Il frontman di una rock band guida la rivelazione del campionato argentino

by Mattia Zupo
Insuà

A primo impatto sembra che la lancetta per lui si sia fermata. Capello lungo, barba, giacca nera di pelle, jeans (a volte anche strappati) e scarpe bianche, ma ha indossato anche pantaloni rossi con mocassini neri. Uno stile rock anni ‘70-‘80, quelli che considera i migliori nel calcio e allo stesso tempo nella musica e nella vita, perché era l’epoca in cui giocavano i campioni del Mondiale 1978 e del 1986, dei successi internazionali delle formazioni argentine e in cui anche lui giocava da centrocampista. Quello di Rúben Dario Insúa è un vero e proprio ritorno al futuro. Dopo 20 anni in giro per il resto del Sudamerica, intervallati da una breve esperienza al Talleres nel 2008 con allenamenti che duravano 5 ore, il 62enne è tornato in Argentina nell’aprile 2022 per allenare il San Lorenzo, la squadra del suo cuore, con cui era retrocesso da giocatore per poi riportarla in Primera e che aveva lasciato da allenatore con il trionfo della Copa Sudamericana nel 2002. «Torno per vincere», aveva detto al momento del suo ritorno. Dalla lotta per la retrocessione dello scorso settembre alla qualificazione alla Copa Sudamericana e ora il secondo posto attuale nella Liga Profesional. La Gloriosa Butteler, la curva dei tifosi azulgrana, gli ha già dedicato un coro: «Este es el Gallego Insua que volvió a Boedo para ser campeon».

 

Rúben Dario Insúa e un San Lorenzo rock ‘n’ roll

L’allenatore argentino ha restituito un’identità a una squadra che da troppo tempo viaggiava nei bassifondi della classifica, con lo spettro del promedio e diversi problemi societari. Oltre a un duro confronto con l’ex presidente Marcelo Tinelli, Insúa ha dovuto far fronte a diversi casi spinosi, come il mancato rinnovo del capitano Federico Gattoni, difensore centrale che a giugno andrà al Siviglia, ma che per sua decisione non è stato messo fuori rosa. Un elemento troppo importante, per leadership e valore tecnico. Per il resto ha valorizzato alcuni singoli, come il centravanti sloveno Vombergar, il giovane Leguizamón, il terzino destro Giay e quello sinistro Braida, diventato titolare dopo la cessione a campionato in corso di Fernandez Mercau all’Elche, e si è affidato ai 156 cm di fantasia concentrata del Perrito Barrios.

Il no al Barcellona e alla Spagna per amore dell’albiceleste

In patria lo chiamano El Gallego per le origini galiziane dei suoi genitori, mentre in Ecuador e in Colombia è El Poeta. Da giocatore, Insúa aveva rifiutato il trasferimento al Barcellona durante una tournée in Spagna con la nazionale argentina. Per firmare con i catalani avrebbe dovuto rinunciare alla maglia albiceleste. Quindi no. In Spagna ha giocato con la maglia del Las Palmas, al Barça si è trasferito comunque e lo ha anche allenato, ma quello degli ecuadoriani di Guayaquil. Deportivo Quito, El Nacional, Deportivo Cali poi le esperienze in Bolivia e in Perù. Tappe di una carriera caratterizzata da successi, esoneri, look insoliti e qualche cabala, anche se sostiene di non averne. «L’unico modo è lavorare sodo ogni giorno, allenarsi con doppi turni, concentrarsi prima delle partite, avere buoni giocatori e l’unione tra staff tecnico, rosa e tifosi», questo il suo credo spiegato durante una conferenza stampa alla guida del Deportivo Quito.

Una camicia di quasi 40 anni e altre abitudini

 

In più di qualche foto però, Insúa indossa una camicia marrone, color terracotta, comprata nel 1977 nel Riocentro di Samborondón che conserva tuttora in un armadio e che ha sfoggiato in tante occasioni importanti: nella vittoria della Sudamericana con il Ciclónquando ha ottenuto la promozione in Ecuador con la LDU di Portoviejo nel 2019, o nella vittoria del Clàsico di Córdoba contro il Belgrano. Come si è potuto capire, la moda non la segue, si veste con quello che gli piace. Da quando è tornato alla guida del San Lorenzo ha spostato la panchina vicino alla tribuna. Proprio come 20 anni fa. Un ritorno al passato, che riguarda anche l’abitudine di svolgere un allenamento a porte aperte a settimana e alla vigilia della partita parlare con i giornalisti in cerchio accanto al campo di allenamento, e non in conferenza stampa. Niente banner pubblicitari e sponsor. Annota tutto su un quaderno giallo e la sera dedica 11 minuti alla lettura delle notizie che riguardano lui o la sua squadra. Di solito svela anche la formazione con un giorno di anticipo e di recente ha anche iniziato a indossare una maglia nera che gli ha regalato un tifoso sotto la solita giacca di pelle.

 

Cresciuto nel barrio Parque Chacabuco a Buenos Aires, da adolescente ha lavorato in una fabbrica di sedie prima di essere cacciato per una rissa con un collega. A scuola studiava poco, ma se la cavava, anche se gli insegnamenti più importanti gli ha appresi all’Università della strada, come ama definirla. Insúa non va in chiesa, ma è devoto alla Vergine di Luján e a San Expedito, in politica si identifica con Fidel Castro o Che Guevara. Oltre al calcio ama la boxe, non beve vino, ma ha una grande passione per il caffè bollente, beve le bibite dopo averle sgasate e toglie la mollica ai croissant, gli piacciono le uova sode e il formaggio, ma non mangia frutta e verdura. Padre di 3 figli, 2 dei quali giocano rispettivamente nel Barracas Central e nel Miami United, oggi frequenta ancora i soliti posti di sempre a Villa Luro. Il tempo passa, ma per Insua non è cambiato niente.