Una società europea in Sudamerica. Sembrava pura utopia fino ad alcuni anni fa. Oggi invece, soprattutto in Brasile e in Argentina, ma anche l’América in Messico, si stanno creando delle aziende che, almeno nelle strutture interne, non hanno niente da invidiare al grande calcio. Una di queste è sicuramente il Flamengo, una delle fanbase più gigantesche di tutto il mondo e uno sponsor, Betano, che ha da poco deciso di diventarne il più grande partner commerciale per 45 milioni di euro a stagione, uno dei 10 accordi più alti del calcio.
A guidare i Mengão da alcuni mesi è entrato nella dirigenza José Boto, dirigente portoghese – con un passato alla scoperta di fenomeni, tra le altre, tra Benfica e Shakhtar – che sta portando tratti d’Europa dall’altra parte del mondo. E lo abbiamo intervistato proprio per farci parlare del Flamengo, del suo sviluppo e dei grandi acquisti che hanno acceso i riflettori. «Il Flamengo ha 45 milioni di tifosi. Quando sono arrivato qui, uno degli obiettivi del nuovo presidente era chiaro: trasformarlo in una società con standard europei, sia come mentalità che come gestione. Rendere il Flamengo un club con dinamiche europee, meno sudamericano da questo punto di vista», ci racconta Boto.
Mercato e numeri da società europea
Sfogliando la rosa del Flamengo, è inevitabile notare la grande influenza di calciatori che sono passati dal calcio europeo. Soprattutto, del lavoro che i brasiliani hanno fatto per attirare e convincere alcuni profili ad accettare: «Abbiamo iniziato a trattare calciatori con esperienza in Europa: loro possono aiutare gli altri calciatori ad avere un approccio diverso all’allenamento e a tutte le dinamiche ‘invisibili’ all’interno di squadra e società. Questo è stato il nostro principale obiettivo, rispettando il nostro stile di gioco e adattandolo al modello del Flamengo». Dagli arrivi di profili d’esperienza come Saúl, Danilo e Jorginho, fino al grande acquisto: Samuel Lino, comprato per 22 milioni di euro dall’Atlético Madrid. Un colpo da vera e propria big.
«Abbiamo individuato questi profili e li abbiamo convinti a venire qui. Non è difficile quando gli mostriamo le strutture del club, sono le stesse delle migliori d’Europa. Gli facciamo vedere anche l’amore del pubblico, il numero di tifosi, il progetto che stiamo costruendo. Ai brasiliani come Danilo non è necessario spiegare cos’è il Flamengo, agli altri sì», spiega Boto, che nella squadra allenata da Filipe Luís (poi ci arriviamo) annovera anche calciatori di qualità come De Arrascaeta, l’attaccante Pedro, ma anche Pulgar, Matías Viña, Alex Sandro ed Emerson Royal. Un mercato di abilità: 72 milioni di vendite e 48 di acquisti, acquistando tutti i giocatori titolari e che hanno rinforzato la rosa.
La potenza economica del Flamengo, derivante appunto dagli introiti legati al grande numero di tifosi, alle strategie attuale e anche alla visione del presidente Luiz Eduardo Baptista, è ormai sotto gli occhi di tutti. Quando chiediamo a Boto se il club potrebbe permettersi di battagliare con le società europee per acquistare giocatori, ci risponde di sì, «ma non è questo il punto. Pensate ad esempio a Samuel Lino: lo abbiamo pagato 22 milioni per prenderlo dall’Atlético Madrid, strappandolo al Napoli campione d’Italia. In termini di forze finanziarie, abbiamo la forza di pagare ingaggi importanti e pure i cartellini. La difficoltà è convincere i calciatori europei o coloro che giocano in Europa, a venire in Sudamerica, non tanto al Flamengo ma proprio in Sudamerica. Se hai giocato almeno una volta nel campionato brasiliano o in Libertadores, sai di cosa sto parlando. Altrimenti è difficile mostrarlo: ma se lo chiedi oggi a Saúl o Jorginho… beh, possono confermare».
Competitività, scoperte e ricordi
Il Flamengo gioca al Maracanã, impianto da circa 80mila posti che ospita anche le partite casalinghe di Fluminense e, saltuariamente, di Botafogo e Vasco da Gama. Qui prendono vita le partite di cui ci parla Boto: «Il campionato brasiliano è molto competitivo: ogni stagione, 6 o 7 squadre iniziano con l’obiettivo di vincere. Questo crea una grande competitività, tutte le partite sono difficili e anche attualmente, ancora 4 squadre sono in corsa per vincere. È un gioco aperto, un prodotto attrattivo da vendere e vedere in Europa: soffre il fuso orario, certo, perché in Europa non c’è così tanta attrazione per questo campionato, e lo dico da portoghese. Ma è molto avvincente da vedere». Questo per fare un paragone con quelli europei, a cui il dirigente guarda sempre con attenzione: «Penso che in Portogallo abbiamo allenatori importanti che potrebbero avere un futuro importante. Penso che in Italia e da noi ci siano gli allenatori più interessanti da questo punto di vista. Diverse idee, non un stile adattato al campionato. In Spagna, ad esempio, tanti giocano allo stesso modo».
