a cura di Lorenzo Cascini

Andrea Ferretti ha 26 anni ed è il direttore sportivo vincente più giovane d’Europa.

Ha centrato la promozione in Serie B con la Feralpisalò, a sua volta una squadra giovanissima per nascita.

È il giovedì successivo alla vittoria del campionato, a Salò diluvia. I goccioloni provano a squarciare il cielo che illumina il centro sportivo della Feralpi, da pochi giorni promossa in B per la prima volta nella sua storia. L’aria è di festa, nonostante il brutto tempo

 

In campo la squadra si allena sotto l’acquazzone, in tribuna non c’è nessuno. O quasi. L’occhio te lo ruba un ragazzo che – senza cappuccio e noncurante della pioggia – non sposta mai lo sguardo dai ventidue, osserva, studia, continua a imparare. È il protagonista della storia e della promozione della Feralpisalò e per capire che si tratta di un ragazzo bisogna per forza guardare la carta d’identità. 

 

Andrea Ferretti ha 26 anni ed è il direttore sportivo della Feralpisalò. È il più giovane d’Europa.  Si circonda di buoni e fidati collaboratori, ma le decisioni le prende lui, con la fermezza di un uomo con trent’anni di esperienza alle spalle. 

 

 

Questo è il primo motivo che spiega perché non bisogna farsi ingannare dai suoi ventisei anni, anche se in realtà i passaggi affascinanti della sua storia sono diversi. Avete presente quei film anni 80 in cui a un certo punto un adulto si trova nel corpo di un ragazzino? Ecco, il concetto è lo stesso. 

 

Ferretti alla Feralpi si occupa di tutto, ha una visione a 360 gradi sulla squadra e sul mercato, gestisce il bilancio e cura la comunicazione. E soprattutto gode della totale fiducia del presidente Pasini. «Questo è il grande segreto di una società che funziona. Ognuno ha il suo ruolo, nessuno si intromette nelle cose degli altri. Poi i conti si fanno alla fine. Poi c’è un’altra cosa fondamentale, che ho imparato nel tempo, cioè l’importanza di chiedere una mano e saper ascoltare». 

 

Mentalità che descrive un modo di essere. Dicevamo di non farvi ingannare dall’età

 

Andrea l’occhio se lo è fatto da dentro. Da quando ha 5 anni vive di calcio in tutte le sue forme. Prima da mascotte, nello spogliatoio dell’Ascoli, la squadra di suo nonno. Poi da giornalista, quando a 16 anni fonda Ascoli News e si mette in gioco in prima persona. L’intraprendenza è rimasta la stessa. Si crea una rete di contatti, impara a capire le dinamiche di un mondo che lo affascina, fino ad entrarne dentro. Inizialmente in punta di piedi, poi nel tempo, a gamba tesa. Il direttore sportivo Francesco Marroccu intravede in lui del talento e se lo porta alla Feralpisalò. Prima picconata della scalata. Inizia come addetto stampa, poi diventa team manager, infine collaboratore tecnico del Direttore Oscar Magoni e dalla scorsa stagione è il direttore sportivo. Tutto in quattro anni. Andrea è stato immerso fin da subito nel fiume Stige della Gavetta e –  quando alcune dinamiche ti entrano dentro – finiscono per segnarti, restandoti sulla pelle come tatuaggi. 

 

 

«Credo che l’aver fatto un percorso a tappe mi abbia aiutato molto. Fare il direttore sportivo vuol dire occuparsi allo stesso della squadra, dei conti e dello spogliatoio, sapersi coccolare i giocatori ma anche essere diretto e schietto. Poi capire i problemi, le necessità e intervenire». Spalle larghe e sguardo deciso, nonostante in rosa ci siano ben dodici giocatori più grandi di lui. «La parola d’ordine è credibilità. E quella non la compri e non te la regala nessuno, devi creartela tu giorno dopo giorno. Non conta l’età, ma il carattere. Con i giocatori c’è grande sintonia, ma soprattutto c’è un divario: Io sono il direttore, loro i calciatori. E i ruoli vanno sempre rispettati». 

