La genesi di Cristiano Ronaldo: intervista al primo ds Carlos Freitas

by Giacomo Brunetti

di Giacomo Brunetti

Carlos Freitas riporta la mente a uno degli affiancamenti più abusati del Portogallo. Nasce giornalista, a Lisbona, proprio come il Pereira di Tabucchi. Tra il 1992 e il 1998 gira le redazioni sportive di Diario de Noticias, Record e O Jogo. Il calcio come filo conduttore che lo porta a lasciare la tastiera e diventare agente: pochi mesi ed entra nello Sporting Lisbona, partendo da consigliere d’amministrazione fino all’ascesa a dirigente. È il 1999. Quando scrive per O Jogo, la società lusitana ha prelevato dal Nacional il tredicenne Cristiano Ronaldo.

«Il coordinatore tecnico del settore giovanile, Jean Paul, mi diceva: ‘Carlos, noi abbiamo l’attaccante quindicenne più forte del mondo’. Se una persona ti dice così, la curiosità nasce dentro di te. Cristiano faceva progressi quotidiani e a 17 anni era già pronto per debuttare in Prima Squadra. Ricordo ancora: preliminare di Champions League contro l’Inter nell’agosto 2002. Era facile rimanere impressionati dalle sue qualità, ma all’interno dell’Accademia si discuteva piuttosto di un altro fattore. ‘Cristiano, qual è il suo ruolo?’, perché lui faceva l’esterno di destra o di sinistra, oppure la prima punta: dribblava bene, crossava bene, dentro l’area saltava più degli altri. E infatti ha ricoperto tutte le posizioni offensive». Averne di dubbi e incertezze così. Il mirino di Cristiano era già calibrato verso il successo.

L’inizio fu con il botto: doppietta al Moreirense alla prima con i grandi. «Come non ricordarlo: sua mamma era in tribuna e dall’emozione si sentì male, perse i sensi», ci racconta Freitas. E la domanda sorge spontanea: era maniacale fin da ragazzo? La risposta è esauriente: «Quando è arrivato a Lisbona a 13 anni era piccolo per l’Accademia. Tutti i giovani che arrivavano da fuori abitavano in un piccolo hotel e andavano direttamente al campo. Lui ogni tanto rimaneva allo stadio per lavorare in palestra, al punto che il personale per la manutenzione doveva andare a spegnere la luce perché altrimenti lui restava lì».

 

 

«Cristiano non lo scopri, hai solo l’onore di lavorare con lui»

Carlos Freitas ha seguito la crescita esponenziale di CR7 nell’esperienza allo Sporting Lisbona. «È uno che ho avuto la fortuna di incrociare. Dico così perché nessuno si può permettere di dire che lo ha scoperto. Con Ronaldo puoi soltanto avere la fortuna di lavorare, non lo dico per ipocrisia. Lui è uno con cui ho avuto la fortuna di lavorare», diretto e conciso. «Ho accompagnato il suo sviluppo e la trattativa per portarlo al Manchester United. Ogni volta che l’ho incontrato, anche in Italia, mi ha sempre dato la sua maglia. A Madrid, dopo l’amichevole tra Real Madrid e Fiorentina, mi ha regalato la sua Sette. Siamo rimasti in buoni rapporti, anche con la madre».

Uno dei motivi per cui Freitas è collegato strettamente a Ronaldo è proprio il trasferimento di quest’ultimo al Manchester United. Una trattativa sulla quale è stato detto tutto, forse. Il diretto interessato ce l’ha impressa. «La prima squadra che lo ha approcciato con decisione fu l’Arsenal. I dirigenti vennero a Lisbona nei nostri uffici e ne parlammo, ma non trovammo l’accordo. Poi ci fu un’offerta del Parma, non ci interessavano le loro cifre. E infine arrivò lo United: all’epoca il secondo di Ferguson era Queiroz e pensammo a una cooperazione tra le due società. Venne fuori il nome di Cristiano, volevano lasciarlo in prestito a Lisbona dopo averlo acquistato. Il 26 agosto 2003, per il compleanno di mia figlia, giocammo nello stadio nuovo in vista dell’Europeo del 2004 contro lo United. Loro venivano da una tournée in America e soffrivano il fuso orario. Per loro fu un massacro. O’Shea soffrì come mai nella sua carriera. Alla fine del primo tempo i due fratelli Neville chiesero: ‘Ma è il 28 di cui si parla per farlo venire da noi?’. E Ferguson rispose: ‘Sì’. A fine partita, Ferguson rimase a Lisbona chiedendo un appuntamento: alzò l’offerta e lo prese subito».

Un altro che aveva già intrapreso la stessa rotta era Nani. Dallo Sporting a Manchester. E poi Quaresma, Hugo Viana, che «andò al Newcastle dopo aver vinto il campionato insieme a Quaresma, che due anni dopo il titolo andrà al Barcellona. Giocavamo con un 17enne Ronaldo a sinistra e un 18enne Quaresma sulla destra. Nani arrivò in tarda età, verso i 19 anni, da una piccola squadra della periferia di Lisbona. Tecnicamente anormale. Dal primo momento è diventato una soluzione per la Prima Squadra, dall’Under-19 alla Champions League contro Spartak Mosca, Bayern Monaco e Inter».

