a cura di Giacomo Brunetti

Il progetto del Südtirol è qualcosa che non ti aspetti

Siamo stati in Trentino Alto-Adige per scoprire da vicino la prima squadra della regione che parteciperà alla Serie B, tra impianti incredibili e una struttura societaria sui generis

Esistono luoghi in cui non ti aspetti di trovare qualcosa. Quando varchi il confine del Trentino Alto-Adige, sei pronto a incrociare enormi distese di alberi incastonati nell’erba tra due immensi versanti verdi ma rocciosi. Senti il fresco della sera nelle ossa e il caldo del giorno sulla testa. Ti aspetti le piste da sci, le infinite camminate. Non ti aspetti di trovare il calcio, ed è proprio questa la concezione che sta provando a ribaltare il Südtirol, la prima squadra della regione ad aver raggiunto la Serie B. Ci giocherà quest’anno, dopo una stagione trionfale in Serie C da 90 punti conquistati e solo 9 (!) gol subiti, eguagliando il primato della Reggiana nel 1971. Solo l’Ajax, nel 2021-2022, si è avvicinato agli altoatesini nei campionati professionistici europei, con 19 reti incassate. Siamo stati a Bolzano, la casa del Club, ospiti di una società che sta cercando di riscrivere le coordinate del pallone a quelle latitudini attraverso un modello organizzativo unico in Italia: la public company.

 

Abbiamo incontrato Dietmar Pfeifer, amministratore delegato del Südtirol che, come suggerito dal nome, non si pone l’obiettivo di rappresentare soltanto una città, ma l’intero Alto-Adige. Il concetto che ci ha intrigati nel raccontarvi questa storia, oltre a scoprire il calcio in una zona non propriamente legata ad esso, è quello di identità, tanto forte da unire ben tre gruppi linguistici e culturali: quello italiano, quello tedesco e quello ladino. Il Südtirol è l’unico club di calcio professionistico tra Innsbruck, in Austria, e Trento, dove il derby è tornato la scorsa stagione dopo 20 anni.

 

 

 

 

Nella casa della squadra professionistica più a nord d’Italia, l’FCS Center, di cui vi parleremo più tardi, il co-responsabile della comunicazione Manuel Insam ci ha accompagnati nella sala riunioni, dove campeggia un maestoso logo in legno. Qui l’AD ci ha subito mostrato la struttura e il modello intrapresi nel 1995, quando fu rilevato il titolo sportivo dell’SV Milland, a Bressanone, per creare il professionismo nella provincia: «Il nostro vantaggio è non avere una sola persona a capo della società, ma un gruppo di imprenditori che sono i proprietari senza maggioranza. Sono 32 soci e i vertici sono i medesimi da anni: il nostro direttore sportivo è qui da 4 stagioni, quello prima è rimasto 7 anni. L’idea è nata quando alcuni imprenditori hanno pensato di volere il calcio professionistico in provincia e da quel momento è partito tutto. Noi vediamo questa squadra come una mission per portare il calcio che conta a più persone possibili. Abbiamo camp estivi, dove accogliamo più di 1000 bambini. Abbiamo più di 180 sponsor che ci sostengono, tantissimi del territorio: un vanto».

 

Dietmar Pfeifer è una delle chiavi del successo del Südtirol. Nel 2006 ha rivoluzionato il Club, creando un nuovo progetto marketing e una radicata struttura di soci e partner, implementando anche il settore giovanile. «Il calcio è sempre stato seguito in Alto-Adige, se andiamo tra le valli sono presenti tante strutture all’altezza e con tecnologie innovative. Mancava un punto di riferimento: possiamo essere noi. Abbiamo cercato da subito il sostegno sociale nel calcio e abbiamo notato un’accelerazione dei risultati sportivi grazie a un lavoro di costanza e coerenza. Il sostegno nei nostri confronti è progressivamente aumentato e ciò ci rende orgogliosi. La conferma che abbiamo scelto correttamente. Il nostro stadio è piccolo, ma nuovissimo. Visione di gioco all’inglese, senza curve e con 5500 posti disponibili. Vogliamo realizzare diversi sold out in Serie B».

