Firenze quest’anno, rinnovando fino al 2028.
È stata una scelta importante. Sarà uno dei miei ultimi contratti. Lo dicevo da tempo alla mia famiglia: ‘Voglio restare qui’. Mi trovo bene, il club ha fatto uno sforzo per tenermi e lo ringrazio. Mi piace tutto qui: la Fiorentina, la gente, i tifosi. È come una famiglia. E il centro sportivo è fantastico. Sono molto felice.