Frendrup: «Se chiudo gli occhi mi vedo in Serie A con il Genoa»

by Lorenzo Cascini
Frendrup
Il primo ricordo che lo lega al calcio è un Super Santos più grande di lui, che rotola su un campetto spelacchiato a Tuse, piccolo villaggio nel nord della Danimarca a 70 chilometri da Copenhagen. Il viaggio nel pallone di Morten Frendrup parte così, sotto lo sguardo vigile del papà e di suo fratello Lasse, 28 anni, che gioca ancora lì nella squadretta della città. Per tanti anni è stato riferimento e modello. «Fa il centrocampista come me – racconta Frendrup a Cronache – ho imparato tanto guardando lui». Inizi.
Oggi Morten, 22 anni ad aprile, è il leader del centrocampo del Genoa, muscoli e geometrie al servizio di Gilardino. Anche se da fuori non lo diresti mai. Lo guardi e ti sembra uno studente Erasmus, con la faccia pulita e gli occhi sempre ben aperti, pronti a rubare ogni dettaglio. C’è un passaggio nel documentario di Infascelli in cui Totti racconta che nei suoi primi anni alla Roma nella vita di tutti giorni era Francesco, taciturno e sulle sue, ma che in campo si trasformava e diventava Totti. Da ragazzino timido a dieci con lo sguardo sicuro e le spalle larghe. Anche con Frendrup funziona così. «Fare il calciatore era l’unica strada possibile, non ho mai considerato nient’altro. Per me la partita è una battaglia, ascolto tanto e punto in alto. Voglio tornare in Serie A con il Genoa, poi in futuro chissà. Magari tornare a giocare in Europa. Farlo con la maglia rossoblù sarebbe un sogno».

Faccia da studente Erasmus, antidivo pure sui social

Frendrup è un personaggio atipico, antidivo per eccellenza. Non gli piace parlare, esporsi, da sempre avversario di riflettori e telecamere. «Non vado neanche alle interviste pre partita, penso mi possano far perdere la concentrazione» Anche sui social è così. Profilo privato, pochi post, tutti rigorosamente di calcio. Cartoline dei momenti più belli della sua vita. «L’esordio in A con il Genoa a Bergamo contro l’Atalanta e la vittoria del campionato danese con il Brondby. Non vincevamo da 16 anni. Lo porterò sempre nel cuore, ho esordito anche in Champions. Sarà sempre casa mia».  Di poche parole, ma chiaro e dritto al punto.

L’idolo Gerrard e l’incontro in Europa League

Poi si ferma, sorride e dal mazzo pesca una fotografia. «C’è però un altro momento speciale. Giochiamo in Europa League contro i Rangers. E chi è l’allenatore? Steven Gerrard, l’idolo di sempre. Non sono riuscito a parlarci né a dirglielo, ma ogni tanto mi bloccavo a guardarlo. È stato l’unico esempio che ho avuto fin da quando sono piccolo».  Lui era lì in mezzo, proprio come Steven, centrocampista box to box, di lotta e geometrie. Anche se Frendrup è uno che dove lo metti sta, si adatta e si sacrifica. «Ho esordito in Serie A da terzino, poi ho fatto anche la mezzala e il play. In Danimarca è capitato anche giocassi trequartista». Tuttofare e soldato, uno che vive le partite come un compito da portare a termine e guai a tirare indietro la gamba. C’è poi un siparietto post partita che lo racconta meglio di ogni altra cosa. Dopo il suo gol con il Parma va in zona mista e si scusa per l’errore che ha portato al pareggio gialloblù. «Non riuscivo a non pensarci, quindi mi è venuto spontaneo dirlo. Ero contento sì per il gol, ma mi sentivo troppo in colpa per l’errore».

Tra passeggiate a Boccadasse e sfide a freccette

Tanto calcio quindi, uno stile di vita semplice e mai fuori dalle righe. «Sono innamorato di Boccadasse. Ci vado spesso nei giorni liberi. Vivo qui con la mia ragazza, i miei genitori vengono spesso a trovarmi». Dal mare di Holbaek a quello di Genova. «La città è fantastica, si vive bene e i tifosi sono unici. Si meritano grandi palcoscenici, come la Serie A e l’Europa». In spogliatoio poi è uno che scherza con tutti, sta al gioco. «Siamo un gruppo allegro, si ride tanto. Posso imparare da tutti, in particolare da Criscito e Badelj, che hanno quattordici anni in più di me e mi insegnano molto. Ascoltarli quando parlano ti arricchisce.  Il mio migliore amico è Gudmunsson, giochiamo sempre a freccette dopo l’allenamento. Ma vinco sempre io».
Morten ha le idee chiare, lucido come in campo quando detta i tempi e dà equilibrio. «Se chiudo gli occhi mi vedo in A con il Genoa». Li riapre, sorride e ci saluta. Quasi si imbarazza nel farlo, ma è fatto così. Questione di carattere. L’obiettivo ora sarà portare in alto il Genoa, alla sua maniera. In silenzio, aspettando che sia il campo a parlare al posto suo.