a cura di Cosimo Bartoloni, Giacomo Brunetti, Andrea Consales, Matteo Lignelli e Francesco Pietrella

Cinque storie dell’Iran.

L’Iran è al terzo mondiale di fila, il sesto in assoluto. Arriva in Qatar con il blocco storico – Beiranvand, Hajsafi, Jahanbakhsh, Taremi, Azmoun – e il solito Queiroz, l’allenatore santone. 

 

Usa-Iran, più di una partita

 

L’Ayatollah Khomeini li chiamava il «Grande Satana» e ha costruito la rivoluzione islamica contro di loro, l’Occidente tutto e i suoi costumi. Gli Stati Uniti, di contro, hanno isolato e sanzionato il Paese per trent’anni. Hanno architettato una delle più grandi operazioni dell’intelligence per riportare a casa funzionari dell’ambasciata rimasti a Teheran nel ’79, e tutto si è saputo solamente dopo. A tal proposito è consigliato Argo, film da Oscar con Ben Affleck del 2012. Insomma, Iran-Stati Uniti è più di una partita. È storia, geopolitica, rapporti diplomatici, influenza, egemonia, ma anche un remake di quanto già successo al Mondiale francese del 1998. Quel giorno, al primo vero confronto dopo anni di silenzio, l’Iran rifilò due schiaffi agli USA nel girone. Prima del match, il leader supremo iraniano Ali Khamenei impose ai giocatori di non camminare di fianco agli statunitensi e di non stringergli la mano. È finita con Ali Daei che regala rose bianche agli avversari, simbolo di pace. Chissà come andrà ora.

 

 

Beiranvand, il portiere pastore

 

Così tante vite che non saprebbe neanche da dove cominciare. Alireza Beiranvand, portiere trentenne dell’Iran, ha un passato da raccontare: prima di diventare l’idolo del suo Paese per aver parato un rigore a Cristiano Ronaldo ha fatto il pizzaiolo, il lavavetri, il sarto e il lanciatore di pietre. In Iran il “Dal Paran” è un passatempo come tanti. Consiste nel lanciare un sasso in un certo modo, con una certa tecnica, e il più lontano possibile. Ad Alireza è tornato utile anni dopo: nel 2021, grazie a un rinvio di 73 metri con il Boavista, è entrato nel Guinness dei primati per il rilancio più lungo con le mani. I guanti gli ricordano da dov’è partito. Prima di diventare il titolare nel Persepolis ha dormito perfino per strada. «Non avevo soldi, il giorno dopo mi sono ritrovato alcuni spiccioli vicino». L’avevano preso per un mendicante. Ora ne parla tutto l’Iran.

 

 

Azmoun, pallavolo e cavalli

 

Sia lodata una chiamata improvvisa. I bei ricordi di un capellone che la buttava sempre dentro. Azmoun ha 15 anni, gioca a pallavolo ed è allenato dal papà. È ancora scottato dal gran rifiuto di un vecchio allenatore avvenuto due anni prima. Uno che gli aveva detto «no, nel calcio non hai futuro». Scartato. Lacrime. Un altro non è d’accordo però, così lo chiama per un torneo regionale vicino Gonbad, in Iran, dove Azmoun torna ogni volta che può. «Verresti a giocare con noi? Ci serve una punta». Sardar riflette, non dorme due notti e poi decide. «Vengo, dai». Sliding door. Oggi è la punta di diamante dell’Iran, 41 gol in 65 partite. Con lo Zenit ha vinto tutto e segnato a raffica, ora gioca al Bayer Leverkusen e fa fatica a ingranare. Pazienza. Nella vita ha due grandi amori: Gonbad, la sua città, e i cavalli. Appena può torna a casa e dorme vicino le stalle, sotto un cielo pieno di stelle. «Non so perché, mi rilassano». Il segreto del bomber. 

 

 

La rivelazione di Queiroz

 

Il passaporto pieno di visti ci dice che è un cittadino del mondo. Carlos Queiroz è nato in Mozambico, ha studiato a Lisbona, ha allenato il Sudafrica, gli Emirati Arabi e anche in Giappone, un anno dopo Wenger; ha fatto il vice di Sir Alex Ferguson e poi se n’è andato a Madrid per guidare i Galacticos (2004). Dal 2008 al 2010 è stato il c.t. del Portogallo e si è scontrato con Ronaldo. Per lui Queiroz era un sergente di ferro poco permissivo, un santone carismatico dal cuore di ghiaccio, planato sulla nazionale dopo un’esperienza così così negli Stati Uniti. Nel 1996, dopo aver allenato Couto, Rui Costa e Figo nelle giovanili portoghesi, firma per i New York Metrostars, squadra con ambizioni e soldi. Sulla fascia c’è uno che ha giocato dieci anni nel Milan, Roberto Donadoni. Nel 2011 sceglie l’Iran e vara la rivoluzione. Lì dove Khomeini ha messo su quella religiosa. In nove anni perde solo 13 partite su 97 e guida la nazionale a tre Mondiali di fila. Dopo Egitto e Colombia è tornato a casa. Il visto c’è già.

 

 

Taremi, una vita in rovesciata

 

A un centimetro dalla gloria. Pinilla se l’è tatuato sulla fronte dopo aver sbagliato il rigore decisivo al Mondiale. Taremi, invece, ha preferito lasciare lo spazio bianco senza scritte, ma quell’occasione se la ricorderà finché avrà vita. Nel 2018, sull’1-1 contro il Portogallo, il bomber del Porto ha la chance della vita all’ultimo secondo utile, ma calcia a un centimetro dal palo. Mani nei capelli, lacrime in tribuna, compagni senza fiato. Se avesse segnato l’Iran avrebbe centrato gli ottavi al posto dei portoghesi. Chissà se il destino gli darà un’altra occasione. Intanto segna e sogna nel Porto: l’anno scorso ha infilato 26 reti, nel 2021 ha impiegato un solo minuto per far male alla Juve in Champions League. Purtroppo è esploso tardi: nel 2019, a 27 anni, giocava ancora nell’Al-Gharafa, poi la gran chiamata del Porto dopo 13 reti nel Rio Ave in prima divisione. In Nazionale è a quota 28. Lui e Azmoun sono le stelle dell’attacco.