 

Anche quando ci parli sembra di avere a che fare con un adulto, non con un ragazzo di ventisei anni. Molti dei suoi coetanei sono appena usciti dall’università, lui è in Serie B alla guida della Feralpisalo. Ma non è un caso. 

 

Andrea è maturo, determinato, sicuro di se. Senza mai essere spavaldo, comprendendo la grandezza dell’opportunità che gli è capitata e che ha dovuto sfruttare al meglio. «Penso che sia fondamentale avere le competenze per farsi trovare pronto in ogni circostanza, dal lato economico a quello tecnico. Un’altra chiave sono poi i rapporti. È fondamentale capire le persone con cui si lavora, creare empatia con ognuno di loro». 

 

L’approccio è lo stesso anche nelle trattative. Si siede al tavolo con direttori che hanno venti o trent’anni di esperienza in più di lui, che potrebbero guardarlo dall’alto in basso o magari considerarlo un ragazzino.

 

 

Non si è mai scomposto, non ha mai fatto un passo indietro. «A primo impatto fa un certo effetto. Devi trovare il modo di farti valere e farti rispettare, non è immediato, ma credo di essermi abituato in fretta. Sono anche così di carattere, non mollo facilmente»

 

Ferretti è un direttore che studia tanto, osserva, guarda partite a ciclo continuo e apprende come una spugna. «Cerco di andarne a vedere cinque o sei a settimana, compatibilmente con gli impegni della squadra. Io poi della Feralpisalò seguo tutto, dai ragazzi ai grandi. Se non riesco dal vivo, recupero su Wyscout con video e analisi». Tutto con pochi e semplici concetti guida, mettendo l’uomo al centro dell’universo. Dal calciomercato al lavoro di ogni giorno con la squadra.

 

«La storia del ragazzo viene prima di ogni cosa. Le sue motivazioni, il suo passato. Pensa che io al primo incontro spesso faccio venire anche la compagna del giocatore, mi aiuta a capire il contesto familiare che lo circonda e che quindi lo potrebbe influenzare. Poi certe cose le capisci dai gesti e gliele leggi negli occhi»

 

Istinto e guizzi al potere. Un esempio è quello di Butic, poi autore del gol promozione. «In lui avevo visto la voglia di venire da noi, di sposare un progetto come il nostro. Aveva offerte dall’estero, ha scelto di venire in C perché credeva in noi e nella possibilità di raggiungere l’impresa. Ed è stato proprio lui a fare il gol decisivo per la Serie B, vedi il destino». Cerchi che si chiudono nel migliore dei modi. Il merito, in parte, è anche dell’intuito e  della capacità di capire chi potrebbe darti qualcosa. Scommessa vinta su tutta la linea. Una delle tante

 

Andrea poi è uno che di sfide se ne intende. Ne ha affrontate tante, in primis con la vita, contro una malattia degenerativa che lo colpisce a 16 anni e che a 18 lo costringe a un ricovero. Resta in coma per un mese, poi l’incubo finisce. «Mi ha salvato mio fratello, fortunatamente compatibile al 100%, grazie a un trapianto di midollo». Oggi per fortuna è solo un lontano ricordo. Quando ti parla Ferretti non si scompone, sia quando racconta della famiglia sia del suo passato. Equilibrato, serio e con gli occhi di ghiaccio. Gli stessi con cui entra nello spogliatoio e parla alla squadra nei momenti difficili. E chissene frega se ha solo 26 anni. Anche perché, vedendolo da fuori, non lo direbbe nessuno. La B sarà l’ennesima sfida in cui farsi valere, dimostrando di essere grandi e maturi. Senza guardare la carta d’identità. Tanto per entrare in paradiso dalla porta principale, conta solamente la testa e su quella Andrea sarà sempre pronto a scommetterci. Battendo tre set a zero chiacchiere e pregiudizi.