 

 

«Il talento che aveva colpito anche CR7»

Carlos ha incontrato tanti giocatori lungo il suo cammino. Alcuni buoni, altri che sembravano potessero diventare qualcuno. Uno, in particolare. «Quando Cristiano è arrivato a Lisbona c’era un ragazzino forte nelle giovanili. E pensa che qualche anno più tardi, quando Ronaldo era a Manchester, ha rilasciato un’intervista in cui parlava di lui. Credimi, sono buono: andate a vedere Fabio Paim». Freitas ci tiene a sottolineare quanto fosse forte Paim, e mi fa lo spelling: P di Palermo, A di Ancona, e così via. Il suo nome deve rimanere impresso. «Era uno dei talenti più assurdi che io abbia mai visto. A 17 anni lo voleva il Chelsea, subito. Lo Sporting fece uno sforzo economico tremendo per tenerlo, ma la testa non ha accompagnato il talento che aveva. Aveva tutto per diventare un giocatore di livello mondiale: veloce, uno contro uno, assist e gol. Cosa vuoi di più?». In effetti.

 

 

«Ilicic, Ninis e la classe dei Fede»

La prima esperienza fuori dal Portogallo, Freitas l’ha intrapresa per alcuni mesi in Grecia, al Panathinaikos. Qui trova un talento ancora grezzo, e che rifinito non diventerà mai: Sotiris Ninis, per anni astro nascente del calcio ellenico. «L’ambiente in Grecia – ci spiega Freitas – non è adatto alla crescita dei talenti. Non parlo di professionalità, ma non è lo stesso che puoi trovare in Belgio, in Italia, in Inghilterra, in Spagna o in Olanda. C’è una forte mancanza di competitività dovuta anche allo strapotere dell’Olympiacos. I greci, se guardi nella Nazionale minore, sono forti. Poi perché non si sviluppano? Credo sia un problema di mentalità: la vita è facile lì per i calciatori e non è altrettanto facile spiccare il volo quando devi fare sacrifici. Soprattutto prima della crisi ad Atene pagavano molto bene. Ma Sotiris aveva tutti i mezzi per fare una carriera migliore, neanche maggiorenne giocava in una squadra che ha vinto a Roma per 3-2 ed è stato fondamentale nello scudetto 2009».

Dalla Grecia alla Francia, dove diventa Direttore Sportivo nel 2015. «A Metz ho conosciuto Palomino. Sono arrivato lì nel 2015 e José Riga lo schierava nei quattro difensori, titolare indiscusso per velocità, uscita di palla e forza di testa. Cambiò il tecnico prima di Natale, fu nominato Philippe Hinschberger, che lo mise in tribuna. Non giocava. Quando sono andato a Firenze, lui è andato in Bulgaria al Ludogorets per prendersi la propria rivincita. E direi che se l’è presa. Ha un grandissimo carattere e gli voglio bene», ma il legame con l’attuale Atalanta non termina qui.

Nel 2016, infatti, arriva a Firenze. In rosa c’è Josip Ilicic, che è una seconda linea di tutto rispetto ma troppo, troppo discontinua. «Ricordo di una partita a Empoli. La Fiorentina vinse 4-0, Josip fece doppietta in una gara strepitosa. Faccio un paragone tra lui e Mati Fernandez. Sono giocatori che hanno bisogno di essere importanti, coccolati. Due giocatori di assoluto talento che hanno bisogno di non sentirsi uno in più, ma neanche quelli attorno a cui la squadra gira intorno. Un altro esempio è James Rodriguez: ha bisogno di essere figura importante, poi la qualità deve tirarla fuori. Merito a Ilicic che si è messo in gioco andando a Bergamo, chapeau a Gasperini per fargli tirare fuori tutto, così come con Gomez. Ricordo che trovai il Papu nel 2012/2013 in Europa Leauge quando giocava al Metalist in Ucraina, era un ottimo giocatore».

In quella squadra giocavano anche due certezze del calcio italiano: Federico Chiesa e Federico Bernardeschi. In particolar modo il primo viene scoperto proprio sotto la sua gestione e lanciato da Paulo Sousa. «In Primavera non era titolare, ma quando sono arrivato a giugno 2016 era già stato deciso che dovesse restare in rosa. La scelta fu di Paulo Sousa, ha il merito di averne riconosciuto le qualità. Lo fece esordire contro la Juventus in una posizione leggermente più centrale rispetto a quella d’esterno che lo ha successivamente caratterizzato. E Federico ha fatto tutto per meritarsi la fiducia. Ricordo anche la scelta di Gaetano Castrovilli: un’intuizione di Pantaleo Corvino, una sua scommessa personale».

Non è finita, perché un’ultima considerazione ce la regala anche su Bernardeschi, adesso alla Juventus. «Federico è un ragazzo eccezionale, calcisticamente gli riconosco una qualità tremenda per giocare ad alti livelli. Ti dicevo che la Grecia si identifica per alcune cose, e così anche l’Italia: un giocatore di 24 o 25 anni non viene considerato ancora esperto, non è maturato. In altri paesi a 22 o 23 anni puoi avere più di una esperienza. Se Bernardeschi avesse 10 partite di fila metterebbe tutto quello che ha. Non è facile farle nella Juventus, ma ha qualità individuali indiscusse. In certi momenti Ferguson ha messo Beckham in panchina: così fece Sousa con Bernardeschi, se un allenatore ti fa riposare vuole aprirti gli occhi. Non è una punizione, fa parte della traiettoria di tutti i professionisti».