Cioffi: «All’esordio in A mi hanno rotto lo zigomo e ho rischiato la vista»

by Redazione Cronache
Gabriele cioffi

La carriera di Gabriele Cioffi ha preso una piega unica il 3 novembre del 2013. Era il tecnico del Gavorrano, squadra toscana in provincia di Grosseto, ed è stato esonerato dopo aver perso con il Foggia. Da lì, ha iniziato a girare il mondo. «La verità è che sono scappato» ha raccontato in un’intervista al canale Twitch di Cronache di spogliatoio. «Quando sei un allenatore giovane, l’esonero fa male. È un fallimento. Lo vivi più del dovuto perche non lo conosci. È un dolore che non sai gestire. Il telefono per 6 mesi non squillava, quindi ho chiamato un mio amico in Australia: ‘Hai ancora la scuola calcio?’ ‘Sì, perché?’ ‘Vengo lì ad allenare’. Cosi sono salito sul primo aereo e sono partito».

«Quando sono partito avevo la valigia piena di sogni e aspettative che sono ancora vive» continua l’ex allenatore di Verona e Udinese, fiorentino di nascita. «Quando sono partito ce l’avevo a morte con l’Italia perché non riconoscevano i miei valori, questo intendo per “scappare”. Dicevo “Siamo in ritardo su tante cose”. Quando il giro è finito ho pensato: “Siamo i numeri uno” come stile di vita, problem solving, creatività, tutto». Un giro piuttosto lungo prima di arrivare in Serie A, come vice, nel 2020. L’Australia, il Südtirol, dov’è stato per pochissimo tempo il tecnico della Berretti: «Mi dicono che si è liberato posto negli Emirati, all’Al-Jazira (come vice, ndr), partivo la mattina dopo. Dovevo dirlo al Sudtirol, ero arrivato da un mese. Ero arrivato in Smart e avevo il terrore di fare tardi. Atterro in Arabia, mi danno lo Champagne alle 3. Manco sapevo che cos’era. Non ti danno una lira, ma almeno ti vanno viaggiare bene. Mi aspettavo un taxi e invece è arrivata la limousine».

Gabriele Cioffi e il sogno Inghilterra

La vera meta è l’Inghilterra, il sogno si chiama Premier League. Gli inizi sono una collaborazione con il camp dell’Aston Villa e la Championship, la seconda divisione, come collaboratore di Gianfranco Zola al Birmingham. «Dopo le dimissioni di Zola, a due giorni dalla fine del campionato, una persona normale sarebbe tornata a casa. Io invece resto altri 2 mesi, mia moglie diceva ‘C’hai l’amante’. Ho girato 2 mesi in inghilterra, ho guardato vari ambienti e incontrato direttori sportivi e dopo 5 mesi è nata quest’opportunità che mi sono costruito io, in quarta serie, con il Crawley. Abbiamo superato i record in Fa Cup e Coppa di Lega battendo Norwich e Stoke City, che giocavano in Premier e Championship».

«Nelle loro facce – ricorda – c’era la voglia di stupire, loro avevano dentro le mie stesse emozioni. Contro il Norwich vincemmo 1-0 e non volevo che la partita finisse. Sono tornato allo stadio alle 2 di notte, mi sono sdraiato sull’erba e ho detto: ‘Ce l’ho fatta’. È stato meraviglioso, avevo creato ambiente forte». Le differenze tra calcio inglese e italiano non mancano. Prima, la pressione: «Stress e pressione incidono sulla parte atletica e sulla vita privata. La pressione inglese è diversa, il club lavora per l’allenatore, tu sei la persona che può cambiare le sorti in positivo». «Gli allenamenti sono più corti e intensi. giocatore deve andare forte, se hai intensità con e senza palla fai differenza. Ciò che ho riscontrato in Inghilterra è che non ti fanno domande (‘Perché si fa questo? Perché non si fa in quest’altro modo?’). Tu devi caricarli a molla e loro partono, vanno già a 2000. Il non fare domande è perché loro credono nella tua filosofia».

