ESCLUSIVA – Delio Rossi: «Vi racconto il primo Ilicic. Icardi, Cavani…»

by Redazione Cronache

di Gabriele Codeglia

Più di quarant’anni nel mondo del calcio. Diciamo che è un tempo sufficiente per poter farsi l’occhio e saper riconoscere chi ha la stoffa e chi invece è meglio scartare. Delio Rossi ha impostato la sua carriera di allenatore soprattutto su questo, lanciando tantissimi giovani che poi sono diventati grandi giocatori.

Da De Silvestri, fatto esordire con la Lazio neanche diciottenne, passando per talenti come Cavani, Pastore e Ilicic ai tempi del Palermo, fino ad arrivare a un Mauro Icardi ancora senza tatuaggi. Sotto la sua guida, sono transitati anche alcuni calciatori che hanno poi deciso di imitarlo, sedendosi in panchina una volta chiusa la carriera con gli scarpini. Tra tutti, spiccano Fabio Liverani e Simone Inzaghi ed è proprio da loro che iniziano i ricordi di Rossi ai microfoni di Cronache di Spogliatoio.

Anche se, prima di cominciare, Delio ci tiene a ribadire che «stiamo parlando di ragazzi a cui io voglio bene, perché ho avuto un rapporto professionale, stando quotidianamente a contatto con loro e quindi fa piacere sapere dei loro successi».

Come fece Lei nel 2002-2003, Liverani a Lecce ha trovato il proprio habitat, conquistando la Serie A. Aveva mai pensato di vederlo allenare?

«Aveva grande sensibilità calcistica, anche per il modo di stare in campo, e dal punto di vista tattico è stato uno tra i migliori che abbia mai avuto: era già un allenatore in campo. Tutto ciò gli deriva dall’aver frequentato e condiviso lo spogliatoio con grandi giocatori, dove comunque lui aveva già abbastanza peso e si faceva sentire. Da lì a dire che sarebbe diventato un grande allenatore ce ne passa, perché da giocatore pensi solamente a te stesso, mentre il passaggio sulla panchina comporta un cambiamento talmente netto e significativo che risulta difficile poter capire a priori chi potrà diventare un tecnico valido. Lui ha fatto tanta gavetta e finora ciò che ha ottenuto è solamente merito suo».

Uno che invece la gavetta non l’ha quasi fatta è Simone Inzaghi, che contribuì, come Liverani, alla vittoria della Lazio nella Coppa Italia 2008-2009. Come lo vede?

«Inzaghi era una prima punta e quindi era ancora più egoista (ride, ndr). Anche lui aveva sensibilità calcistica, un po’ come Fabio, e lo sta dimostrando. Solito discorso per lui, alla Lazio si è spogliato con grandi campioni, che è diverso dallo stare in spogliatoio con giocatori normali: i campioni ragionano in maniera diversa, si rapportano in maniera diversa. Conosce benissimo l’ambiente, è un uomo Lazio: sta facendo non bene, benissimo. Il fatto, poi, che il direttore sportivo sia Igli Tare, suo ex compagno di squadra e col quale è sempre stato grande amico, visto che si frequentavano molto fuori dal campo, sicuramente aggiunge quel qualcosa in più al rapporto lavorativo».

Anni bellissimi a Palermo. Tra il 2009 e il 2011 sono passati tanti grandi giocatori, uno su tutti Edinson Cavani. In molti parlano di un suo probabile passaggio all’Atletico nella prossima stagione.

«Sicuramente è stato il giocatore più forte dal punto fisico che abbia mai allenato: è un animale. Per questo, secondo me, non ha problemi in nessun contesto tecnico: può giocare punta esterna, punta centrale, fare la seconda punta. È un volitivo, un testardo, ha grande personalità e lo sta dimostrando perché ovunque è andato ha fatto bene e credo che continuerà a farlo. Se dovesse andare all’Atletico Madrid, prenderebbero senza dubbio un grande calciatore».

Tra il Matador e Pastore, all’epoca, chi pensava avrebbe fatto più strada?

«Erano entrambi due predestinati. Pastore era talento puro. Cavani, come ho già detto, aveva più cattiveria, più volontà, ma sicuramente si vedeva già che avrebbero sfondato».

Un altro giocatore che ora sta vivendo un momento d’oro è Ilicic. Fu lei a portarlo in rosanero quand’era ancora uno sconosciuto. Ci racconti come andò.