Fu proprio lui, allo Shakhtar, a “inventarsi” la scelta di Roberto De Zerbi: «Lo sento ancora, gli ho scritto dopo la vittoria contro il PSG. Il presidente dello Shakhtar voleva un gioco di possesso, con la palla tra i piedi. Quando sono arrivato in Ucraina, il mio allenatore era Paulo Fonseca, che poi è andato alla Roma. Abbiamo preso Luís Castro, portoghese che allenava con successo il Guimarães. Il presidente mi ha dato grande libertà e opportunità di scegliere gli allenatori, se rispecchiavano lo stile richiesto. Dopo due anni con Castro, ho dovuto nuovamente scegliere: a quel punto, avendo seguito molto De Zerbi, abbiamo scommesso su di lui prendendolo dal Sassuolo. Mi dispiace tantissimo che la guerra abbia stoppato tutto, poteva essere qualcosa di molto grande: lo considero un genio, un genio tattico. Mi ricordo che dopo due sole settimane i calciatori erano tutti convinti dalle sue idee e le sposavano: non avevo mai visto prima una cosa simile». Ma torniamo in Brasile.
Uno sponsor milionario e Filipe Luís come allenatore
Come vi dicevamo, il Flamengo ha stretto una partnership importantissima con Betano, per una cifra che ha posizionato il club. «L’accordo è stato storico. Non è il mio lavoro diretto, ma mostra quanto il Flamengo sia grande. Abbiamo 45-50 milioni di tifosi. Nessun club europeo ha numeri così. L’accordo non è solo il più grande in Sudamerica, ma credo sia l’ottavo o nono al mondo. Questo dimostra che il club ha una dimensione internazionale: altrimenti sponsor come Betano non investirebbero così tanto. E questo ci dà anche più forza sul mercato». Perché non accennano a fermarsi. Al Mondiale per Club, nella fase a gironi, hanno battuto il Chelsea che poi si è laureato campione del mondo, tanto per fare un esempio. Non solo, «il Flamengo negli anni è stato anche il posto giusto per rendere nuovamente dei talenti interessanti alcuni calciatori che si erano persi nella loro strada, come Gabigol e Gerson. In termini di carriera, qui i giocatori si sentono importanti».
In Brasile vediamo ogni anno spuntare grandi nomi di giovani, da Endrick a Estevão, per citarne alcuni. Ma com’è possibile che puri adolescenti diventino fenomeni con questa costanza? «In Brasile nascono i migliori talenti. Esiste ancora il calcio di strada, che in Europa non c’è più, e questo dona creatività. Inoltre, quando un giovane debutta, subito i grandi club europei lo seguono. Prima, quando lavoravo al Benfica, potevamo prendere i migliori talenti in Brasile e rivenderli. Ora Real Madrid o Chelsea li prendono direttamente. Ogni anno comunque il Brasile produce nuovi campioni». Un lavoro che ha proseguito anche in Ucraina, ai tempi dello Shakhtar, dove lavorare con i giovani brasiliani era all’ordine del giorno, oltre che nelle corde della società per volere del presidente.
Al Benfica, invece, Boto ha lavorato dal 2007 al 2017, e li ha visti passare tutti: «Ce ne sono stati tanti: Di María, David Luíz, Ramires, Oblak, Witsel. Con Witsel, ad esempio, lo abbiamo pagato 6-7 milioni e venduto un anno dopo per 40-45 milioni. Un affare incredibile. Anche Cristante, oggi alla Roma, lo avevamo preso da giovane. Alcuni non hanno reso subito, ma poi sono esplosi altrove: la nostra analisi era giusta». Insomma, lo sappiamo: Benfica uguale qualità.
Nel concludere la nostra chiacchierata di calcio, gli abbiamo chiesto se vedrebbe bene Filipe Luís, il suo attuale allenatore al Flamengo, come erede di Simeone all’Atlético, avendo giocato lì e scritto la storia con i colchoneros. Certo, non subito, tra qualche anno: «Spero che rimanga con noi a lungo. Siamo molto felici con lui, è giovane e ha solo un anno e mezzo di esperienza. Ha un’idea di come giocare molto forte, studia molto e lavora altrettanto. E questa è una caratteristica dei migliori allenatori: è concentrato e vuole sapere tutto». José Boto non sa stare fermo, ha girato 6 nazioni grazie al calcio e continua a creare squadre vincenti.