Caso: «La mia storia dalla C allo stage in Nazionale. Ora la A col Frosinone»

by Lorenzo Cascini
Giuseppe Caso

«Non può piovere per sempre». La storia di Giuseppe Caso si racconta così, prendendo in prestito la frase più famosa di “The Crow”, film cult di una trentina di anni fa diretto dall’australiano Alexander Proyas. È in questo modo che il protagonista Eric Draven – interpretato da Brandon Lee  – rassicura Sarah, la migliore amica della sua ragazza scomparsa un anno prima. Caso questa scena non l’ha mai vista, anche se al momento del paragone fa un sorriso che sembra voler dire «Ci hai preso in pieno, è proprio così». Già, perché Giuseppe, attaccante di 24 anni, oggi è la stella del Frosinone di Grosso. ma il suo percorso è passato anche da porte chiuse in faccia e sogni infranti. Il segreto è continuare a correre senza guardarsi indietro. Con calma ci arriveremo. Ecco però intanto i punti in comune con la frase del film. Non può piovere per sempre, appunto.

La prima difficoltà: l’addio alla Fiorentina

Il presente dice maglia numero dieci, quattro gol e tre assist con i gialloblù. «Il primo grazie va a Grosso, ha creduto in me fin dal ritiro dandomi spazio e fiducia. Ancora adesso mi prende spesso da parte, mi fa vedere tanti video e mi spiega i movimenti. È scrupoloso in tutto, attento al singolo dettaglio. Ma ha permesso a ognuno di noi di crescere e migliorare».  Metodo vincente. Il secondo ringraziamento, invece, è per i compagni. «Siamo una squadra partita senza giocatori affermati, ma da cui usciranno 25 grandi nomi. Tanti giovani, forti e con voglia di emergere. Abbiamo un grande gruppo».  

Parlavamo però di porte prese in faccia. La prima arriva nel 2018, quando la Fiorentina gli dà il benservito dopo dieci anni nel settore giovanile. «Ho finito il mio ciclo della Primavera da capitano, poi ho iniziato a girare».  È chiuso da Chiesa e Sottil, per lui non c’è spazio. Deve andare via. Ci resta male, ma alza la testa e riparte. Primo scoglio da superare. A Firenze però resta legato da ricordi indimenticabili, ha fatto tante volte il raccattapalle al Franchi e poi ha avuto la possibilità di allenarsi con i campioni che guardava con gli occhi di un bambino che sogna. «Te ne racconto una che mi porterò per sempre. Si giocava Fiorentina-Lione, entro nel tunnel mano nella mano con Dainelli, che era il capitano. Ero il primo della fila perché ero il più basso. Alzo lo sguardo e mi trovo davanti un giovane Benzema, fu impressionante e lo è ancora di più a ripensarci ora. Giocare lì resta il mio sogno. Quando entrerò li, passando dal tunnel, sarà come tornare indietro di vent’anni». 

In mezzo alla chiacchierata, parlando della Fiorentina, Giuseppe tira fuori un aneddoto. Lo fa fotografando un momento preciso. «Era il giorno del 4-2 alla Juventus, tripletta di Pepito Rossi. Ci credi se ti dico che poi la sera a cena con lui c’ero io? Aveva un’umiltà unica, aveva appena segnato tre gol alla Juventus e stava a cena con un ragazzino della primavera. Ti fa capire che persona è. Mi ha sempre preso sotto la sua ala, mi proteggeva. Quando ci siamo visti lo scorso anno, dopo un Cosenza-Spal, gli ho chiesto la maglia. La conservo ancora oggi con cura». 

Giuseppe Caso, il riscatto con Bisoli e il sogno azzurro

Durante il viaggio nei suoi ricordi, sogni e delusioni si incrociano spesso. Il presente e i risultati ottenuti con il Frosinone sono il risultato di tante picconate, che colpo dopo colpo affondano nella roccia. Con calma, dribblando ostacoli e difficoltà. Dopo la Fiorentina si trova a girare un pò: Cuneo, Arezzo e poi il Genoa, che lo compra a titolo definitivo. «Sono arrivato a Pegli dopo anni di Serie C. Il primo impatto è stato incredibile, da gente come Strootman o Pandev si deve solo imparare e prendere appunti. Goran è molto attento ai giovani, li stimola e non si fa problemi a trattarli come tutti. O almeno con me è stato così. È entrato con me nel giorno dell’esordio contro la Juventus». 

Qui Caso si ferma, come a voler catturare il momento, afferrarlo al volo e farlo suo. «Non so neanche come raccontartelo a parole. Giocavamo contro la Juve, dopo il gol di Cristiano Ronaldo, Maran si gira verso la panchina e grida ‘Caso e Pandev entrano adesso’. Non l’ho veramente realizzato per qualche giorno. Sono tornato in spogliatoio e avevo il telefono pieno di messaggi. Sembrava il mio compleanno. Il più importante? Quello di mio padre. La mia famiglia è stata sempre vicina, soprattutto quando le cose non andavano bene. A Genova per tanti mesi ho fatto fatica, non venivo convocato e non ero considerato. Per me la partitella del giovedì valeva come la finale di Champions. Grazie a loro non ho mai mollato». 

Giuseppe con il Genoa ha giocato due volte in un anno, sempre da subentrato, poi è stato mandato a cercare fortuna altrove. Altra porta in faccia, altra botta. Anche stavolta fa male. Va a Cosenza e riparte. Li ha trovato fiducia e minuti, per poi esplodere a Frosinone con Grosso allenatore. «È stato uno step fondamentale per la mia crescita. Con Bisoli ho avuto tanto spazio, gli devo molto». Anche da qui pesca un ricordo. «Conquistare la salvezza, da protagonista, è stata una grande soddisfazione. Soprattutto perché a inizio anno ci davano per spacciati. E pensa che lo stesso giorno che ci siamo salvati mi è arrivata la chiamata per lo stage in nazionale. Un sogno». 

Per Caso entrare a Coverciano e vestire la maglia azzurra è stato come tornare indietro nel tempo, a quel bambino che a Firenze – a pochi passi da lì – sognava un giorno di indossarla. Lo ha realizzato. «Sono rimasto impressionato da Mancini, attento a ognuno di noi in tutto e per tutto».  L’obiettivo ora sarà tornarci. Magari grazie al Frosinone e alla Serie A. La scalata è stata lunga e lo sarà ancora, basterà solo non smettere di crederci. Chissà che cosa succederà, ma i presupposti per puntare in alto ci sono tutti. Magari quel bambino che entrava al Franchi mano nella mano con Dainelli, tornerà lì, stavolta da protagonista.  D’altronde non può piovere per sempre.