Intervista a Gigi Fresco, da 42 anni allenatore-presidente della stessa squadra

by Lorenzo Cascini
Gigi Fresco

Appena si apre la videochiamata la prima risposta che ci dà è già da titolo. «Io il Ferguson d’Italia? Sir Alex ha allenato lo United per 27 anni, io sono a 42. Tra poco lo doppio!» A parlare è Gigi Fresco, tuttofare della Virtus Verona da una vita. Presidente, allenatore, scout. Siede sulla stessa panchina da oltre quarant’anni anni, senza… la possibilità di essere esonerato. Se non per sua scelta. «Ho portato la squadra dalla terza categoria alla Serie C. Non credo di meritarmi di essere cacciato. Anche se ogni tanto ci ho pensato, tengo così al bene della Virtus che sarei disposto a farmi da parte».

Tra alta fedeltà e record mondiali

Gigi, 61 anni, risponde da casa sua.«Su questa scrivania preparo tutte le partite». Mentre ci racconta la sua storia si affaccia alla finestra e guarda il campo di allenamento della sua Virtus. Se la fa tutti i giorni a piedi, ma saranno 100 metri a dir tanto. Casa e bottega. «Vivo qui da sempre. Alleno le giovanili dal 1976, la prima squadra dall’82. Facevo tutto anche prima, poi sono diventato a tutti gli effetti presidente e allenatore. Adesso ho superato Guy Roux dell’Auxerre, stabilendo un record del mondo. Ne sono molto orgoglioso”.

«Siamo partiti da zero, posso dire di aver costruito sulla sabbia»

Alta fedeltà, sembra un romanzo di Nick Hornby. Un sentimento che si costruisce con il tempo, il lavoro e la fortuna di essere circondato dalle persone giuste. «Non sono mai stato solo nella gestione, c’è un amministratore delegato e tante figure che operano per il bene del club. Anche se io non mi perdo un allenamento, dagli esordienti alla prima squadra. Credo che il segreto sia la voglia, oltre al fatto di averci sempre creduto. Siamo partiti da zero, posso dire di aver costruito sulla sabbia, con un po’ di sana follia. L’obiettivo ora sarebbe conquistare la B, seguendo modelli come il Cittadella o il Sudtirol. Lì si potrebbe creare un esempio virtuoso di una società a conduzione familiare che si fa strada nel mondo del calcio».  Merce rara di questi tempi.

Baggio, Bruce Springsteen e la Bombonera

Durante il suo viaggio nel mondo del calcio di giocatori ne ha incontrati tanti. Oggi i senatori della Virtus Verona sono Danti, Hallfredsson e Juanito Gomez, con gli ultimi due che in passato sono stati protagonisti in Serie A. L’islandese, centrocampista di lotta, governo e muscoli, con le maglie di Hellas, Frosinone e Udinese, l’argentino con il Verona di Mandorlini prima e Delneri poi. C’è però un calciatore che rimarrà per sempre nella memoria di Gigi Fresco. «Roberto Baggio è il numero uno in assoluto». Non l’ha mai allenato – d’altronde Baggio non ha mai giocato nella Virtus – ma sono stati in tante occasioni compagni di viaggio, in macchina dal Veneto fino a Coverciano. «Facevamo insieme il corso per il patentino da allenatore. Roby è uno spasso. Una persona divertente, umile, simpatica. In quei viaggi parlavamo molto, quasi mai di calcio. È uno che ha tanti argomenti. Ti potrei raccontare una marea di aneddoti». 

Qui Gigi si ferma e scoppia a ridere. «Scusa mi fa sorridere a ripensarci oggi». Poi riparte. «Era un grande appassionato di Bruce Springsteen, ascoltavamo quasi solo lui per tutto il tempo. Alla fine sono diventato un fan pure io. E poi c’è il Boca. Ogni tanto partivamo la domenica pomeriggio, così la notte arrivavamo a Coverciano e guardavamo la partita. Eravamo nella stessa stanza. Prova a immaginarti Baggio che diventa un ultras de la Bombonera, che segue tutte le partite e conosce tutti i cori. Capisci ora perché ridevo?». Comprensibile. Storie di vita che Fresco conserva con cura. Ricordi che non dimenticherà mai.

Ora però è tempo di riavvolgere il nastro e tornare al presente. Dopo mezz’ora di chiacchierata lo salutiamo e lo lasciamo ai suoi ragazzi. Sta iniziando l’allenamento. «Magari ci sentiamo al prossimo record battuto!». O magari dopo la promozione. Ma guai a dirglielo. Gigi sta vivendo un sogno e non vuole per nessun motivo aprire gli occhi. «Sarebbe la chiusura perfetta di una scalata che parte da lontano, ma per ora pensiamo a lavorare bene. Sarà poi il campo a parlare». D’altronde un pezzo del suo cuore è lì, su quel campo a 100 metri da casa sua. Da più di quarant’anni.