ESCLUSIVA – Zampagna a Cronache: «Ho rifiutato PSG e Monaco, il mio sogno era l’Atalanta»

by Redazione Cronache
atalanta

di Giacomo A. Galassi

Può un singolo gesto atletico diventare emblema di una vita intera, un simbolo di come vedere ed affrontare le avversità che ti si prospettano davanti? Sì, se ti chiami Riccardo Zampagna e hai fatto della rovesciata il tuo marchio di fabbrica.

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D’altronde si sa: la rovesciata è da sempre IL gesto atletico e tecnico per eccellenza, in grado di far mettere le mani al volto a chi la vede e far impazzire di gioia chi riesce ad infilare la palla in rete. Un modo di vedere il mondo a testa in giù che per Zampagna è diventato una sorta di questione di principio e di inno all’originalità. Paris Saint-Germain, Monaco, Fulham… Tutte squadre a cui ha detto no, perché se nasci a Terni, cresci tra le acciaierie e sei costretto a 20 anni a lavorare da tappezziere il giorno e la sera andare ad allenarti in prima categoria, l’emozione di vedere uno stadio pieno che canta, tifa ed esulta per te non ha prezzo.

Cronache di Spogliatoio ha contattato l’attaccante che ha fatto sognare i tifosi di Ternana, Messina e Atalanta per farsi raccontare la sua storia, così particolare.

Il Riccardo Zampagna di oggi

Un viaggio che facciamo partire a ritroso, dal Riccardo Zampagna di oggi: «Sono direttore calcio della Scuola Calcio San Giovanni Bosco, qua a Terni. Lavoro con i bambini puntando soprattutto sul comportamento e sulla coordinazione: oggi i giovani hanno troppe difficoltà dal punto di vista motorio, bisogna insistere di più sulla parte aerobica del calcio. Ci stiamo anche riuscendo con passione. Superato il Covid in 12 giorni abbiamo fatto 52 allenamenti a 94 bambini, tutto in analitico, senza contatti. Abbiamo lavorato sulla coordinazione e sulla motoria vedendo un miglioramento notevole. Io sono contento: per me vederli crescere è come fare un gol a San Siro contro il Milan. E siccome contro il Milan non posso fare più gol…».

Il bomber operaio

Prima di arrivare a tutto questo però le fatiche per diventare calciatore sono state tante: «Io la carriera che ho fatto non me l’aspettavo, sono sincero. Anche perché è stata molto particolare: ho finito tardi le giovanili senza fare la scuola calcio, partendo dalla prima categoria e arrivando in Serie A. Penso che il carattere sia stato il mio tratto distintivo. Senza essere così tosto non so se ce l’avrei fatta. È dura venire fuori da una provincia come Terni, ma con la passione, la voglia e lo spirito di sacrificio ce l’ho fatta».

Una carriera scoppiata finalmente quando si deve dividere tra la vita da tappezziere ed il calcio: «Fu un periodo di grandi sacrifici. Mi svegliavo alle sei del mattino, all’una staccavo da lavoro e prendevo la macchina per fare settanta chilometri e arrivare a Pontevecchio per gli allenamenti, a Perugia. I miei amici facevano baldoria la sera, io invece andavo a letto presto perché la domenica c’era da giocare. Quell’anno avevo deciso di provarci con tutto me stesso: per fortuna sono stato ripagato».

Il sogno a Terni e la consacrazione a Messina

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«Da quel momento fu un’ascesa. Mi scoprì Walter Sabatini che mi fece andare a giocare alla Triestina e mi dette la possibilità di mettermi in mostra ad alti livelli. L’esperienza a Terni fu un sogno che si avvera, di quelli che apri il cassetto e li tiri fuori. Feci una doppietta all’esordio con lo stadio che venne giù: pazzesco». Poi il ritorno a Messina per giocare la Serie A: «Non sapevo se ce l’avrei fatta, anche se venivo da 40 gol in due anni in B. Se non hai personalità in Serie A ti tremano le gambe e rischi la figura di cacca. La società però ha creduto in me e alla fine è andata bene: la prima partita al San Filippo segnai alla Roma il 4-3 con un pallonetto a Pellizzoli, una roba che ogni tanto in tv la fanno vedere ancora».

L’apice all’Atalanta

«Rifiutai il PSG, il Monaco e il Fulham per Bergamo in Serie B. Come mai? Volevo giocare con l’Atalanta. Ero tifoso dei nerazzurri fin da bambino e giocare davanti ai suoi tifosi per me è stata una cosa diversa dal resto dei posti in cui sono stato. Per uno come me che guardava alla passione del tifo è stata un’esperienza unica. Stanno 100 minuti a cantare, ti trascinano. E l’Atalanta oggi in Champions League è emozionante: ero anche a Milano per la partita contro il Manchester City ed è stato pazzesco. Vedere Guardiola che si caca sotto mi ha fatto toccare il cielo con il dito. Poi sono usciti col PSG, ma la Champions per l’Atalanta è stata vinta lì, contro il City».

Di Zampagna ce n’è uno, e fa le rovesciate

«Di Zampagna ce n’è uno. Però se c’è un giocatore in cui mi sono rivisto per tenacia e grinta è Lapadula. Mi piace molto».

Sì, ma adesso ci spieghi: come mai tutti questi gol in rovesciata? «Non mi è mai piaciuto fare gol banali, anche se ne ho fatti tanti. Volevo sempre fare qualcosa di diverso rispetto agli altri. La testa ti dice questo e le gambe reagiscono di conseguenza: l’obiettivo è stato sempre stato distinguersi. La passione per la rovesciata poi nasce da un gesto di mio padre. Non ha mai giocato a calcio ma una volta quando ero piccolo scendemmo nel piazzale per una partita sotto una nevicata incredibile. Lui tirò fuori questo gol in rovesciata e io me la son sempre sognata, anche quando giocavo in Serie A».