a cura di Giacomo Brunetti

Cosa significa giocare nella Nazionale italiana di futsal

E soprattutto, a che punto è il movimento di uno sport in totale evoluzione nel nostro Paese?

Fino a 10 anni fa, la Nazionale italiana di futsal era composta per 14/14 da calciatori naturalizzati, provenienti specialmente dal Brasile. Una pratica comune nel mondo del calcio a 5. Certo, non con questa frequenza. Il movimento era in una fase di transizione che ereditava le poche piazze evolute italiane e si apprestava a conoscere l’espansione dei convocabili azzurri. Alex Merlim, uno dei giocatori più forti al mondo per larghi tratti, fa ancora parte dell’Italia nonostante i 37 anni: «Sono orgoglioso della crescita del futsal in questo Paese. Quando sono arrivato in Nazionale, eravamo tutti italo-brasiliani. Con il tempo, siamo diventati la metà. Adesso siamo solo in 4 e se un tempo anche in campionato era difficile vedere italiani bravi e competitivi, adesso ce ne sono eccome».

 

 

Torneremo più tardi a parlare dell’evoluzione di questa disciplina. E lo faremo con Massimiliano Bellarte, commissario tecnico dell’Italia. Nei tempi in cui lo spettacolare padel si prende le copertine affianco al tennis, disciplina da cui è nato, viene facile pensare che al giorno d’oggi gli sport più immediati e ritmati abbiano la possibilità di avere sempre più spazio sulla scena. È proprio Bellarte a darci una risposta, pensata e minuziosamente analizzata: «La maggiore spettacolarità viene rappresentata dal fatto che il futsal è la zona palla del calcio. La zona palla del calcio è semplicemente un campo di calcio a 5». Ovvero, nel calcio l’attenzione è dedicata soltanto al movimento del pallone e a quei pochi metri che ruotano intorno a esso durante un’azione, all’interno di un territorio molto più grande. Quei pochi metri che ruotano intorno alla palla sono il puro spazio del futsal. Qui, ogni azione può portare a una rete e l’indice di pericolosità è altissimo. Come nel basket. «È uno sport dinamico, appassionante per i tifosi. A volte, quando guardo le partite di calcio, mi addormento», racconta Merlim.

 

 

La Nazionale sta puntando alla qualificazione al prossimo Mondiale. «È assolutamente il nostro obiettivo», assicura ct Bellarte. Dal 2020 è diventato il capo allenatore degli Azzurri, ma lui tecnico ci è capitato quasi per caso. Attraverso un dramma della sua vita. Nel 2004 rimane coinvolto in un incidente strada ed entra in coma per due giorni:«Lavoravo, studiavo, e nel tempo libero coltivavo la passione del futsal. Ma ero scarso». Gli venne proposto di diventare allenatore della prima squadra del Ruvo di Puglia, in una delle serie inferiori italiane, un paesino nelle Murge. «Dico sempre che il calcio a 5 ti fa realizzare i sogni perché sono partito da una realtà piccolissima e adesso sono qui». Insomma, Bellarte compie una scelta che definisce «folle». Folle perché «ho scelto di trasformare in un lavoro una disciplina in cui non eccellevo». Un hobby diventato vita. Con la «presunzione» di farlo a tempo pieno.

 

 

Grazie a quell’incidente, gli viene facile rischiare: «Non ho problemi a dar fiducia a un giovane di 19 anni che non ha mai giocato in prima divisione convocandolo in Nazionale». Certo, «l’importante è non trasformare il coraggio in incoscienza, il limite è sottile». Ma per raccontarvi l’evoluzione di questo sport, c’è una frase che spicca. Semplice, diretta: «Il futsal è cambiato in meglio».

 

Massimiliano Bellarte è il ct della Nazionale italiana di futsal e dalle campagne murgiane in Puglia, adesso punta alla qualificazione al Mondiale. «Quando ero giovane, il calcio a 5 era poco sviluppato fuori da centri nevralgici come Pescara o Roma». Adesso, la Serie A si srotola lungo tutta la penisola: dalla L84 di Torino (partecipata anche da Claudio Marchisio) alla Meta Catania. Cinque squadre nel Lazio – che rimane una regione trainante – e quattro in Campania, con il Pescara che invece si trova a rincorrere la gloria dopo la fine di un’era. Quando è arrivato in Italia, Alex Merlim trovò casa nell’Augusta di Siracusa. Oggi è nello Sporting Lisbona. «Era il 2007 quando sono atterrato in Italia, avevo 21 anni. Era una società che credeva nei giovani, se fossi andato alla Luparense non avrei giocato in quel momento». Ne diventerà uno dei simboli dal 2011 al 2015. Ma «in quel momento, la Sicilia è stato il posto giusto. Ho conosciuto l’Italia e me ne sono innamorato, entrando anche in Nazionale». Da ragazzo, in Brasile, lo chiamavano Babalu, per quel vizio di giocare con il pallone tra i piedi e una gomma da masticare (Bubbaloo) tra i denti. Si ispira a Ronaldinho e Ronaldo, ha impresso nella mente il Mondiale vinto nel 2002.

 

In Italia, nel frattempo, in quegli anni il futsal andava costruendosi sempre di più. Erano ormai lontani i tempi in cui era nato come sport nei circoli romani, traendo quelle caratteristiche che lo hanno originato dal calcio. Bellarte fino a prima del Covid, andava ogni anno in Brasile per aggiornarsi. «Ho sempre cercato un approccio multidisciplinare. Da ragazzo giocavo a pallacanestro, il calcio a 5 ha bisogno di aprirsi anche a ciò che è diverso. Come le neuroscienze, che ti spiegano come migliorare l’apprendimento di un giocatore o le modalità in cui puoi trasmettere determinati concetti».

 

 

Ma i calciatori potrebbero giocare a futsal? «È molto più facile passare dal futsal al calcio, che viceversa», racconta il ct. E anche Merlim è d’accordo. Fare il percorso inverso non è semplice, «ci sono stati dei casi che non sono andati a buon fine». Bellarte ci spiega che «per quanto ne segua le regole, il calcio a 5 ha poco a che vedere con quello a 11, anche per dinamiche di corsa. Un giocatore di futsal corre malissimo, come un bambino. Appoggiando i talloni e con passi brevi. Colpisce il pallone di punta». Un altro movimento azzurro che continua a crescere, che appassiona, che attrae i ragazzi.