 

 

 

 

La public company pone a capo dell’azienda numerose persone. La fiducia e la capacità nel delegare è fondamentale: «A volte aiuterebbe avere un proprietario fisso, che in caso di emergenza possa compensare autonomamente ai buchi economici, però è il nostro stile operativo e ne siamo fieri. Ci ha permesso di andare sempre avanti con certi risultati. I soci maggiori sono all’interno del CdA: devo ammettere che non sempre si può chiedere a tutti e 32 di poter investire su ogni nostra singola richiesta. Ma il CdA è compatto e si occupa delle scelte decisive. La cosa interessante è che anche se sento la piena fiducia da parte loro, posso imparare a fare ancora meglio il mio lavoro, perché prima di essere soci del club sono imprenditori di grandi imprese come Forst o Duka e conoscono i meccanismi societari di una grande azienda. C’è un contatto quasi quotidiano. È importante il rispetto dei ruoli. Perché se una persona è in un determinato ambito è perché si immagina che possa fare la migliore scelta possibile. Ma è bello che ci sia comunque il coinvolgimento di tante persone per migliorare il dialogo prima delle decisioni, perché si cerca di trovare il punto d’incontro: tutto questo con un solo fine, il lavoro. Se si perde la forza della delega diventa un fantacalcio e si stravolge il senso reale delle cose».

 

Il Südtirol si contraddistingue per una crescita lenta, ma continua e vincente. Nessun azzardo, anche dal punto di vista economico. La scalata alla Serie B è arrivata facendo solo i passi permessi dal budget e dalla strategia, impostata pluriennalmente. In quest’ottica, è fondamentale avere delle figure che lavorano qui da tantissimi anni. Sia in dirigenza, sia nel reparto sportivo. Abbiamo chiesto a Pfeifer quali siano le basi che hanno inciso in modo decisivo sui risultati degli ultimi anni. Qui in Alto-Adige non si può parlare di exploit. «In prima battuta, fondamentali sono state le infrastrutture: l’FCS Center e lo stadio Drusio. Importante è stato il rafforzamento dell’organizzazione dei soci, che ha ingrandito il numero degli sponsor coinvolti, alzando conseguentemente il budget. Fondamentale era non fare l’errore di spendere in due anni capitali importanti e rischiare di far male per poi crollare di colpo e perdere tutto. Nello sport ci sono troppe variabili, puoi buttare i milioni, ma se non ci sono progettualità, programmazione e logica di investimento, non si va avanti, campi qualche anno di fortuna, ma poi crolli e perdi di credibilità. Invece, quando costruisci di stagione in stagione, ti evolvi in maniera graduale. Se penso a 10/12 anni fa, ogni giocatore minimamente forte lo vendevamo istantaneamente da ragazzino per poter fare cassa. Siamo migliorati da questo punto di vista e senza fare mai debiti».

 

Nonostante nessuno sia in maggioranza, ci sono ovviamente soci con più quote e altri, di aziende minori, con meno quote, ma nonostante questo vengono trattati in maniera uguale. Regola n°1: spendere quello che si possiede, «evitiamo i rischi e i pericoli di spese per giocatori di un certo livello, non possiamo permettercelo. Negli ultimi due anni abbiamo aumentato il budget, ma semplicemente perché abbiamo aumentato i ricavi con la crescita della società potevamo permettercelo. Siamo l’esempio che se spendi bene puoi farcela, ma prima di tutto devi sapere bene come trovare i soldi da spendere. È uno stimolo che ti porta a dire ‘con 10 devi fare 500’. Non ci riesci? Ma magari l’anno dopo arrivi a 30 e poi 60 e così via. Ma sei partito da 10. Quando conosci lo sforzo per arrivare ai soldi, prima di rischiare ci pensi 3-4 volte».