«Quell’anno, come il precedente, ci qualificammo per i preliminari di Europa League e incontrammo questa squadra, il Maribor, dove appunto giocavano Ilicic e Bacinovic. Noi avevamo già preso Bacinovic e, mentre guardavamo le partite del Maribor, ci accorgemmo di quest’altro giocatore. All’epoca il direttore sportivo era Walter Sabatini che spedì mio figlio, il quale collaborava con lui nell’area scouting, più che altro per monitorare il percorso di Bacinovic. Quando rientrò, mio figlio disse che oltre a lui c’era anche questo Josip Ilicic, ‘ed è il giocatore più bravo che hanno‘. Sabatini si convinse e lo acquistò prima dell’andata del preliminare, tant’è vero che Ilicic giocò lo stesso senza saperlo».

Che giocatore era Josip Ilicic appena arrivato a Palermo?

«Quando si parla di Ilicic, anche in questo caso, si parla di talento puro. Poi è slavo, giocatore molto pigro (ride, ndr) che, nella sua testa, si doveva allenare poco durante la settimana per rendere bene la domenica. Molto particolare, uno di quelli che se sbagliava la prima palla o al primo fischio si intristiva e non ne beccava più una. Però, ci sta, era un ragazzo molto giovane, appena arrivato in italia. Avevo lui e Pastore, quindi non c’erano molti problemi, anzi, li facevo giocare assieme dietro a una prima punta…»

Tanti non lo sanno, ma nell’estate del 2010 il Palermo acquistò un altro attaccante che sta vivendo una stagione da incorniciare: Joao Pedro.

«Lui arrivò molto giovane. Era un giocatore che aveva bisogno di tempo. Poi, ripeto, avevo lui, Pastore, Ilicic, gli spazi erano chiusi, in più il ragazzo mordeva il freno. Ma senza dubbio si vedeva che aveva qualità».

Era un Palermo molto giovane quindi: necessità o virtù?

«Il Palermo dell’epoca si autogestiva, non poteva certo permettersi di andare sotto. Per forza di cose, ogni anno, dovevamo tirare fuori uno o due giocatori da rivendere, per riuscire a mantenersi. Era una scelta della società, chiaramente condivisa: ho sempre saputo valorizzare i ragazzi, se c’era della qualità, io la facevo emergere».

Risalendo verso Firenze, dove è stato nel 2011-2012, che idea si è fatto di Commisso?

«Non conosco Commisso personalmente, difficile dare un giudizio preciso. Da fuori posso dire che mi sembra una persona vera, anche nelle sue esagerazioni mi sembra uno vero, a differenza di tanti altri falsi preti. Quello che pensa lo dice, è molto presente per la Fiorentina e questo la gente lo apprezza. I tifosi ti permettono anche di sbagliare, di andare sopra le righe, se sei una persona vera e vedono che lo fai senza malizia. Sotto questo punto di vista mi sembra un presidente genuino».

Si aspettava la cessione della società da parte dei Della Valle?

«Il rapporto con la città si era incancrenito. Secondo me loro hanno avuto la sfortuna di partire subito dall’alto, nel senso che i primi anni sono andati costantemente in Champions. Poi oltretutto, non essendo loro di Firenze, non hanno avuto grande sostegno dalla politica visto che comunque avevano grandi progetti in mente. Penso che alla fine la cessione della società era diventata inevitabile, anche se Andrea, a differenza di Diego, era veramente appassionato alla Fiorentina».

Concludiamo con uno degli attaccanti più importanti e discussi dell’ultimo anno, Mauro Icardi. Fu proprio Lei a lanciarlo definitivamente durante il trascorso alla Sampdoria.

«Io arrivai durante il periodo di Natale al posto di Ciro Ferrara. In quel momento c’erano tutti e cinque gli attaccanti infortunati. Vidi Icardi giocare la domenica precedente, faceva la spola tra la Primavera e la Prima Squadra, alla quale era semplicemente aggregato. Capii subito che aveva qualità e lo portai definitivamente con i più grandi. Lui, però, mi disse che aveva deciso, assieme al suo entourage, di giocare il Campionato sudamericano Under-20, dato che era orgoglioso della convocazione dell’Argentina. Sarebbe rientrato a fine febbraio e io sarei rimasto senza punte. Per fortuna lo convinsi: avrebbe avuto la certezza di giocare titolare con la Prima Squadra, viste le assenze, e quindi accettò. Alla fine fece quello che fece e la Sampdoria lo vendette subito all’Inter. Era già un grandissimo calciatore, un attaccante moderno, sapeva rientrare, anche se di fatto viveva esclusivamente per il gol. All’epoca era soprattutto un generoso, davvero un ragazzo eccezionale. Ha acuito le sue capacità realizzative, venendo meno su altre caratteristiche».