La differenza tra rivincita e rinascita

di Patrick Cutrone

Ci sono dei momenti, degli attimi che possono durare anche solo pochi secondi, in cui semplicemente ti isoli dal mondo. Intorno a te c’è la festa, c’è chiasso, gioia e vita e tutto scorre senza freni. E tu ti fermi, e pensi.

 

Mi è accaduto durante la promozione in Serie A.

 

Mi sono immobilizzato. L’ho guardato: «Minchia, Henry…».

 

Una delle ultime cose che mi sarei aspettato di trovare in quel luogo.

 

 

Thierry Henry, nello spogliatoio del Como. Ero stupito. Mi è venuto incontro e mi ha abbracciato 3 o 4 volte. Non sapevo cosa fare. Henry, un’icona del calcio mondiale! Vederlo nel nostro spogliatoio mi ha fatto effetto. 

 

Siamo tornati sul campo e mi ha premiato come Miglior giocatore della stagione della Serie BKT. Pazzesco. Henry! Poi mi sono voltato e c’era Jamie Vardy. Così, a caso. Abbiamo parlato per 30 secondi e mi ha fatto i complimenti, e io viceversa per la promozione del Leicester.

 

Pensate: da una parte dello spogliatoio c’erano Henry e Vardy, dall’altra Alessio Iovine. Io e Alessio siamo compagni di squadra da due anni, ma ci conosciamo già da prima. Quando andavo al Liceo ed ero negli Allievi del Milan, dava una mano al barista della mia scuola, suo amico, durante l’intervallo. Ci siamo conosciuti lì. Il destino ha voluto che, 10 anni dopo, ci siamo ritrovati nella stessa squadra e ci siamo presi la Serie A.

 

In un altro spicchio di spogliatoio, c’era Cesc. Mister Cesc Fàbregas. Quando mancavano 9 partite siamo andati in ritiro a Marbella, in Spagna. Ci ha detto: «Possiamo vincere tutte le gare che rimangono e andare diretti in Serie A. Se ci credete voi, possiamo farcela». E in effetti da quel giorno abbiamo fatto più punti di tutti. Quel momento ci ha dato la forza mentale per fare ciò che abbiamo fatto. Quando sono arrivato al Como, lui c’era già come giocatore. Mi sono detto «cavolo, adesso conosco Fàbregas».

 

Fin da subito è stato bravissimo nel calarsi del ruolo di allenatore, insieme a mister Roberts, ci ha sempre detto di essere stato allenato dai migliori, e li ha studiati. Alla fine, perché non imparare da Guardiola?! O da tutti gli altri che ha avuto: Mourinho, Conte, Wenger, Vilanova e tutti gli altri. Ha dimostrato grande qualità anche da allenatore.

 

 

Abbiamo fatto tante riunioni perché lui voleva apprendere, prima di tutto, sapendo che era il primo anno come allenatore. Conosceva già la maggior parte di noi. È stato molto disponibile, dentro e fuori dal campo: ci ha sempre dato una grande mano e soprattutto consigli su qualunque cosa. Si è visto: è andato oltre il campo, diventando fondamentale pure fuori.

 

Che allenatore dovete aspettarvi? Propositivo. Bello da vedere. Vuol dare divertire. Per il mister, ogni partita è a sé. Non giochi mai allo stesso modo, a partire dal tipo di pressione che fai in base alla squadra che incontri. Ad esempio, anche il mio ruolo cambia: a volte mi sposta dietro la punta, altre ci mettiamo con due punte. Sono esempi per farvi capire che ogni partita viene preparata in modo diverso. Mi ha spiegato molti movimenti ideali per il suo gioco, ma soprattutto mi ha insegnato a gestire le partite e mantenere la calma, se con il passare dei minuti le cose non vanno come ti aspettavi. Mi ha fatto capire come trascinare.

 

Abbiamo legato molto: noi con lui, lui con noi.

 

È stato naturale scommettere: «Se andiamo in Serie A, vi pago una vacanza a Ibiza».

 

Detto, fatto. Poche ore dopo la promozione, eravamo sull’aereo. Ma con il conto… siamo stati clementi. Una notte, tutta per noi. Un momento per stare insieme, divertirci e festeggiare. Una notte, basta e avanza. Ma ci siamo controllati…

 

Fino ad adesso, questo racconto è avvenuto dentro lo spogliatoio. Henry, Vardy, Iovine, Fàbregas, i miei compagni.

 

 

Quando l’arbitro ha fischiato la fine e siamo stati promossi in Serie A, non ci ho capito più niente. I tifosi sono entrati in campo e mi hanno travolto. Ho cercato un mio grande amico e preparatore atletico tra la folla, ci siamo abbracciati. È stato uno dei momenti più belli. Poi ho incontrato mio fratello e mia madre: ci siamo abbracciati e siamo scoppiati a piangere perché due anni fa, quando è scomparso mio padre, non siamo stati bene. È stato toccante.

 

Lui ha sempre creduto in me, anche quando negli ultimi anni le cose non sono andate bene. La mia famiglia e mia moglie mi sono sempre stati accanto. Quando due anni fa si è presentata l’opportunità di firmare con il Como, la squadra della mia città, avevo anche altre offerte. Ma non ho avuto dubbi, appena l’ho saputo, Avevo bisogno di ritrovare la serenità. Mi sono rialzato da solo: sono una persona che si fa colpire, ma si rialza e reagisce. Passo dopo passo. Le persone a me vicine, hanno creduto in me in ogni momento. Non è stato facile neanche per loro vedermi senza il sorriso.

 

Quando sono andato via dal Milan, è stato un shock. Un momento particolare, perché io mi immaginavo lì. È arrivato tutto in un colpo, non facile da digerire. Ma è il calcio. Avevo 21 anni e stavo andando via dal luogo in cui ero cresciuto. Ero legato tanto alla squadra e ai tifosi. Mi hanno scritto in tanti, infatti, dopo la promozione. Sapete il rapporto che c’è tra me e loro. Sono cresciuto nel Milan e in quei due anni in Prima Squadra ho creato un bel legame. Quando uscirà il calendario, guarderò quella data e mi farà uno strano effetto giocare a San Siro, lo stadio più bello del mondo. Non vedo l’ora.

 

 

Dopo il Milan non ho mai trovato continuità. Sono andati in Inghilterra, agli Wolves. Poi alla Fiorentina, poi al Valencia per 6 mesi in prestito secco. Tre Paesi diversi. Sono stati anni difficili: senza costanza di gioco, anche mentalmente non stavo bene. Non è facile non avere continuità per un attaccante. Ma sono esperienze che mi hanno fatto crescere, adesso mi sento migliorato sotto tanti aspetti. In Premier League ero pure partito bene: un ragazzo di 21 anni che va fuori casa, deve ambientarsi.

 

L’opzione Como mi ha dato stabilità. Avevo perso la serenità e ho fatto la scelta giusta. Significava tornare a casa mia, nella squadra della mia città, con un progetto grande. E io l’ho sposato.

 

L’ho detto a mia moglie, qualche giorno fa: «Abbiamo fatto un passo giusto, due anni fa, quando ci siamo trasferiti qui». Sono tornato in Serie A, guadagnandola sul campo, dalla porta principale. Insieme ai miei compagni. Torno in Serie A da una persona che se l’è sudata sul campo. Sono rinato. L’ho riconquistata con tutto me stesso.

CREDITS:
autore: Giacomo Brunetti; testo di: Patrick Cutrone e Giacomo Brunetti; immagine di copertina: Imago Photo Agency. immagini: Imago, Image Photo Agency, Shutterstock; partner: BKT. pr: Vincenzo Comandè.