Alle origini di Federico Chiesa: «Mentalità e grinta, così è emerso»

by Lorenzo Cascini

Forte dei Marmi, Bagno Alba. Un pallone spiove dall’alto, un bambino si coordina e con un’eleganza da campione lo spedisce all’incrocio dei pali. O dei sassi, che dir si voglia, visto che erano delle porte arrangiate sulla sabbia. Così nasce il Federico Chiesa calciatore, in un campetto  nascosto tra le piante, sotto lo sguardo attento e vigile di papà Enrico. Gioca tutto il giorno, nonostante il pallone sia più grande di lui, palleggia contro il muro, dribbla cunette di sabbia e tira rigori sognando di essere in Serie A.  Si fa anche la telecronaca da solo. Ripete gli stessi gesti ai primi allenamenti sul campo in erba, a sei anni. Anche lì, il pallone va quasi sempre all’incrocio, colpito bene, con precisione. In campo e sugli spalti, in quei momenti, cala il silenzio. Tutti si guardano, come a volere la conferma di aver visto la stessa cosa.  «La maggior parte dei bambini a sei anni non corre bene. Fede aveva già la corsa orientata e una coordinazione perfetta. Non esagero. Rimanemmo a bocca aperta». Quel “Fede” sarebbe Federico Chiesa e a parlare è Alessandro Francini, il primo allenatore che lo ha visto entrare in un campo da calcio. È il 2003. Fatte le premesse, il viaggio nel mondo di Chiesa può cominciare.

Settignanese, una cantera che sforna piccoli campioni

La prima tappa da cerchiare in rosso è Settignano, pallino verde incastrato tra i colli fiorentini, casa della Settignanese, fucina di talenti che sforna piccoli campioni. «Siamo stati la sua unica squadra prima della Fiorentina. È stato da noi fino ai dieci anni». Ricorda con orgoglio Maurizio Romei, uno che da queste parti è considerato un’istituzione: allenatore, dirigente e fondatore del club, insieme a Ferruccio Valcareggi più di cinquant’anni fa. Di giocatori ne ha visti passare a bizzeffe. «Mi farebbe comodo dirti che si vedeva che sarebbe arrivato in alto, ma non è così. Aveva sì grande talento e delle qualità superiori alla media, ma è sempre stato poco considerato. Non tanto da noi, dove era ovviamente uno dei più forti, quanto nei primi anni alla Fiorentina. La sua ‘tigna’ ha fatto la differenza». Qualità che si riconosce in lui ancora adesso.

Chiesa, un adulto nel corpo di un ragazzino

Dicevamo quindi della fame, della voglia di arrivare. Avete presente quei film anni 80 in cui a un certo punto un adulto si trova nel corpo di un ragazzino? Ecco, così si può riassumere il Federico Chiesa che si avvicinava al calcio. «Ricordo in lui un entusiasmo incredibile, giocava con qualunque cosa si trovasse davanti, poi gli buttavi un pallone e apriti cielo. Era già così come ora. Esterno sulla fascia, ambidestro e sempre pronto a sfidare l’uomo. E sapessi quanto correva…»  Anche a casa era così. Non si fermava mai, dribblomane come indole. Un piccolo teppista innamorato del pallone, pericolo numero uno per la distruzione di ogni oggetto della casa. «Aveva però già la testa, anche in campo sapeva sempre fare la scelta giusta con lucidità. Sai non è normale per un bambino così piccolo». Federico era un ragazzo educato, serio e determinato. Uno di quelli che faceva la borsa con cura la sera prima della partita, che puliva gli scarpini e ripiegava tutto con precisione.

«Sicuramente ha influito l’esempio di Enricoricorda Romei – che è sempre stato presente senza entrare mai nelle questioni tecniche. C’era, ma non si vedeva né si sentiva. Ma poi in campo erano già simili, Fede già da bambino aveva quel dribbling e quella fantasia che mi ricordavano il papà».Questione di genetica, di Dna. «Da noi ne sono passati tanti di figli d’arte. Barzagli, Borja Valero, Rui Costa.  Oggi giocano tutti a calcio. Anche se arrivano bambini si vede che hanno un qualcosa in più. Federico in particolare, era già maturo».

Un lungo abbraccio che racchiude tutto: dal primo allenamento all’Europeo

Educazione come parola d’ordine. Francini, che oggi allena la Rondinella in Eccellenza, riprende poi lasciandoci una foto, di quelle che conservi con cura e che ogni tanto tiri fuori dal cassetto. «Ci siamo rivisti tre o quattro anni fa per la festa dei cinquant’anni della Settignanese. Noi giocavamo contro la Primavera della Fiorentina, lui era già in prima squadra ma venne a salutare e ci fu un lungo abbraccio tra di noi prima di entrare in campo. Non si è mai dimenticato da dove è partito. Ma non sono il tipo che si prende meriti, Federico quello che ha ottenuto se lo è guadagnato con la grinta di chi ha una strada chiara in testa da percorrere. Guardalo ora, direi che ce l’ha fatta. Quando l’ho visto segnare contro l’Austria all’Europeo mi è sembrato di rivedere quel bambino che qui a Settignano correva e calciava in modo incredibile».

Anche Romei ci lascia con una cartolina. «Aspetta un attimo che te la mando». Ci fa vedere la gigantografia del primo cartellino di Federico, con tanto di firma. «È sempre stato molto riconoscente. Siamo ancora in contatto. Il modo in cui si è ripreso dall’infortunio ti spiega chi è Chiesa. Mentalità e grinta, così è emerso. Uno che sta fuori un anno e poi torna con quella determinazione e con quella voglia di spaccare il mondo, ti dimostra che non è come gli altri». Lui probabilmente lo aveva capito da quel tiro al volo di vent’anni fa, che si infilava sul palo più lontano lasciando increduli i presenti. Infondo non è cambiato così tanto. Ora però ci deve salutare, sta iniziando l’allenamento. Formazione, educazione e rispetto sono i suoi concetti chiave. «Li faccio allenare anche sulla sabbia per ridurre a zero gli infortuni». E chissà che da lì tra dune e grandi maestri non possa venir fuori un nuovo Chiesa…