Gnonto, l’intervista: «Mi ispiro a Sterling, alla mia età non puoi stare in panca»

by Francesco Pietrella
Wilfried Gnonto

Un diciottenne a Zurigo con tre ‘mastini’ alle calcagna. Due in famiglia e uno in campo. Wilfried Gnonto è circondato da angeli custodi. Il primo è papà Boris, quello che lo accompagna al campo e poi lo va a riprendere: «Non ho ancora la patente, in Svizzera è più complicato. Non ci sono il foglio rosa, le guide e tutto il resto, quindi aspetto». 

Angeli custodi

Il secondo è sua madre, quella che gli prepara la cena quando torna a casa. L’ultimo, ma fondamentale, è Blerim Dzemaili, vecchio mediano di Bologna e Napoli arrivato a Zurigo per vincere il campionato. «Nello spogliatoio siamo vicini e mi massacra in senso buono. Consigli, dritte, strigliate, mi dice sempre di lavorare in silenzio. Lui ha 35 anni, io 18, è un esempio in tutto ciò fa». E se la ride. Lo fa spesso. La chiacchierata con Wilfried fila via in mezz’ora tra risate continue, aneddoti sparsi. È giovanissimo, ma ragiona da adulto. Quando gli chiedi del futuro dribbla bene: «Per ora mi godo Zurigo. Siamo primi, abbiamo 12 punti di vantaggio sul Basilea e vogliamo il campionato. Manca da 13 anni». 

Sterling e Leo

Punta veloce e fisica, un po’ esterno e un po’ numero 9, Willy ha idoli chiari fin da piccolo: «Mi ispiro a Sterling, ma se gioco a calcio è grazie a Messi». Quest’anno ha segnato 10 gol tra campionato e coppe, sei di questi partendo dalla panchina. Media curiosa la sua, una rete ogni 99’, 7 partite da titolare e 21 da subentrato. «Con Dzemaili ogni tanto ci scherziamo su. ’Quando parti dal 1’ sei più scarso’, dice. Non so perché, forse sono più carico, ma quando entro faccio sempre bene». 

Latino e tedesco

Gnonto è arrivato a Zurigo a 16 anni insieme alla famiglia, dopo una vita nelle giovanili dell’Inter. Dadaista nelle scelte, lì dov’è nato il movimento più di cent’anni fa, nella Svizzera neutrale durante la prima guerra mondiale. ‘Dada’, cioè? Nulla. Il rifiuto degli standard dell’epoca attraverso le opere. Gnonto l’ha fatto con il il calcio. «Volevo giocare. Prima di venire qui ho pensato molto, dai 9 ai 16 anni ho sempre giocato nell’Inter, per me esisteva solo la maglia nerazzurra, ma la dirigenza mi ha fatto subito capire che avrei avuto il giusto spazio. Alla mia età non puoi stare in panca». Ora sa anche il tedesco: «Ho preso lezioni private. Studiare mi piace, frequentavo il liceo classico, la mia materia preferita era il latino, poi ho cambiato scuola perché non riuscivo a conciliare». Testa sulle spalle, umiltà, la famiglia l’ha educato bene. Lo ‘marca stretto’ anche ora: «Nel tempo libero gioco alla play ed esco con amici e compagni. Sono un tipo tranquillo». 

«Sulle gambe di papà»

Si vede. «Il gol più bello resta quello allo Young Boys, 1-0, decisivo. Il primo contro una big. Loro e il Basilea vincono da sempre, ora tocca a noi». Se chiude gli occhi si rivede bambino a Verbania, in Piemonte, dove vedeva le partite dell’Italia sulle gambe di papà. «Sono ivoriani. Mio padre ha fatto l’operaio, mia madre la cameriera, non mi hanno mai fatto mancare nulla. Abitavamo sopra un campetto. Forse era destino, non so, ma quando guardavo dalla finestra vedevo solo il pallone. Spesso scendevo a giocare fino a tarda sera». A 9 anni è arrivata l’Inter: «Dopo due stagioni a Suno, scuola calcio affiliata ai nerazzurri, ho fatto alcuni provini. Andavo ad Appiano una volta a settimana e poi tornavo a casa, alla fine mi hanno preso». Sogno realizzato: «Ho fatto parte di una generazione forte. Io, Esposito, Stankovic e tanti altri». 

«Amico mio, sei forte»

‘Seba’ è uno dei suoi migliori amici, oggi gioca e segna al Basilea. A un’ora e mezza di macchina da lui: «Quando ci siamo affrontati a febbraio è stato strano, ma bello. Io ho segnato, lui è entrato nel secondo tempo. Ci conosciamo da una vita, abbiamo vissuto in convitto tanto tempo. Tre anni fa ho preso il suo posto al Mondiale U17, prima di ogni partita mi spronava con messaggi e incoraggiamenti. ‘Stai tranquillo amico mio, sei forte, credici’. Alla prima partita faccio gol. Fin qui è stata l’esperienza più bella mai fatta. Io sono nato in Italia, mi sento italiano, la Costa d’Avorio non mi ha mai chiamato. I miei genitori vivono qui da più di vent’anni, ricordo l’Europeo del 2012 visto in piazza davanti a un maxischermo, con papà e miei amici. Qualche anno dopo ho rappresentato gli azzurri. Se ci penso mi vengono i brividi». 

Spallata di D’Ambrosio

Prima di lasciare l’Inter si è allenato con la prima squadra: «All’inizio è stato strano. Li vedevo allo stadio, dall’alto, e sembravano tutti piccoli, poi mi sono trovato accanto e a loro e ho pensato ‘sì, è tutto vero’. Avevo 15 anni. Ricordo una palla a mezza altezza, vado per prenderla di testa e finisco a terra senza neanche capire come. D’Ambrosio mi aveva buttato giù con una spallata. Un altro mondo». Lasciato per lo Zurigo: «Vincere un campionato a 18 anni sarebbe fantastico». E un ritorno in Italia? «Ora sono felice qui, poi non si sa mai».