L’arrivo in Serie A

«Ho una gran voglia di migliorare, come allenatore credo di essere empatico e uno che rispetta gli altri. Puoi sapere di calcio quanto vuoi, ma devi sedurre le teste e l’ambiente che alleni, quelli che vivono dietro le quinte. Il grande allenatore è quello». L’allenatore, continua, deve entrare nelle teste dei giocatori. Come quando ho sedotto mia moglie. I campioni si devono buttare nel fuoco per ciò che pensi. Uno di quelli che ho ‘sedotto’, da questo punto di vista, e rilanciato è stato Deulofeu. Ho anche grande rispetto e stima di Pereyra, fuoriclasse assoluto, un campione di strada. Lui ha capito chi sono io, magari esprimendomi male, ed è stato trainante, a volte mi anticipava, c’era una connessione».

«Quando mi ha chiamato il Ds dell’Udinese, Marino, mi è venuto un infarto» racconta. «Venivamo da momento difficile, con lui non avevo mai parlato. Mi dice di presentarmi in sede, con tristezza vado allo stadio e lui mi fa: ‘Se la sente di prendere la squadra?’. Devo molto a Gotti se ero lì. Era un rischio calcolato per loro: hanno provato a vedere se ero la carta giusta in due partite visto che c’era c’era la sosta. È stata scelta d’istinto della famiglia Pozzo ed è andata bene, ma come società all’Udinese niente succede per caso».

Un esempio è la gestione di Udogie: «È molto timido e tante volte sembra indolente, ma è una reazione allo stress. Io lo voglio cambiare, gli sto addosso, ma lui alla terza settimana fa le cose al contrario. Pinzi mi dice di mollarlo, io mi fido e lo lascio andare. Era proprio ‘over’, si vedeva. Siamo arrivati a sabato e per me Udogie non avrebbe giocato, però mi son detto ‘Ci credi o non ci credi in lui?’ Mi sono abbandonato, l’ho fatto giocare, ha segnato e abbiamo vinto 4-0 con la Roma».

«Beto, invece, arriva e mi dice: ‘Mister voglio migliorare la tecnica’ e lo faccio allenare. Il giorno dopo la vuole rifare. Giovedì vuole rifarla ancora. Io gli ho detto: ‘Come Deulofeu non ci diventi mai, lavoriamo su ciò che sai fare bene’. La cosa che lo rende un campione è la fame. Alcuni giocatori gli parli e non ti ascoltano, lui ti guarda negli occhi, ti ascolta guarda i video. Quanti gol può fare? Doppia cifra, forse anche più».

La prima partita in A è stata contro il Milan, prossimo a diventare campione d’Italia, pareggiata 1-1. «Come l’ho preparata? Ho fatto un paio di pellegrinaggi (ride, ndr). L’ho preparata per come la stavo vivendo, tutti si aspettavano il flop da me e dai giocatori: non ci si arriva con tecnica e tattica, serve qualcosa in più. Stavamo per vincere finché Ibra non ha fatto quel colpo di tacco». Un incubo per Cioffi anche da giocatore: «Ibra mi segnò un gran gol al volo in Torino-Inter, credo sia stato premiato come gol più bello d’Europa. Lo marcavo io, sono finito su qualche giornale».

La carriera da calciatore

«Da calciatore – ricorda l’ex difensore oggi 47enne – ho avuto 3 infortuni al crociato, e all’esordio in Serie A mi sono rotto lo zigomo. Alcuni miei amici dicono che non c’entrano gli infortuni, ma che mi piacevano le donne. La verità è che mi sono fatto 3 volte il crociato». Come detto, l’esordio in A non è stato banale. «Avevo firmato con l’Inter, ma il contrato è decaduto per infortuni così ho scelto il Torino per giocare la coppa Uefa. Nelle prime 5 partite avevamo raccolto 4 sconfitte e un pari, così Zac mi dice che vuole farmi giocare e parto titolare contro il Chievo. Dopo 15 minuto ecco un contrasto con Pellissier, sento uno schiocco, poi un dolore allucinante e vedo doppio. Il medico dice di sostituirmi, io rispondo ‘Non ti azzardare’. Ho fatto il primo tempo con Zac che mi urlava ‘Ti cambio’ e io con la mano sull’occhio ‘Non mi levare’». Quel che succede a fine primo tempo è ancora più epico: «Zaccheroni mi dice che mi cambia perché lo zigomo va operato d’urgenza, rischiavo la vista, ma io decido di giocare lo stesso. Quando un giocatore vuole stare in campo, va lasciato. Mi viene in mente Beto, sempre con quella fame e quella voglia di stare in campo». La stessa che ha Gabriele Cioffi in panchina.