Diego Ribas da Cunha: si è ritirata, da campione, una meteora cult della Serie A

by Redazione Cronache

Capelli lunghi, la 10 che fu di Pelé al Santos, la promessa di portare talento a Torino. Diego Ribas da Cunha s’è ritirato a 37 anni e alla Juventus ci si chiede cosa sia andato storto. Il trequartista si era presentato alla Gazzetta dello Sport dicendo di voler emulare Zidane, «un francese coi piedi da brasiliano». Ha ottenuto la cittadinanza italiana, per via di bisnonni emigrati in Brasile a inizio Novecento, e nel 2009 è pure finito tra i 30 candidati al Pallone d’oro: «Una vittoria personale». In carriera, 146 gol e 135 assist in 721 partite giocate e 22 trofei vinti, tra cui due Copa América consecutive, nel 2004 e nel 2007, la prima con Carlos Parreira e Adriano, la seconda con Dunga e Robinho. S’è ritirato ora, dopo aver festeggiato la Coppa del Brasile col suo Flamengo, coppa che Diego ha “sottratto” ai compagni pur di far partecipare alla festa i netturbini del Maracanã.

Chi è Diego Ribas da Cunha?

Diego Ribas da Cunha nasce nel febbraio 1985 a Ribeirão Preto, nello stato di San Paolo, da una famiglia di origine italiana. A 7 anni inizia a giocare a calcio in alcune squadrette locali, Comercial e Paulistinha, fino al 1997 quando entra nel Santos. Sembra non gli piacesse San Paolo e soffrisse la lontananza da casa, ma nel 2002 il tecnico Roth lo chiama in prima squadra. Al Santos, Diego indossa la numero 10 di Pelé e gioca con Alex, Elano e Robinho. Insieme vincono il campionato brasiliano 2002, poi si separano: nel 2004 Alex va al PSV e Diego al Porto, nel 2005 Elano va allo Shakhtar e Robinho al Real Madrid. Ma nell’estate 2004 Mourinho vince la Champions e lascia il Porto per il Chelsea, portandosi dietro Ricardo Carvalho e Paulo Ferreira. Il Barça acquista Deco, di cui Diego è il sostituto. Nel 2004 in panchina al Porto c’è Gigi Delneri, in estate arrivano Quaresma, un giovane Thiago Silva, il greco Seitaridis, Luís Fabiano ed Hélder Postiga. Diego gioca, ma nel 2005 il nuovo tecnico è l’olandese Co Adriaanse, con cui non scoppia la scintilla. Il brasiliano parte per Brema.

Werder, Rosenberg, Zaccheroni

Maggio 2006: il Werder paga Diego sei milioni di euro. Lui sostituisce egregiamente Micoud e i biancoverdi finiscono terzi in Bundesliga ed escono in semifinale di Coppa Uefa con l’Espanyol. Diego dà spettacolo (15 gol e 17 assist), al fianco di Miro Klose (15 gol e 19 assist). L’anno dopo il brasiliano si ripete: 18 gol e 14 assist, senza Klose trasferitosi al Bayern Monaco, ma coi 16 gol segnati sia da Markus Rosenberg che Hugo Almeida. Il tecnico è Thomas Schaaf e quel Werder è un vero spettacolo. Tanto che nel 2009 vince finalmente un titolo, la Coppa di Germania. Diego è protagonista: 21 gol e 11 assist. Il capocannoniere quell’anno è Pizarro (28 gol), l’assistman (23) è un 23enne Mesut Özil. Così il 26 maggio 2009 Diego finisce alla Juventus, pagato 24,5 milioni di euro, dopo due anni di corteggiamento. Ma nella Juventus di Ciro Ferrara e Zaccheroni, Diego brilla a metà: 7 gol e 16 assist, tra cui uno di tacco a Del Piero in una vittoria per 3-2 sul Genoa.

«Se ne vada. Se resta, non gioca»

Quando nell’estate 2010 la Juventus assume Gigi Delneri, il 4-4-2 non si addice a Diego, che così lascia Torino. Il Wolfsburg lo riporta in Germania per 15 milioni, ma il tecnico Felix Magath non apprezza: «Se ne deve andare. Se resta, non gioca». E Diego finisce fuori rosa, a settembre 2011 va all’Atlético Madrid, s’infortuna ma vince l’Europa League (e segna in finale all’Atlhetic Bilbao di Bielsa). Torna a Wolfsburg, a gennaio 2014 torna alla corte di Simeone: vince La Liga, assiste dalla panchina alla finale di Champions persa a Lisbona contro il Real. Gioca due anni in Turchia al Fenerbahçe e nel 2016 – dopo 12 anni – lascia l’Europa. Torna in Sudamerica al Flamengo, con cui vince due campionati, due Supercoppe brasiliane, una Coppa brasiliana e due Libertadores, in 2019 e 2022. In entrambe, curiosamente, il marcatore è Gabriel Barbosa, alias Gabigol, meteora interista. Stessa incompiutezza affibbiata a Diego, a Torino. In Sudamerica, invece, tutt’altra cosa.