«Stavo per andare al River, poi sono finito alla Juve per una promessa»

by Redazione Cronache
marcelo estigarribia

Se Marcelo Estigarribia è sbarcato sul pianeta Serie A un grande grazie lo deve a un osservatore in incognito e una promessa mantenuta. «Ti porterò alla Juve».  Si è avverata, anche se il matrimonio è poi durato solo un anno. Sufficiente per vincere lo scudetto al primo colpo. 

«La promessa la manteniamo?» Storia di Estigarribia

Ma inquadriamo il contesto. Argentina, Copa America del 2011. Estigarribia è l’esterno sinistro del Paraguay che butta fuori il Brasile di Neymar e arriva a giocarsi la finalissima. «Sapevo che c’era qualcuno sugli spalti a vedermi. Ma non solo a me, eravamo una bella squadra e giocavamo una competizione importante. È stata una bella vetrina».  Dopo la seconda partita del girone un osservatore in tribuna avvicina il suo procuratore e gli fa una promessa. «Gli dice che mi avrebbe portato alla Juventus, chiedendo solo di aspettare un po’ e avere pazienza. Poi è sparito nel nulla». Più di un mese senza far sapere niente, fino alla telefonata che sblocca la trattativa. ‘Allora la promessa, la manteniamo vero?’. «Accettai subito, due giorni dopo ero già a Torino. E pensare che stavo per finire al River Plate…»

Qui Marcelo si blocca un attimo, ricorda e riparte. Come se volesse fermare il tempo e tornare a quei giorni lì. «Mi aveva chiamato il presidente Passarella dicendo che mi voleva a tutti i costi. Io avevo già giocato in Argentina ed era da un po’ che mi seguivano. Aspettai fino all’ultimo. Speravo in quella promessa che però ogni giorno sembrava allontanarsi sempre di più. Poi alla fine, per fortuna, è andato tutto bene».

Oggi Estigaribbia ha 35 anni, gioca e vince ancora a casa sua in Paraguay. Lo scorso anno ha vinto il campionato con il Club Olimpia, ora è passato al Sol de America. «Mi sento bene fisicamente e mi diverto. Non penso al ritiro, anche se so già che vorrei fare l’allenatore. Sto studiando per prendere il patentino. E anche in campo cerco sempre di rubare gli occhi, perché sono tutte cose che mi porterò dietro». 

«Non guardava chi eri, quanto avevi vinto in carriera o quanti anni avevi».

A proposito di allenatori, ce ne è uno su tutti che lo ha segnato fin dal suo arrivo in Italia. «Conte è un martello. Non ti molla un secondo. Mi è sempre piaciuto il fatto che non guardava chi eri, quanto avevi vinto in carriera o quanti anni avevi. Lui voleva vedere il fuoco in ogni allenamento. Io arrivai che non ero nessuno, ma mi sono preso il mio spazio grazie al lavoro. Non contava il palmares, ma il sudore. Giocava sempre chi stava meglio e il campo poi gli dava ragione. Succedeva sempre tutto quello che diceva lui. Impressionante». 

«Pensai ‘ma sono umani questi?’». 

«Ti racconto questa che non me la dimenticherò mai. Alla fine del primo allenamento con la Juventus, Del Piero e Pirlo si mettono a calciare le punizioni. Ti giuro era una cosa mai vista, non ne sbagliavano una. Ma ne avranno battute dieci a testa. Era incredibile. Pensai ‘ma sono umani questi?’».  Fotografie che conserva con gelosia nella valigia dei ricordi, arrivata vuota nel nostro paese e riempita nel corso degli anni. «I ricordi più belli sono due. Il mio gol a Napoli e la vittoria dello scudetto. Perdevamo sul 3-1, io raccolgo un cross dalla destra e infilo De Sanctis. Poi l’abbiamo ripresa nel finale con Pepe. Quella contro la squadra di Mazzarri fu una partita assurda, al nostro arrivo allo stadio i tifosi del Napoli ci tirarono di tutto. Sassi e manate contro i vetri. Giusto per farti capire l’atmosfera». 

Dal gol di Muntari al futuro da allenatore

La seconda cartolina lo ritrae con lo scudetto. «Eravamo un gruppo fortissimo. Mi ricordo che scherzavo con Buffon e Pepe sul fatto che li avevamo eliminati dal Mondiale in Sudafrica, ci ridevamo su. Poi il gol di Muntari. Fu un errore dell’arbitro, a me dal campo sembrava gol ma non ne ero sicuro. Invece rivedendolo non c’erano dubbi, era dentro. Però non credo che abbiamo vinto per quello. Eravamo in volata e avremmo dato tutto pur di raggiungere il nostro obiettivo. Lo vedevi negli occhi di chi scendeva in campo ogni domenica».  

Tenacia, costanza e lavoro. Così Marcelo ha stregato Conte alla Juve. Poi ha girato un po’ in Serie A tra Chievo, Samp e Atalanta. «Sono innamorato del vostro paese, mi piacerebbe tornare un giorno. Sono legato a tutte le squadre in cui ho giocato, ma devo dire che la Juventus è un mondo a parte». E pensare che tutto è partito dalla promessa di uno sconosciuto.