De Ketelaere… dal tennis al calcio (anche in difesa), «così è nato un talento»

by Francesco Pietrella

Caschetto biondo dagli occhi chiari e i piedi d’oro. Entrambi. Charles De Ketelaere, nato mancino, a 5 anni calciava gli angoli col destro: «La prima volta che gliel’ho visto fare l’ho sgridato. Dalla panchina, a voce alta, gli dissi di non fare il fenomeno». Non è il suo caso, una stellina estrosa in mezzo a case basse, viali alberati e un piccolo castello. Varsenare, in Belgio, è famosa per tre cose: la mini fortezza di Blauwe Toren, la chiesa gotica di San Maurizio e CDK, cresciuto nella squadretta di quartiere dribblando chiunque. Tre lettere che ormai hanno stregato tutti, soprattutto il Milan. 

I primi passi di De Ketelaere

Rik Brusseel se la ride: «Il primo a intuirne il talento sono stato io, e me ne vanto. Scherzi a parte, uno come Charles nasce una volta su un milione. Quand’è arrivato qui era un bambino timido che si nascondeva dietro la madre. Aveva 5 anni, era il 2006, l’ho allenato due stagioni e poi è volato via, a Bruges, perché era destinato a lasciare il segno». Già da giovanissimo: «Ricordo ancora una partita contro il Psv Eindhoven, torneo di inizio estate come tanti in 6 contro 6, in un campo da calcetto. Charles era l’unico a tenere testa agli altri, e aveva sei anni. Perdemmo in malo modo, ma lui segnò un paio di gol». 

«Ho fatto solo il mio dovere»

Se il Bruges sta per incassare un bel po’ di soldi il merito è di Rik: «Lo osservavo da lontano e pensavo ‘quant’è bravo?’. Così chiamai il vecchio responsabile del settore giovanile del Bruges, mio amico, e gli dissi che avevo tra le mani un predestinato. Lui mi disse di portarlo per un provino». Stregati: «Non so cosa fece, ma il responsabile dell’Academy mi chiamò entusiasta. Quando Charles tornò a Varsenare, gli chiesi cosa avesse fatto di speciale. Rispose che aveva fatto solo il suo dovere». E ha continuato a farlo anche in prima squadra. Tre campionati vinti, 18 gol nell’ultimo anno, decine di verticalizzazioni da fantasista puro, una stagione da falso nove col vizio del gol e un annetto da centrale difensivo nelle giovanili. «Aveva 10 anni, non trovava spazio, lui era il più alto e finì in difesa. Poi per fortuna l’hanno spostato». 

Dal tennis al calcio

A quei tempi giocava anche a tennis, tra l’altro. Un prodigio della racchetta. Birger van de Velde, uno dei primi a intuirne le potenzialità nelle giovanili del Bruges, convinse la madre a farlo desistere. «Da adolescente era molto bravo, ma ha fatto la scelta giusta. Ed è stata la sua fortuna». Tant’è che adesso lo chiamavano «il nuovo De Bryune». Rik ci ferma: «Lui è Charles De Ketelaere, stop. Il paragone non esiste. Lo ricorda un po’, quello sì, soprattutto se parliamo di visione di gioco, assist e qualità, ma va fatto crescere con tranquillità». Magari in Italia: «Tifo Roma da quarant’anni – racconta Rik in un italiano stentato, ma semplice -, mi innamorai dei giallorossi durante il Mondiale del 1982 grazie a Bruno Conti. Avrei voluto vedere Charles nella Capitale, ma anche il Milan va bene!». Piedi e capelli, biondissimi, sono gli stessi di 15 anni fa.