Federico Ceccherini tra Italia e Turchia: «Pioli, Tudor e Fortnite con Chiesa»

by Giacomo Brunetti

Quando lo chiamiamo, è appena rincasato: fa strano, ma oggi a Istanbul piove. Ci abita da qualche mese, da quando ha raggiunto la colonia italiana al Fatih Karagümrük, che negli anni ha accolto numerosi calciatori dal nostro campionato. Adesso insieme a Sturaro, Lasagna, Biraschi ed altri ex Serie A, ha risollevato la squadra che non era partita benissimo in stagione. Federico Ceccherini adesso fa il leader in Turchia.

«Inizialmente ci conoscevamo poco, tatticamente eravamo disorganizzati e a volte rimanevo allibito per certi errori che commettevamo», ma si sono ripresi. L’allenatore è Alparslan Erdem, che lo scorso anno era nello staff di Andrea Pirlo ed è stato successivamente promosso. «Le prime 4-5 società qui, le paragono come forza alla Lazio. In tutte le altre, se ti organizzi bene puoi essere fastidioso», ci spiega.

Il suo percorso è partito da Livorno, dalla sua città: «L’ho lasciata in Serie C, quando Nicola mi chiamò per tornare a giocare in A a Crotone. Era un’occasione irripetibile e firmai in bianco, per gli stessi soldi che percepivo in B. Ho sempre avuto questo risentimento verso me stesso, per aver lasciato la squadra del mio cuore in quel modo. Adesso è in D, dopo essere fallita. Un giorno spero di fare come Alessandro Lucarelli con il Parma: scendere nei dilettanti e riportarlo tra i grandi, in A». Di cuore.

Quel Crotone fu artefice di una rimonta-salvezza clamorosa. Nessuno, con così pochi punti nel girone d’andata, era mai riuscito a salvarsi. Recuperò 12 punti, «fu magico, il gruppo fece la differenza». Momenti epici, come la rovesciata di Simy contro la Juventus o la vittoria sull’Inter: «Ricordo nitidamente l’ultima giornata, quando eravamo in vantaggio con la Lazio e il Palermo, che era già retrocesso, segnò all’Empoli sancendo di fatto la nostra salvezza. Ci fu un boato nello stadio, per 10 secondi ci guardammo negli occhi dicendo: ‘È successo davvero’».

Dalla Calabria a Firenze. «Sapete cosa vi dico? Che alla Fiorentina potevo fare di più», ammette. «Sono stato sfortunato perché ho beccato i due anni più brutti della società nella storia recente, e con l’arrivo di Commisso si percepiva che sarebbe diventato un club al livello di Roma o Lazio», e anche la concorrenza era ardua: «C’erano Milenković e Pezzella, oltre a Vitor Hugo. Poi arrivò pure Cáceres». Il suo allenatore era Stefano Pioli, mentre il suo compagno di stanza Federico Chiesa. Sul primo, «era un tecnico veramente onesto, un comunicatore. Fino a gennaio non giocavo, mi chiamava nel suo studio per spiegarmi ed era trasparente. Ti stimolava a non mollare e non puntava mai il dito. Credo si facesse tanti esami di coscienza per comprendere i suoi errori e cercare soluzioni, prima ancora di incolpare».

Non può dimenticare il discorso di Pioli durante un Fiorentina-Atalanta di Coppa Italia: «Perdevamo 0-2, all’intervallo ci disse una frase forte: ‘Ragazzi, le sconfitte arrivano ogni giorno. Quando qualcuno pensa Domani inizio palestra, e poi non lo fa. Quando pensi Vado a fare la spesa, ma poi preferisci restare sul divano. Ognuno di noi perde un po’ quotidianamente. Ora siamo sotto, abbiamo perso l’intervallo, ma abbiamo tutto il tempo per non perdere anche la partita’».

Con Chiesa, invece, mesi di alberghi e soprattutto… Fortnite: «Giocavamo sempre tra di noi e durante il Covid, decidemmo di fare un contest e ogni giorno far entrare i tifosi nel nostro party e fare partite con loro. Qualcuno non credeva che fossimo realmente chi dicevamo di essere. Piano piano il livello si alzava e a volte ci beccavamo le infamate: ‘Mamma mia quanto siete scarsi!’. Non solo in campo, anche su Fortnite ci prendevamo gli insulti ahah!».

Dopo la Fiorentina, il passaggio all’Hellas Verona. Prima con Jurić, poi con Tudor. «Jurić era un martello, ma poco ematico. Spesso ti sgridava in pubblico, aveva un modo diretto». Mentre Tudor «era anche lui un martello, ma curava molto l’aspetto umano e stava alla battuta». Con lui, la settimana era tosta: «Segnavi il giovedì come bollino rosso: i suoi allenamenti a tutto campo erano devastanti. Il martedì ti faceva fare 10 km di corsa, il mercoledì forza e piano, mentre il giovedì era massacrante, tanto che il venerdì dovevamo fare scarico per arrivare integri alla partita. Ti elogiava ed era molto attento all’aspetto umano, ma ti distruggeva: i suoi allenamenti difensivi a tutto campo me li ricordo ancora, tutta la settimana uomo contro uomo. Pensavo: ‘Oggi ci muoio in campo’. Sistemava partitelle 5 vs 5 o 7 vs 7 e ogni volta che il pallone finiva fuori, ripartivi dal portiere. Quindi dovevi correre all’indietro, a vuoto, un sacco di volte. Con lui facevo il terzo di difesa, ma è stato il periodo in cui mi sono divertito di più: non so quante sovrapposizioni facessi a partita! Infatti facemmo il record di gol come squadra. Il suo input era: ‘Dai palla e ti muovi’. Una ricerca continua del pallone, del movimento. Praticamente giocavo in ogni zona del campo».

Ora in Turchia, con il sogno livornese.